L'Occidente non poteva che salvarsi nell'isola più a ovest

Come gli irlandesi salvarono la civiltà (How The Irish Saved Civilization)
di Thomas Cahill
Fazi Editore (1997)

traduzione di Catherine McGilvray

pp. 250
Annunciata ristampa. Attualmente non in commercio


È stata annunciata la ristampa, sempre da parte di Fazi, di questo volume che all’epoca della prima uscita fece innamorare di una nazione: l’Irlanda. I cui monaci, dal V secolo in avanti, eressero un centinaio di monasteri dalla Scozia al sud Italia. Un’impresa titanica. Ma compiuta con una tenacia inaudita. Se lo spunto vi solletica, in attesa di ritrovarlo in libreria, all’epoca servivano 28.000 lire, c’è sempre la buona vecchia biblioteca.
La prima immagine proposta è quella di un inverno di ghiaccio, anno 406, quando Reno e Danubio sono un’autostrada scivolosa ma percorribile per i popoli barbari. Il limes imperiale viene definitivamente violato. Il mondo così com’è stato per secoli diventa altro. La romanità residua è personificata da due figure, entrambi cristiani, letteralmente all’opposto: Ausonio, poetastro opportunista e mollaccione, Agostino di Ippona, lacerato dai dubbi, consumato dalle giovanili dissipatezze e riscattatosi in Platone prima e in Cristo poi. Insieme a Paolo di Tarso e al principe dell’apologetica Tertulliano, è questo vescovo africano il vero fondatore del cristianesimo.
Ausonio è la plasticità antropomorfa della dissoluzione, anche in termini burocratico-amministrativi: il centralismo romano è collassato a vantaggio di altre città, fatto noto, e, fenomeno molto meno conosciuto, delle villae, piccole proprietà-stato. O feudi ante-litteram, visto che ci stiamo avviando verso il medioevo. Questo grazie all’incameramento da parte del patriziato dei beni dei poveri curiales, gli esattori delle imposte che avevano a loro volta dissanguato i comuni cittadini. I padroni delle villae accentrano, in casi sempre più ricorrenti, un potere economico e di protezione enorme: chi vi gravita fisicamente attorno ha infatti bisogno, visti i tempi, con le bestiacce germaniche e asiatiche in giro, di maggiore protezione.
Agostino è la plasticità antropomorfa della transizione, l’ultimo pensatore romano e il primo pensatore medievale. Il suo Io assurge a protagonista della narrazione grazie alle “Confessioni”, una rivoluzione copernicana della letteratura. Ed è un Io combattente: contro i donatisti, gli eretici di ogni sorta e il più pericoloso dei nemici, il monaco Pelagio. Un britannico. È interessante come nel cristianesimo sia stato Agostino a vincere, con tutta la sua pesantezza e il suo oscurantismo, dal libero arbitrio al peccato originale, ma sia rimasta sottotraccia, abbia covato fra la cenere, una corrente più aperta verso la responsabilità dell’uomo e non incatenata alla necessità della grazia. Da Pelagio, arriva ai giorni nostri a Vito Mancuso.
E puntiamo allora l’obiettivo sulle isole britanniche, che proprio per la loro caratteristica geografica colgono solo un’eco smorzata del dogma che si sta delineando. Lontane dal neo-costituito potere della chiesa cristiana, queste terre scorbutiche, dove uno schiavo britanno-romano di nome Patricius si converte e converte un’isola intera, consentono maggiore libertà interpretativa e dottrinaria ai monaci e ai seguaci della nuova religione.
Questa Irlanda, oscura, gravida di leggende pagane, di eroi che si massacrano per il possesso di un toro e di flirt tra regine bellissime e guerrieri portentosi, pare fatta apposta per accogliere un cristianesimo che strizza l’occhio all’originaria vena celtica. Così avremo badesse temprate che comandano su monasteri femminili e maschili, il vescovo che deve sottostare all’abate, la prosecuzione dell’esperienza tribale, non urbana, della socializzazione. E si può facilmente immaginare che mettere in piedi un culto, o forse potremmo dire un rito, in una radura o in bosco, non è la stessa cosa che istituzionalizzarlo in una pieve.
Insomma, un ibrido che finirà per dare vita al più grande pensatore di tutto il medioevo fino all’anno 1000, Giovanni Scoto Eriugena, e ad attirare le attenzioni del papa, come noto il primo dei vescovi. E sarà un altro Agostino, invito da Roma a Canterbury per incoronare un re sassone “inglese”, a radunare, finiti i salamelecchi della cerimonia, un sinodo in cui il cristianesimo celtico di origini irlandesi uscirà sconfitto dall’ortodossia.

Intanto, a partire da Columbano, i monaci irlandesi, prendono possesso dei classici dell’antichità, li copiano nei loro scriptoria, sviluppando il peculiare stile insulare della decorazione miniata, sbarcano prima nelle coste occidentali dell’attuale Scozia, poi in Francia e in Italia. E a forza di monasteri rinvigoriscono, unici a farlo, la cultura annichilita dopo la fine dell’impero romano e hanno l’ardire, davvero per primi, di definirla Europea. A Bobbio, in provincia di Piacenza, resta la testimonianza italiana più straordinaria di questa avventura. Compresa la tomba di Columbanus, la colomba bianca partita con altri 11, ovviamente, missionari per evangelizzare il mondo e che ce l’ha fatta almeno fino alla Val Trebbia. Dove tuttora riposa in pace.
Marco Caneschi