Di millennial, expat e globalizzazione: «Tempi eccitanti» di Naoise Dolan

Tempi eccitanti di Naoise Dolan

Tempi eccitanti
di Naoise Dolan
traduzione di Claudia Durastanti
Blu Atlantide, 2020
 

pp. 297
€ 16,50 (cartaceo)

 

«Quando incontravo persone che mi piacevano, volevo tutto di loro, e lo volevo in fretta.» (p. 125) 

Prima di iniziare a scrivere queste parole ho voluto cercare sul web qualcosa di più riguardo Naoise Dolan  e il suo Exciting times. Il risultato è stato che praticamente ovunque il suo nome è associato a quello di Sally Rooney: gli entusiasti definiscono Dolan la nuova Sally Rooney, a sua volta acclamata dal The New York Times come la prima grande autrice millennial; i suoi detrattori, invece, affermano con forza che Dolan sia solo una scialba imitatrice di Rooney. Comunque la si metta, non si sfugge a questo paragone.

Dal canto mio, sebbene ami la letteratura in grado di affrontare temi inerenti la mia generazione (da bravo classe 1987, sono praticamente uno spartiacque fra il 1981 e il 1996 che segnano i due estremi della generazione millennial), ammetto di non aver mai letto Persone normali di Rooney. Non so se questo sia un vantaggio o meno riguardo alla comprensione di Naoise Dolan; di certo mi sono approcciato a questo libro scevro da pregiudizi.

Tempi eccitanti è un romanzo di stile, più che di trama. A ben vedere, anzi, di trama ce n’è poca: Ava, ventiduenne irlandese, si trasferisce a Hong Kong – che con l’Irlanda condivide il destino di essere stata adombrata dall’ingombrante presenza britannica – per insegnare inglese a una classe di pre-adolescenti. Qui intrattiene prima una relazione fredda e ambigua con Julian, banchiere quasi trentenne risucchiato dal lavoro, e poi una semi-clandestina con Edith, coetanea asiatica. Il triangolo che ne viene fuori è qualcosa di complesso, e reso ancora più assurdo dall’indecisione di Ava che, pur amando Edith, continua a vivere insieme a Julian.

Se la trama non è il momento fondamentale del libro, tantomeno lo è l’ambientazione. Intrigante è di certo il melting pot di Hong Kong, città nella quale due culture – quella ultracapitalista targata UK e quella del comunismo di stampo cinese – si sono combinate fino a crearne una terza, unica, nella quale i bambini hanno nomi inglesi e cognomi cinesi, e nella quale è possibile ritrovare docenti da tutto il mondo; ciò che manca però è la vividezza dei dettagli. Avendo avuto la fortuna di poter visitare luoghi asiatici come la Thailandia, il Vietnam e il Nepal, posso confermare che, rispetto all’Europa, sono un altro mondo. È vero, il capitalismo è ovunque, al punto che accanto alla foto alla bandiera con la stella gialla a sfondo rosso è possibile ritrovare l’insegna di un Mc Donald’s; ma gli odori, i colori, il modo di vivere di un paese asiatico sono altri, indecifrabili, rispetto ai nostri. Questa è una ricchezza unica che la globalizzazione rischia di minacciare.
Tornando a Tempi eccitanti, tuttavia, è difficile riscontrare questa sensazione. Delle due, allora, l’una: o Naoise Dolan non ha saputo trasmettere questa ricchezza, non ha saputo esaltare la peculiarità di un luogo unico come Hong Kong; oppure – e vorrei propendere per questa seconda opzione – ha mosso una pesante critica a questo aspetto del capitalismo avanzato. Quasi tutti i discorsi dei giovani expat, in effetti, ruotano intorno alle università in cui si sono formati, ai prestigiosi lavori che svolgono e che gli consentono di avere uno stile di vita occidentale anche lì, nel lontano oriente.

Voglio credere, dunque, che Tempi eccitanti sia un romanzo che, da un lato, racconta l’educazione sentimentale (o la sua assenza, a dirla tutta) di una generazione, e dall’altro approfitta di una trama a tratti inconsistente per affondare gli artigli in una critica sociale forte: la fin troppo forte identità religiosa degli irlandesi, che si ripercuote sui rapporti fra uomo e donna («Eri spaventata quando gli uomini ti venivano dentro, anche se non sapevi bene se toccava a tutte le donne irlandesi o solo a te, e a volte dicevi vuoi venirmi in bocca perché, dopo tutto, ti sentivi come se gli dovessi ancora qualcosa, un posto su di te», p. 75); l’onnipresenza del “metodo occidentale” anche nelle più sperdute località del mondo («"Tu pippi cocaina?" " Cosa?" "Ho sentito dire che tutti i banchieri lo fanno"», p. 38); la presunta (e pretestuosa) superiorità della razza bianca sul resto.

In conclusione, potrei dire che Tempi eccitanti è un romanzo di stile e di concetto. La trama di per sé è una scusa per raccontarci qualcosa sul nostro posto nel mondo. Se questo è ciò che l’autrice ha voluto trasmettere, allora le si può perdonare una parte centrale non proprio esaltante e una conclusione forse affrettata e che di certo lascia qualche dubbio.

Naoise Dolan, che sia o meno la nuova Sally Rooney, è un personaggio da seguire.

 

David Valentini