La “Nuova Poesia Americana” che canta di se stessa e non solo: la contemporaneità in versi secondo Black Coffee


Nuova Poesia Americana. Volume II
A cura di John Freeman e Damiano Abeni
Edizioni Black Coffee, dicembre 2020

Traduzione di Damiano Abeni
pp. 214


13,00 € (cartaceo)



Cos’è la poesia oggi? In molti si pongono questa domanda e la risposta non è mai semplice. Reduci da decenni di trionfo di un forte sperimentalismo su prosa e romanzo, il nostro presente sembra serbare ben poco spazio per il racconto in versi. Sorge spontaneo chiedersi se questa prepotente attenzione alla forma del romanzo sia il riflesso di un pubblico intellettualmente intorpidito, poco disposto a mettersi eccessivamente in gioco per capire i messaggi che la letteratura lancia. Lungi da me dal cadere nel cinismo, vi porto oggi un esempio di “sforzo intellettuale” che si incastona perfettamente nel tessuto imperfetto della contemporaneità. Grazie all’occhio esperto di curatore e traduttore, John Freeman e Damiano Abeni, è uscito da poco per Edizioni Black Coffee il secondo volume di Nuova Poesia Americana, raccolta di poesie e poeti inscritta nel progetto di costruzione di una collana che raccolga ed esalti le più notevoli penne liriche degli Stati Uniti di oggi. Ispirato da un’idea simile di Penguin degli anni Sessanta, la proposta di Nuova Poesia Americana si fonda sul racconto di un’America viva e vera, che porti con sé la consapevolezza di una realtà socio-politica complessa e di cui si sente parlare molto, ma di cui forse, oltreoceano, si capisce poco. Accompagna questo intento anche il desiderio di esaltare una tradizione culturale e letteraria variegata e in continuo divenire. Quest’ultima, come spesso accade, è un elemento difficile da trasporre nella scrittura contemporanea senza apparire divulgativi o poco innovativi, ma è esplorata con grande maestria e nella giusta misura nelle scelte poetiche degli autori presenti nelle raccolte di Black Coffee. 

Mentre nello scorso primo volume, pubblicato esattamente un anno fa, i curatori introducono il volume con un’attenta osservazione della predisposizione alla poesia del lettore contemporaneo, il quale pare ricorrere ad essa per imparare a “sentire” la vita e capire come visualizzare questo sentimento, questo secondo capitolo della collana avvia la propria discussione riflettendo su un tema che non potrebbe essere più attuale: la solitudine. O ancora meglio, l’isolamento. In un momento storico in cui la collettività è accessibile quasi esclusivamente da schermi di computer e smartphone, il focus su questa tematica come punto di partenza della raccolta è particolarmente azzeccata. Rendendolo un concetto meno universale e più connotato dal punto di vista spazio-temporale, l’isolamento a cui accenna Freeman nell’introduzione al volume si concentra sulla contraddizione di cui la società nordamericana è intrisa: il forte accento condiviso sull’individualità e sull’esaltazione di sé, di cui diretta conseguenza è, tuttavia, l’accentramento cieco e poco prospettico sul singolo, la cui elevazione porta quasi esclusivamente ad un solitario distacco dal senso di comunità. Leggiamo gli Stati Uniti, spesso superficialmente, come “the land of possibilities”, trovando conforto e conferma in prodotti televisivi e cinematografici splendidamente confezionati e nella promessa di un destino self-made, e perdiamo così di vista la profonda mutazione che il Paese ha subito in questi decenni, così come avviene peraltro in tutti gli spazi particolarmente complessi ed eterogenei. Tuttavia, come afferma candidamente Freeman, riponiamo fiducia nel fatto che la poesia sia “un’ottima candidata a ricucire il tessuto strappato della nostra collettività” (p. 14). E mi permetto di avvalorare quel “nostra” investendolo di un significato (e forse di una speranza) che vada ancora più al di là dei confini geografici statunitensi.

Così come avvenne per il primo volume, il meltin’ pot quasi da manuale che l’America è stata ed è tuttora si rispecchia nella scelta dei poeti che compongono questa seconda raccolta di Nuova Poesia Americana. Troviamo professori, editor, romanzieri, in generale autori eclettici, che hanno messo mano a un’ampia varietà di sperimentazioni relative al linguaggio e al genere letterario e che hanno trovato nella poesia un’espressione che, secondo Black Coffee, veste in modo completo e stimolante i panni dell’innovazione e della varietà che la letteratura e la poesia oggi si devono prefiggere di proporre. Ognuno di questi autori traspone in versi una serie di significati che ha potuto constatare nel corso della propria vita o che sta esplorando, mettendosi in gioco: il blues come forma fluida, un po’ defilata e contraddittoria che descrive l’essere stesso dell’America; i natali e le radici incrociate che caratterizzano la vita del singolo nella sua complessità; la disparità etnica che, invece di essere un elemento di cui beneficiare, non riesce a disfarsi della maledizione del razzismo; la fragilità dei sentimenti e la ricerca di “un posto pulito, illuminato bene”, per dirla alla Hemingway, che porti conforto, senso di appartenenza e vanifichi brutture e violenze ingiustificate.

Non mi considero così acuta da pretendere di sapervi raccontare nella sua complessa completezza quello che queste 200 pagine magnificamente tradotte descrivono. O meglio, è ingiusto che lo faccia. Ricongiungendomi con il mio incipit, il senso della poesia oggi è anche quello di mettere alla prova il lettore, sfidare il suo senso critico e metterlo di fronte a parole spesso troppo intime e sguarnite di spiegazioni, atte principalmente a mettere in luce un lato dell’umano e dello spazio che occupa, che si tratti di spazio geografico, mentale o condiviso. Nel celebrare, come meglio credo si debba fare in questi casi, un volume così ben concepito, vi lascio facendovi ascoltare stralci delle voci che lo compongono:

Il cuore sarà anche un organo di scarto, 
ma quando arpeggia nel suo banjo lucente
io vedo ali azzurre nella pioggia.
(Kim Addonizio, p. 45)


Canta un blues a bocca chiusa,
       una vecchia canzone sulle Notti Cinesi
e l’imbarcarmi su una giunca
       che mi porta via dal mio villaggio.
(Garrett Hongo, p. 73)


Non sono io che urlo contro nessuno
a Cadillac Square: è Dio
che ruggisce dentro di me, con la paura
di essere solo.
(Lawrence Joseph, p. 105)


Uno sguardo indietro e marameo,
costerà quanto è costato a Orfeo.
(Kay Ryan, p. 135)


la bellezza dei figli
& gli occhi dei figli, & il colore dei prati
al crepuscolo & speravo in una città
libera come la pioggia, la cui gente vaga
ovunque vuole, viva come ogni cosa reale & libera è libera.
(Aracelis Girmay, p. 157)


Dato che avevano lo stesso 
monogramma, a Jim
Crow & Jesus
capitava spesso

di trovarsi con le camicie dell’altro
rispedite dalla lavanderia.
(Kevin Young, p. 190)

Lucrezia Bivona