#IlSalotto - Dentro il fitto della foresta, verso la cima della montagna. Romina Casagrande racconta "I bambini del bosco"

 

La citazione posta in esergo al nuovo libro di Romina Casagrande, I bambini del bosco, è di John Muir e recita: "La via più chiara per penetrare l'universo passa attraverso una foresta selvaggia."
È la stessa sensazione che il romanzo trasmette: essersi persi in un bosco fitto nel quale una strada c'è, ma non sempre si scorge. Il sentiero conduce a volte verso l'alto, verso le cime che sembrano scrutarci, immobili e distanti, altre volte verso il villaggio che pullula di storie e di umane vicende. In mezzo c'è un intero regno naturale pieno di meraviglia nel quale si riflettono le vicende dei personaggi. 
Dopo I bambini di Svevia, l'autrice firma un'altra narrazione percorsa dall'istinto libertario, quella tensione a costruirsi una propria strada verso la verità e la realizzazione del sé, qualsiasi sia il prezzo da pagare per ottenerla. È una tensione alla rivoluzione interiore. A compierla questa volta sono donne  che la storia ufficiale ha per un po' dimenticato, ma che continuano a vivere nelle leggende e nell'anima della gente dell'Alto Adige. Al loro coraggio si ispira questo romanzo che ha radici profonde nella terra, quasi questa fosse incisa sulla pelle dei personaggi. La prosa di Romina Casagrande è ricca nell'aggettivazione e nell'uso di metafore. Il libro procede molto per immagini che acquisiscono quasi una valenza allegorica.
Le fiabe ci hanno sempre insegnato che il bosco è il luogo dove inoltrarsi è proibito e dove ogni passo può essere fatale. Le storie tramandate dicono ai bambini che è il luogo dove ci si perde e da cui non si fa ritorno. Ma chi entra nel bosco spesso finisce anche per ritrovarsi: Luce che sfida i divieti familiari perché stanca di aspettare a casa il padre e il fratello, Thomas che decide di saltare nel vuoto per dimenticare il passato, le contrabbandiere che costruiscono un proprio modo di stare al mondo, fuori dal mondo degli altri. 

Scrivere la montagna, scrivere la foresta. Il tuo romanzo è un'ode ai suoni, ai colori, agli odori montani. Sono arrivati prima i luoghi, con le loro intime suggestioni, o è arrivato prima il nucleo narrativo di questa storia?

Credo che luoghi e nucleo tematico siano saldamente correlati tra loro perché gli uni non potrebbero esistere senza l’altro e viceversa. È stato immergendomi nel territorio che ho scoperto le contrabbandiere, attorno alle quali ruota il fulcro della storia. E le loro vicende sono intimamente connesse con la montagna, le foreste e le rocce attraverso le quali si aprono i sentieri.

I bambini del bosco
di Romina Casagrande 
Garzanti, 2021

pp. 352
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Nel bosco di cui racconti i bambini si perdono, ma si ritrovano anche. Lontani dalla cosiddetta "vita civile" e dal mondo degli adulti, entrano a contatto con una dimensione che ha un che di magico e spaventoso insieme. Che ruolo ha avuto il bosco nella tua infanzia? Ci sono ricordi che hai trasposto dentro il tuo romanzo?

Credo che abbia sempre avuto questa ambivalenza, fin da quando ero piccola. Mi piaceva moltissimo la vita che mi circondava, gli animali, le piante, ma al tempo stesso avevo paura di quello che poteva nascondersi fra le ombre. E la mia fantasia non mi era d’aiuto, perché si immaginava anche gli scenari più inquietanti. Mi lasciavo suggestionare dalle fiabe, dai libri che leggevo. Uno, in particolare, mi ha fatto amare il bosco da bambina e me lo ha fatto vedere in modo diverso, Ronja, di Astrid Lindgren. Racconta di una bambina, figlia di briganti, che vive in un castello, ma tutto ciò che desidera è entrare nella foresta e scoprire le creature che la abitano. La foresta le è proibita, è pericolosa. Ma le capita, come a Luce, di trovarci quello che le è sempre mancato. Il coraggio, l’intuito, seguire il cuore ci ripagano sempre.

