Un romanzo fratturato: "L'ultima nave per Tangeri" di Kevin Barry

L'ultima nave per Tangeri
di Kevin Barry
Fazi, ottobre 2020

Traduzione di Giacomo Cuva

pp. 246
€ 18,50 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)

Irlanda e Spagna. I territori su cui questa storia è ambientata sono agli opposti. In Irlanda il sole arriva poco e solo di traverso, mentre in Spagna il sole è enorme e dappertutto. La Spagna è grande e piena di posti in cui nascondersi, mentre l’Irlanda è piccola e per quanto vuoi scappare, te la porti sempre dentro. E Charlie e Maurice, i due spacciatori ormai sulla cinquantina protagonisti della storia, persino mentre si trovano al porto di Algeciras, nel sud della Spagna, a osservare i traghetti che arrivano dal Marocco, su quella panchina da dove osservano la massa umana transitare, non riescono a smettere di ripensare al loro passato, alla loro Irlanda, e ai percorsi complicati che li hanno condotti dentro e fuori da essa. 

Un romanzo a due binari, dunque. Che fa della doppiezza il suo tratto distintivo. Diviso tra presente e passato, tra due protagonisti, e soprattutto basato su un delicato equilibrio di opposti. Un momento lirico, e poi una tragedia. Un momento teso, e poi il vuoto. Una prosa densissima, spiazzata da una divisione in paragrafi serrata e da un’assenza di punteggiatura che sembra essere caratteristica della recente narrativa irlandese, da Roddy Doyle a Sally Rooney. Il presente è vuoto, i dialoghi tra i due sembrano presi dal Teatro dell’Assurdo e starebbero benissimo in un’opera di Samuel Beckett, per citare un altro illustre irlandese, e perfino il porto di Algeciras, scarno e irreale, ci ricorda il palco di Waiting for Godot, contraddistinto da un unico albero spoglio. E proprio come Vladimir e Estragon, anche Maurice e Charlie stanno aspettando qualcuno. Colei che collega passato e presente: Dill (o Dilly, come i due ripetono ipnoticamente nei loro discorsi ottenebrati da anni di abuso di droghe e malattie mentali), la figlia di Maurice avuta dalla sua amata Cynthia. 

Ma mentre gli anni vengono rievocati, riempiendo lo spazio dal 1994 al 2018, è chiaro che per Maurice e Charlie non c’è nessun climax a cui arrivare. C’è solo un vuoto che dilaga dopo una pienezza appena accennata all’inizio e che si perde subito, e che il resto del romanzo sembra cercare affannosamente. Nella vita dei due, nel mondo della droga e del riciclaggio di denaro, non sembra esserci un senso. E se l’insensatezza ancora modernista del teatro di Beckett era data da un sistema ontologico in cui il singolo non trova spazio, la dannazione di Maurice e Charlie è tutta umana. Nasce dalle loro famiglie complicate, dai problemi mentali del padre di Maurice che lui eredita come il cognome, e da quell’adolescenza nell’Irlanda suburbana che ha portato loro lo spaccio prima ancora della pubertà. 

E se in questi mari freddi come lame e nelle strade buie come pece c’è qualcosa di vivo che palpita, è Dilly. Come una moderna Godot, giovane, forte, bella, viene attesa da Maurice e Charlie come se potesse davvero cambiare le loro vite ormai ridotte in cenere. Ma questa Godot è una persona, è senziente, e non ci sta. Vera protagonista del romanzo, forse, fa da spina dorsale al passato di Maurice, segnandone i pochi punti fermi, lucidi: eppure nei capitoli dedicati al presente, all’ottobre 2018, appare e scompare. Segue la sua direzione, Dilly, con i suoi dreadlocks e i suoi propri giri di malavita: eppure va a testa alta, scappando ancora più a sud. Tangeri, in Marocco. Un nuovo continente che, citato nel titolo del romanzo, in realtà nel romanzo non appare. Inghiotte Dilly e di lei non sappiamo più niente. La sua vita è fuori dal romanzo, è sua, non siamo tenuti a conoscerla. Mentre Maurice e Charlie aspettano sulla panchina ad Algeciras, statici, lei è in movimento e non si guarda indietro. E noi, come fa il romanzo, la lasciamo andare. Se infatti il romanzo si chiude sul ricordo più doloroso di Maurice, quello in cui ha conosciuto per la prima volta Cynthia, è impossibile concludere questo libro mozzafiato senza avere in mente il destino di Dilly, e le ultime parole che Cynthia gli ha rivolto, il consiglio di andarsene. Aspettare o essere aspettati. La compagnia o la solitudine. Restare o andare. Due modi di vivere al mondo, dopotutto.

Marta Olivi


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Maurice e Charlie. Due uomini in attesa in un porto. Una notte che sembra infinita. I loro dialoghi senza senso, saldati alla narrazione dall'assenza di punteggiatura. E solo dopo, i ricordi, che gonfiano i personaggi, approfondiscono la loro umanità, e danno senso alla loro ricerca. Che forse è l'unica costante del romanzo: la ricerca di "Dill (o Dilly)", figlia di Maurice, e dei suoi occhi verdi identici a quelli di sua madre Cynthia. Una ricerca che dall'Irlanda li ha trascinati fino in Spagna, fino a quel porto collegato al Marocco: l'unica direzione sensata dei due personaggi di cui Kevin Barry ci narra gradualmente il passato per giustificare il presente. Di questo particolarissimo romanzo a due binari che è "L'ultima nave per Tangeri", che si inserisce magistralmente nel panorama della narrativa sperimentale irlandese contemporanea, ci parlerà a breve @m.andorla: intanto diteci, avete già letto qualcosa di questo autore? Che ne pensate? #amoilibri #amoleggere #CriticaLetteraria #instabook #instalibri

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