Dieci parole per raccontare infinite culture e un'unica specie: "Pensare altrimenti" di Marco Aime

Pensare altrimenti
di Marco Aime
add editore, 2020

pp. 128
€ 14,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

 

La cultura non è l’esclusiva di una persona sola, ma il frutto di relazioni tra individui. È dal dialogo, dallo scambio, dall’incontro che nasce ogni cultura. (p. 15)

L’antropologia è una disciplina intrigante, almeno per il sottoscritto: usi, costumi e rituali consolidati vengono messi sotto la lente d’ingrandimento del metodo scientifico e ricondotti alle origini, a quella notte dei tempi nella quale mito e realtà spesso si confondono e che porta fin troppe volte a generare la convinzione che determinati comportamenti siano da considerare un assunto imperscrutabile, dato da sempre e per sempre. È una disciplina di decostruzione, che non risparmia nessun ambito della cultura umana, neanche la religione.

È però, l’antropologia, una disciplina complessa e ramificata, che getta il proprio sguardo ovunque possa. Aime la definisce «un poliedro con molte facce, ciascuna definita da un aggettivo (fisica, sociale, culturale, cognitiva, economica…), una sorta di fiume che si dirama in molti rigagnoli» (p. 11), nei quali è facile perdersi. Ecco dunque che l’autore, professore di antropologia culturale presso l’Università di Genova, viene in soccorso del lettore novizio e disarmato per darne una primissima lettura attraverso dieci parole ritenute indispensabili; dieci parole con cui è possibile leggere e parlare di antropologia: essere (umani), convivere, comunicare, dove e quando, crescere, specchiarsi, rappresentarsi, donare, credere, nutrirsi.

Come anticipato, e com’è facile intuire, il libro non ha pretesa di completezza. Per chi, come me, è affascinato dalla materia ma non ne mastica molto, è il testo ideale per avvicinarvisi. Nel lungo range fra il tecnicismo e la divulgazione, Aime si squilibra decisamente a favore di quest’ultima, preferendo raccontare per immagini piuttosto che spiegare per argomenti. Elemento di forza del saggio è il ricorso, al termine di ognuno dei dieci capitoli, a una storia di – diciamo così – antropologia applicata, nella quale l’autore sorvola in poche pagine su qualche esperimento condotto da lui o dai suoi colleghi o presenta al lettore un rito, un’abitudine, un vezzo di una popolazione più o meno nota, così da ricondurre la parola oggetto del capitolo – precedentemente messa sotto a un microscopio divulgativo, sì, ma comunque scientifico – alla concretezza della realtà.

Molto interessante è la nona parola scelta, “credere”. Mentre nelle primissime pagine Aime si preoccupa di raccontare le origini della religione e le principali differenze esistenti fra monoteismi e politeismi, successivamente compie un salto nel vuoto e azzarda un’associazione coraggiosa ma intrigante: «Non è difficile» scrive, «intravedere in quelle pratiche che possiamo definire “magiche” [della stregoneria, nda] alcune analogie con il mondo della finanza» (p. 104). Dopo aver catturato abilmente l’attenzione del lettore, sferra il colpo di grazia, paragonando la stregoneria – con tutti i suoi rituali assurdi per un moderno europeo cresciuto nell’alveo dell’illuminismo – con il mondo della finanza, «spersonalizzato, inafferrabile, sfuggente e pertanto impossibile da comprendere con i normali strumenti cognitivi a disposizione dei non addetti ai lavori» (ibid.). In entrambi i casi, ammette, ci si deve affidare alle parole esperte di un intermediario che solo è in grado di decifrare il codice di questo strano mondo: lo stregone da una parte, il broker dall’altra.

Pensare altrimenti è in conclusione un breve saggio che invita il lettore a riconsiderare la posizione della propria cultura dominante (italiana, ma soprattutto europea, occidentale, bianca) all’interno di questo mondo variegato, perché è vero che le differenze fra culture sono molte e sono concrete, ma non dobbiamo dimenticare mai di aver avuto tutti un’origine comune. Il suo vuole essere «un primo passo per avvicinarsi alla diversità senza troppi preconcetti e prendere coscienza che il nostro modo di vivere è uno dei molti possibili, né migliore né peggiore di altri» (p. 8).


David Valentini