"Le ripetizioni" di Giulio Mozzi tra i candidati allo Strega 2021: sentieri di coazioni a ripetere e prove di Letteratura

Le ripetizioni


Le ripetizioni
di Giulio Mozzi
Marsilio, gennaio 2021

pp. 368
€ 17 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


 

Della mia esistenza fisica sono sempre stato certo, pensa Mario, è sulla mia esistenza morale e psicologica che ho sempre avuto dei dubbi. (p. 336)

Ho letto questo romanzo senza nessuna aspettativa, perché avevo già visto, lo confesso, tutte le esaltanti descrizioni, e i consigli e le parole che gli altri hanno usato per consigliarmi di leggerlo, e ho capito che non avrei dovuto. Per questo sapevo di doverlo fare e contemporaneamente sapevo che non era per me. Ma l’ho letto e ora ho individuato con certezza il motivo per cui non mi piace e il motivo per cui è un romanzo ben fatto. Non mi piace per quell’idea assurda che i libri ben fatti debbano piacerci tutti, che dobbiamo in qualche modo riconoscerci in quel coacervo di vite spezzettate e scampoli di creazione che fa parte del loro stesso tessuto. 

Non è così e lo so bene, come so per averlo sentito da qualcuno che ne sapeva più di me e che ho avuto la fortuna di ascoltare durante una lezione, ovvero Edoardo Sanguineti che abbiamo troppe aspettative sbagliate sul personaggio che dice io. 


Uno scrittore vero è capace di ricordarci che non c’è alcun nesso tra il suo protagonista e se stesso e nello stesso tempo c’è, in egual misura. Così come le micro vicende di coazione a ripetere di Mario, il protagonista, non hanno nulla a che fare con la mia vita o con quella di nessun lettore eppure ci riguardano, perché sono puramente letterarie e ci conducono per mano dentro il vortice della letteratura. 


Mario è uno scrittore, come il suo autore, di cui ha più o meno la stessa età; ama i poeti minori, la sua vita è divisa tra tre distinte relazioni, quella con Bianca, da cui (forse) ha avuto una figlia, Agnese, quella con Viola (che lo tradisce ma che lui vuole sposare), quella con Santiago, che è un ragazzo fortemente dominante e disturbato, che gioca in ruolo nella sua parte oscura. Mario ci conduce a passeggio tra i quadri di questa sua vita, avanti e indietro e nella cornice si dipana il difficile collante di questo romanzo a montaggio, che quindi segue una sua logica, che non possiamo definire trama, e a cui in fondo non occorre nessuna trama. A tenere insieme il tutto è la capacità narrativa di Mozzi, che ci tiene incollati alla pagina.


Ci sono capitoli, tanto ben congegnati da sembrare racconti, così disturbanti da non riuscire a leggerli tutti d’un fiato, e questo non ha nulla a che fare con la letteratura, perché la letteratura sa che può essere anche quello, disturbante, ma ha molto a che fare con il nostro essere diventati lettori che devono essere rassicurati, e con il nostro volerci immergere nell’ovvio e nel conosciuto.


Così come la pandemia in cui siamo piombati da più di un anno non ha nulla a che fare con la normalità eppure è più reale di qualsiasi previsione letteraria e le risucchia tutte, a tal punto che ci illudiamo che un qualsiasi libro che parli di un contagio e di una pandemia stia parlando di questa.


Poi, dentro questa vicenda di richiami e di citazioni letterarie (più o meno palesi e più o meno note), c’è una grande dimestichezza con la memoria, con quella collettiva, che ci appartiene in quanto lettori e con quella personale, relativamente a ciò che decidiamo di ricordare e a quello che ci fa comodo dimenticare e tutto ciò che a furia di ricordare cominciamo a cambiare. 


Ecco cos’è! È che ci sono cose che Mario non avrebbe dovuto dirci, ad esempio del suo rapporto assurdo col sesso e del suo assoluto e inutile vissuto reale, che non riusciamo a perdonargli. Un po’ come quando gli spettatori si sono indispettiti perché Montalbano ha messo le corna a Livia, o l’insulsa polemica - vera o presunta tale - su come il bacio non consensuale del Principe Azzurro con Biancaneve, sia da considerarsi molesto. Abbiamo fatto confusione, abituati a raccontarci tutte le brutture di questa vita in tv e ad assuefarci all’orrido, non concediamo al romanzo delle zone di violenza estrema, non le accettiamo.


Da un punto di vista stilistico, dentro questo romanzo c’è una vita. C’è una destrutturazione del personaggio, man mano che procediamo nella lettura e anche della forma narrativa, una sorta di ripetizione di tutto ciò che è stato sperimentato, stilisticamente, ma in un vortice accelerato e nello stesso tempo in un lentissimo ritmo che funge da catalizzatore, perché noi ci appassioniamo al Mario lirico, a quello riflessivo, a quello vero, a quello senza alcuna aspirazione e qualità, odiamo quello inutile e dominato, quello succube e violento e procediamo a tentoni, chiedendoci quasi: “Ma dov’è finito il mio personaggio?”, perché credevamo di aver capito tutto e non avevamo capito niente, nemmeno intuito, se non di aver comprato un biglietto per stare sulle montagne russe. E a me, le montagne russe non piacciono, o forse ne ho solo paura, anche se ogni tanto so che devo farci un giro.


Samantha Viva