"La lettrice testarda" di Amy Witting: rappresentare donne lontane dagli stereotipi

La lettrice testarda
di Amy Witting
Garzanti, maggio 2020

Traduzione di Katia Bagnoli

pp. 176
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook) 


Questa lettura nasce da un fraintendimento: quando mi è stato presentato La lettrice testarda di Amy Witting, da poco in libreria per Garzanti, ad avvicinarmi era stata la riscoperta di un’autrice molto celebre in patria – è considerata tra le più influenti scrittrici australiane – ma praticamente sconosciuta nel resto del mondo, insieme alla curiosità verso una trama che si intuiva potesse inserirsi nel filone di “libri che parlano di libri”, sul potere salvifico delle parole e della letteratura. Un tema particolarmente caro ai lettori, che può fungere anche da pretesto per scoprire nuovi titoli e autori o rivedere da punti di vista inediti un libro già conosciuto. Ecco, si diceva, il fraintendimento: il romanzo di Amy Witting è di certo collocabile in questa categoria, nel senso che non mancano i riferimenti a testi e autori ad accompagnare la storia della protagonista e il ruolo della lettura è senza dubbio centrale nella formazione del personaggio, ma La lettrice testarda è qualcosa di diverso, per certi versi di più di quanto ci si aspettasse.
Un romanzo non privo di difetti e debolezze, tra cui, soprattutto, il repentino cambio di tono del capitolo finale, davvero molto bello ma che risulta troppo slegato dal resto del romanzo, nonostante la conclusione della storia sia ben costruita; la stessa Isobel, protagonista della storia, o il circolo di studenti-intellettuali in cui si imbatte, a tratti cadono in una certa pedanteria, con qualche digressione superflua della trama che rischia di sviare dal centro della narrazione e dalle interessanti tematiche su cui si fonda la storia. Resta comunque una lettura ricca di spunti, ma soprattutto sorprende per la modernità della scrittura e delle tematiche trattate con audacia.
Proprio ora l’opera di Amy Witting è in corso di traduzione in tutto il mondo e questo piccolo gioiello può essere il punto di partenza ideale per confrontarsi con il mondo letterario di un’autrice particolarmente attenta nel rappresentare donne lontane dagli stereotipi – non solo del suo tempo ma, ahimè, anche del nostro – , ponendo particolare attenzione nella costruzione psicologica dei personaggi e del loro mondo interiore pur senza privare la narrazione di dialoghi intriganti. E poi, al centro della storia, la famiglia, fonte inesauribile di riflessione letteraria, specie nelle sue forme più disfunzionali, complesse, di cui Witting indaga le pieghe, gli angoli più bui.
Isobel, la giovane protagonista del romanzo, cresce in una famiglia incapace di darle affetto, comprensione, sostegno, conoscendo invece la grigia passività del padre – una figura che resta sempre sullo sfondo, sfocata, solo per un breve momento accesa di vita – e, soprattutto, la sottile violenza psicologica della madre, che pare riservarle solo disprezzo, mortificazione.

Una donna complessa e una rappresentazione della maternità ben lontana da stereotipi e modelli genitoriali, che influenza profondamente la protagonista, definendone insicurezze, solitudine e una certa idea di sé stessa da cui farà molto fatica ad affrancarsi nel personale percorso di crescita e definizione della propria identità. Non c’è una ragione, un motivo razionale diciamo, per cui Isobel sia, a differenza della sorella, la vittima prediletta della collera e del disprezzo materno, come non c’è consolazione o sconto dopo gli attacchi verbali o fisici della donna; è qualcosa di sottile, un odio viscerale che si insinua sottopelle.
Poi vide che la rabbia della madre era un animale vivo che la tormentava, e che lei, Isobel, rappresentava uno sfogo che le procurava sollievo […]. (p. 42)
La madre, semplicemente, non ama la figlia. Witting, quindi, dice l’indicibile, tratteggiando una figura femminile priva di quelle virtù da sempre – e, pesa dirlo, ancora oggi – considerate intrinseche della natura stessa dell’essere donna, ribellandosi a una rappresentazione stereotipata della madre, della famiglia stessa. Se non possiamo provare empatia per quella donna, disprezzandola per la violenza contro la figlia, di certo possiamo però apprezzare lo sforzo dell’autrice di raccontare un personaggio di questo tipo e immaginare le critiche e i rifiuti che tale rappresentazione della maternità abbia suscitato in Australia alla fine degli anni Settanta, quando Witting presentava il suo manoscritto.

Nelle parole, nei libri trafugati dagli scaffali della modesta pensione in cui si trovano, Isobel bambina in qualche modo cerca quindi rifugio, aprendo porte su mondi che non comprende ancora pienamente ma dentro i quali poter fuggire. Un’abitudine, un’altra fra le tante, che la madre non approva, verso cui dirige ancora la propria rabbia. I libri, le storie, sono anche spinta per immaginare la propria libertà, un’indipendenza che arriverà improvvisa e, ancora, violenta. Isobel e la sorella si ritrovano orfane, le strade divise e un confronto con il dolore e la perdita assai diverso per l’una e per l’altra: 
Eppure, più profondo del sollievo, c’era in lei un dolore paralizzante, non per la morte della madre ma per la propria incapacità di soffrirne. E quel dolore le sarebbe rimasto dentro […]. (p. 56)
È un passaggio molto breve, ma profondamente significativo della complessità psicologica del personaggio, come della natura spietata e libera della penna di Witting, che – fortunatamente – non concede sconti. Libera, ma segnata dal peso del giudizio materno, delle sottili violenze psicologiche che ne hanno accompagnato l’infanzia, Isobel si ritrova sola, alla ricerca della propria strada e indipendenza, non soltanto economica ma soprattutto umana, intellettuale. L’ingresso nel mondo, a Sidney, è piuttosto traumatico, l’inserimento difficile: fatica a mescolarsi nelle vite delle persone intorno a lei, a stringere rapporti di amicizia, ad essere fino in fondo sé stessa e accettata, anzi apprezzata, per questo.

La chiave, forse, arriverà proprio dai libri, nel riconoscersi – ma non davvero del tutto – in quel gruppo di studenti che il caso mette sulla sua strada. Uno scambio intellettuale stimolante, fatto di scoperte, dialoghi, curiosità, che appagano anche il lettore per gli spunti – pur, come si diceva, con qualche digressione ed eccesso di pedanteria qui e là. Il mondo di Isobel si apre a nuovi orizzonti e possibilità, ma è un viaggio ancora una volta faticoso, che porta con sé dolore e solitudine. Gli elementi tradizionali del romanzo di formazione, si intrecciano quindi a riflessioni sulla condizione femminile, su una società ancora profondamente patriarcale, sulla difficoltà di trovare la propria voce e indipendenza in un mondo dove per essere accettati è necessario conformarsi; avere desideri e istinti propri, immaginare altre vie possibili di autodeterminazione è forse la forma più azzardata di libertà per una donna. Eppure, proprio per questo, da pretendere a gran voce.

Di Debora Lambruschini 

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