“Il cuore mi ha devastata”: Jane Birkin si racconta nei suoi quaderni personali, "Munkey Diaries" e "Post Scriptum"


Munkey Diaries. Diario 1957 – 1982
di Jane Birkin
Edizioni Clichy, ottobre 2019

Traduzione di Alessandra Aricò

pp. 376
19,00 € (cartaceo)
9,99 € (ebook)

Post-Scriptum. Diari 1982 – 2013
di Jane Birkin
Edizioni Clichy, marzo 2021

Traduzione di Alessandra Aricò

pp. 384
19,00 € (cartaceo)
9,99 € (ebook)

Ma alla fine ha conosciuto me o un’attrice? Io non mi conosco neanche, mi recito così bene.
(Post Scriptum, p. 36)

Ci vuole fegato per leggere diari. Per definizione, il tipo di scrittura più occultato e personale. E proprio per questo motivo sembra spesso di fare intrusione nella psiche di qualcun altro, a gamba tesa, in assenza del filtro della fiction narrativa. Credo, inoltre, ci voglia ancor più fegato a pubblicarli i propri diari: lo specchio della propria anima, lo scrigno dei segreti più gelosamente custoditi e apparentemente inconfessabili tutto d’un tratto esposti, rilegati e regalati a menti altre. Dalla parte del lettore, tuttavia, i diari possono essere un potente strumento di confronto e misura, un sistema fatto di parole e pensieri ed esperienze che fornisce una prospettiva diversa sulla vita, invitando a scavare dentro di sé. Se persistiamo in questa direzione, ci imbattiamo nel candore visivo di un'autrice di diari da poco interamente pubblicati in Italia da Edizioni ClichyJane Birkin.

Ma cosa ci viene in mente quando pensiamo a Jane Birkin? Un'icona di stile che ha dettato la moda senza accorgersene. La fantomatica borsa di Hermès, la It Bag nata da un fortunato incontro-scontro in aeroporto con l'allora presidente della maison, Jean-Louis Dumas. L’amore: Serge Gainsbourg e la scandalosa Je t'aime, moi non plus. Il nudo audace in Blow Up di Antonioni. Un brainstorming di attimi storici che hanno scandito la vita dell’attrice britannica di adozione francese. Nel novembre 2019, in un puntata degli Stati Generali con ospite la stessa Birkin, Serena Dandini riporta una frase del primo volume dei suoi diari, Munkey Diaries, e che forse la riassume nel modo più puntuale, in cui l’autrice avrebbe affermato: “se non posso essere bella, voglio essere diversa”. Bella Birkin lo è oggettivamente (nonostante si dica che la bellezza è un fatto soggettivo), ma dalla lettura delle sue stesse memorie si scopre quanto lei non fosse per nulla cosciente di questo aspetto. Almeno prima di Gainsbourg.

Ciononostante, questo primo impatto con la donna che era ed è Jane Birkin fa subito capire al lettore che si trova davanti a una versione di lei distante dai riflettori, dal glam della vita nello star system europeo di fine secolo. Questi diari in due volumi segnano sapientemente parti differenti della vita di Birkin, la quale considera il secondo, Post-Scriptum, da poco uscito in Italia sempre per Edizioni Clichy, come “l’esordio di un’altra vita”, introdotta dalla separazione da Serge Gainsbourg.


Un amore a dir poco appassionato. Il loro rapporto pare segnato da due atteggiamenti combacianti e relativamente egocentrici; sia Serge che Jane, dalle parole private di Birkin, sembrano alla ricerca costante di scopi visibili in lontananza, di affetto desiderato o disdegnato, di avvallare pulsioni artistiche avant garde. Due anime affini che si sono rincorse sempre, anche dopo che smisero di essere una coppia. Una parte di Jane rimarrà sempre con Serge, anche quanto a ricordi materiali. Quando Gainsbourg muore nel 1991, infatti, Birkin ripone insieme a lui nella bara la scimmietta di peluche Munkey, sua fedele confidente dall’età di undici anni e sua interlocutrice durante tutto il primo volume dei suoi diari, come si inferisce dal titolo. La sua compagna più intima, che riposerà per sempre con il suo amore (forse) più grande.

