«A differenza di noi, una parola può restare»: "Economia dell'imperduto" di Anne Carson ci racconta il posto dell'uomo nel mondo della poesia e il posto della poesia nel mondo dell'uomo

Economia dell'imperduto 
di Anne Carson
Utopia Editore, novembre 2020

Traduzione di Patrizio Ceccagnoli

pp. 192
€ 18 (cartaceo)

Anne Carson, poetessa, classicista, comparatista, saggista, traduttrice, drammaturga, scrittrice. Nessuno meglio di lei conosce la poesia nella sua intima qualità di attraversatrice di frontiere, mediatrice di scambi, tramite di concetti altrimenti inafferrabili. La poesia non sarebbe nulla senza le persone che la scrivono, la fruiscono, la interpretano, persone che la poesia attraversa nella sua continua trasmigrazione tra i luoghi e le epoche. Eppure queste persone sono destinate a scomparire, al contrario della poesia che gira impalpabile attorno a loro, avvolgendole come una nube dorata: dunque l'umanità, nel rapportarsi con la poesia, sta mediando ben più di una lingua con l'altra, o di un concetto con una parola, ma sta negoziando concetti ben più vasti, relativi al tempo a noi concesso e a tutto ciò che la materialità delle nostre vite non sa cogliere. E sono questi altri tipi di mediazione, queste economie nascoste, che la Carson vuole affrontare.


Eppure all'inizio dell'opera, l'economia viene definita in un'accezione molto concreta che a noi sembrerebbe molto lontana dalla poesia, e più riguardante la persona del poeta: la circolazione del denaro e le sue conseguenze mercificatorie secondo Karl Marx. E la personalità poetica scelta per illustrare il rapporto della poesia con la circolazione di denaro è non a caso Simonide di Ceo, che la tradizione ci riporta come il primo poeta che si fece pagare denaro contante per i suoi versi. Inventò la professione del poeta, insomma. E nel farlo, egli stesso dovette attuare uno scambio, una mediazione: lasciare qualcosa per guadagnare altro. Subire il rischio di diventare merce lui stesso, per dare più valore alla sua poesia. 

Dopo questo esordio concreto, l'opera si dipana attraverso le opere di due poeti che vivono sul filo di una mediazione continua, Simonide di Ceo e Paul Celan. La spaccatura tra un'economia premonetaria basata sul dono e l'avvento del denaro sul mondo greco; l'ambivalenza linguistica del tedesco, lingua da reinventare dopo gli orrori dell'Olocausto; la mediazione tra il visibile e l'invisibile, tra la parola scritta e quella parlata, tra la vita e la morte, tra la negazione e l'affermazione, tra il sì e il no. Ma sotto a queste continue tensioni dicotomiche, c'è un concetto che ritorna, eterno e inesorabile come un pendolo che scandisce la prosa elegante ed estremamente godibile della Carson. La poesia resisterà all'uomo, che, nonostante il suo tentativo di mediazione continua tra l'essere e il non essere, dovrà poi a un certo punto soccombere. Il neologismo del titolo, brillantemente conservato nella traduzione di Patrizio Ceccagnoli, contiene in sé questa mediazione economica tra ciò che è materiale, e dunque perduto, e la negazione di tutto ciò. La poesia è la negazione della caducità umana, pur essendo nata dalla capacità tutta umana della mediazione, dell'economia, di tendere una mano verso ciò che è lontano da noi ed è apparentemente inconoscibile. 

Un saggio meraviglioso, un vero e proprio esempio di poesia che parla di poesia, da una mente brillante e poliedrica. Una riprova della capacità eternatoria della poesia, dal 500 a.C. al Novecento, ma anche dell'importanza di tutti gli uomini e le donne che, accettando la loro caducità, hanno prestato i loro ingegni e il loro lavoro per contribuire a quell'opera millenaria e imperduta che è la poesia, nata molto prima di noi, e che, a differenza di tutto ciò di materiale attorno cui ci affanniamo giorno dopo giorno, ci sopravvivrà. Per fortuna.

Marta Olivi