Ne I bambini del bosco c'è una pagina della nostra storia che è rimasta a lungo nascosta e che qui è riportata alla luce. Una pagina femminile, piena di coraggio, spinta libertaria, autoaffermazione. La storia di donne dalle anime fiere come il vento. Ce la racconteresti?

È la storia delle donne di questa terra, una zona di confine, dura, che imponeva una vita di lavoro, sacrifici e solitudine, di scelte obbligate. Eppure loro, le contrabbandiere, fanno tutto ciò che alla donna era vietato. Lasciano la famiglia e la casa di notte, si avventurano per i sentieri rischiando la vita oppure la galera. E lo fanno spinte dalla povertà ma, soprattutto, dalla voglia di essere più libere, di rivendicare un ruolo. E ci riescono. La gente dei paesi le ama e le trasforma in figure quasi leggendarie, gli uomini le trattano con rispetto. Abbiamo i loro nomi, conservati tanto nelle memorie orali che diventano leggenda quanto negli archivi della polizia frontaliera: lo trovo incredibile. Per sfuggire ai controlli si prendevano gioco proprio degli uomini e i pregiudizi che volevano la donna debole e mite diventano la loro arma e il loro scudo. Così facendo, scardinavano dall’interno tutti gli stereotipi. La merce trasportata era molto diversa. Dipendeva dagli anni, dal bisogno e dalle frontiere. Durante gli anni dell’italianizzazione si portavano in Alto Adige, insieme a saccarina e tabacco, anche libri, quelli proibiti dal regime. Un atto di resistenza, rivoluzionario a tutto tondo.

C'è qualcosa di profondo che ti spinge a scrivere vicende che hanno al centro i bambini. Qual è l'aspetto più affascinante per te nell'indagine della dimensione dell'infanzia?

Non è soltanto un’età, ma un modo di vedere il reale e il mondo che ti circonda, di viverlo attraverso sentimenti assoluti. Mi piace la capacità che hanno i bambini di stupirsi di tutto, di raccontare il loro mondo con parole inventate per descriverlo, di vivere nel presente, di attimi. E sono indifesi. Noi adulti abbiamo una grande responsabilità nei confronti dei più fragili. Il lavoro minorile, per esempio, è tutt’altro che una piaga del passato, stando agli ultimi report. Luce e Thomas sono un po’ più grandi dei protagonisti de I Bambini di Svevia. Sono adolescenti: un’altra età in cui tutto è ancora da fare, da inventare.

Parliamo delle sfide che incontri nel tuo percorso di autrice. Se dovessi dirci qualcosa che per te somiglia alla scalata di Cima delle Anime, cosa sarebbe?

Devi decidere bene cosa portarti per affrontare la scalata, come riempire lo zaino. Devi scegliere ed essere disposto a rinunciare a ciò che non è strettamente necessario. La montagna ti insegna anche l’umiltà perché di fronte a uno spettacolo tanto grandioso ci si sente piccoli, seppur partecipi della Bellezza intera. Percepisci che anche tu sei fatto di granelli di quella perfezione. Però la montagna è capricciosa come una dea, non perdona passi falsi, ti insegna che ogni paso è un atto di responsabilità, che non tutto dipende da te. Ma molto, sì. Scrivere per me è sfida, gioia, piacere della scoperta, responsabilità verso la parte di verità che sto raccontando. Forse sì, somiglia molto a un sentiero in salita. E, come direbbero le contrabbandiere, non importa arrivare primi alla cima o più in alto. È sempre una necessità a farci muovere il primo passo. Il prezzo è il sacrificio che sei disposto a fare, tutte gli inciampi in cui ti sbucci le ginocchia e le volte che sei disposto a cadere e rialzarti. Il premio è la possibilità di sentirsi liberi, pienamente responsabili di ogni scelta. Credo sia una forma di felicità.

A cura di Claudia Consoli