1959
DICEMBRE 

    Caro Munkey, 
oggi la scuola la detesto. Mi sento come un sacco, morta. So che se qualcuno mi dà fastidio o se spettegolano su di me o se una cosa qualsiasi va di traverso, mi metterò a urlare. Mi piacerebbe essere a casa. Grazie a Dio c'è da aspettare solo qualche giorno. Sono così impaziente di vedere papà e mamma. Tutti sono così gentili, io invece sono proprio una peste. Mi fa star male essere così, ho pianto ieri sera nella cappella, faccio tutto male, prendo tutto nel verso sbagliato. Non ne posso più.
Arrivederci per ora, scusa se ti ho dato fastidio dicendoti quello che provo. Questo diario è l’unico posto dove posso esprimerlo. 
    Love,
    Jane Birkin.
(Munkey Diaries, p. 19 – qui Jane ha tredici anni)

Ulteriore spartiacque tra i Munkey Diaries e Post-Scriptum è la nascita della terzogenita di Birkin, Lou, avuta con il terzo compagno, il regista Jacques Doillon. Da qui, l’approdo in Post-Scriptum vede una Jane del tutto adulta dal punto di vista anagrafico, ma che conserva sempre quel je ne sais quoi di candore nell’esprimere pensieri ed emozioni. Questo secondo volume attraversa anche alcuni momenti molto dolorosi della vita di Birkin, come una nuova separazione, dal marito Jacques, o una recente malattia che ha dovuto combattere fuori dal suo corpo per qualche anno, per la quale traspare sofferenza soprattutto nella seconda parte del libro. Inoltre, la scomparsa di due persone a lei carissime si posizionano ai rispettivi margini del testo: la morte di Serge nel marzo del 1991 – “il terrore, il pugno, tutto è sfocato, ma con una precisione da incubo” (Post-Scriptum, p. 147) – e quella ancora più tragica e inaspettata della primogenita Kate, precipitata dalla finestra del suo appartamento parigino nel dicembre 2013. Quest’ultima perdita sancisce anche la fine del desiderio di Birkin di fissare su carta i suoi pensieri; nulla ha più senso senza Kate. “Mi è stato strappato il tappeto da sotto i piedi”, scrive nella postfazione.

Ritornando al pensiero d’apertura, si nota come la lettura dei diari sia di certo a tratti intrusiva. Ci si sente curiosoni nell’affacciarsi così da vicino su mente e vita di qualcuno che conosciamo solo tramite le cose belle che ha prodotto per l’arte. Dalla scrittura di Birkin, risalta particolarmente la grande connessione tra questo mondo artistico, del cinema e della musica, e fatti privati, le sue vicende familiari e amorose. Sono due mondi compartimentalizzati, ma anche profondamente connessi tra loro nella personalità di Birkin. La compresenza di elementi caratterizza tutto in Birkin, compresa la psicologia caratteriale che emerge dalle sue parole, dagli inizi dei Munkey Diaries alle ultime pagine di Post-Scriptum. In quest’ultimo la voce di Birkin diviene, con il passare del tempo, più profonda, più adulta; sebbene scavi dentro di sé nello stesso modo in cui faceva quando da ragazzina rivolgeva le sue frustrazioni alle orecchie pazienti di Munkey, in Post-Scriptum si avverte nel tono e nel ritmo narrativo il peso dell’esperienza, delle relazioni consumate, dell’amore e ammirazione per le figlie e per la sua famiglia. 

Tutto in lei urla novità e trasgressione, seppur nel suo modo intrinseco di innocenza occultata; eppure tanto grida sofferenza comune, condivisa, senza filtri, proprio come deve essere nel diario di chiunque ne tenga uno. Non paragoniamo i diari di Birkin a quelli di Sylvia Plath o di Anaïs Nin, non di certo per i messaggi che racchiudono o per le inclinazioni stilistiche; ma di certo li paragoniamo per la veridicità delle emozioni. Il lettore più rileggere se stesso o meno nei pensieri e racconti di Jane Birkin. Quello che si ritrova, in ogni caso, è una donna profondamente umana. Senza veli (e non solo per l'audace scena del film di Antonioni), senza paura di professare i propri timori e le proprie insicurezze. Nel modo più semplice e luminoso, il diario giunge quindi al suo scopo in quanto scrigno di tesori interiori.
Ho messo in ordine la mia vita in un baule e sono invasa dalle immagini.
(Post-Scriptum, p. 37)

Lucrezia Bivona