«Non si può vivere senza servire a niente»: "L'apprendista" di Gian Mario Villalta, tra i candidati allo Strega 2020

L'apprendista
di Gian Mario Villalta
SEM, 27 febbraio 2020

pp. 228
€ 17 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)



Fredi ha finito di mettere le vesti al loro posto, adesso vuole stare seduto con Tilio, non occorre parlare. Gli piace trattarlo come un ragazzo, ha capito che piace anche a Tilio. L'amicizia è così, tra uomini, ci si comporta come ragazzi pure da vecchi. 
Che strana ambientazione!, viene da pensare fin dall'inizio del romanzo di Gian Mario Villalta: la chiesa, con la sua sagrestia, le navate che risuonano tanto spesso vuote, i dipinti tra cui c'è un Tiziano, unico interesse turistico,... Una chiesa sempre più vuota, in cui però il parroco si sforza di tenere cadenzati gli appuntamenti, anche se a volte, alla prima messa del mattino, non arriva nessuno. Nessuno a parte il sagrestano, l'ottantenne Fredi, e il suo apprendista, Tilio, di pochi anni più giovane. Una fiera resilienza muove i due protagonisti ad arrivare puntuali, addirittura in anticipo, e a concedersi chiacchiere, caffè corretti con la vodka tra una messa e l'altra, pranzi in cui non si dà un pane per commensale, ma si spezzano entrambi i panini in due. Sì, perché se all'inizio Fredi e Tilio si stavano cordialmente antipatici, poi qualcosa è scattato, e ora la loro amicizia è fatta di condivisione, tra i ricordi della vita che è stata, delle occasioni perse, e un presente fatto di panche da sistemare, riso da raccogliere dopo gli sposalizi, orme fangose dei turisti da far sparire prima del prossimo officio.
Se da un lato «a Tilio pareva che l'apprendista fosse proprio un modo per mettersi all'ultimo posto senza falsa umiltà», dall'altro Fredi non può certo perdere il proprio ruolo, e dunque i due vivono tendenzialmente in equilibrio, fino a conoscersi meglio. Entrambi sanno che l'altro ha un rapporto tutt'altro che pacificato con la religione, e non mancano gli interrogativi e le riflessioni, come questa di Fredi:
Il prete non è un professore, pensa Fredi. Non ti interroga. Ti crede. Tu devi credere a lui. Tilio non ha la fede, per questo ha bisogno di capire. 
Tilio, d'altra parte, è lì soprattutto per acquisire un ruolo, perché a casa non ha più nessuno: il figlio Paolo abita via e torna per saluti veloci e superficiali, la moglie Irma, da lui amatissima, è morta dopo tredici mesi di un lungo calvario di malattia, e in paese tutti hanno sparlato di Veronika, la donna che ha aiutato Tilio ad accudire la moglie, e con cui lui ha avuto una breve storia. Storia molto chiacchierata in paese, a dir poco osteggiata, e inutile ai fini di darsi pace:   
Adesso non direbbe che Irma gli manca, non occorre dirlo, quello che non aveva mai immaginato è che non gli manca nel pensiero, o come un dolore nel petto, ma come se gli avessero tagliato via un pezzo. 
Ecco perché, a parte poche e risolvibili discussioni, Tilio si lega sempre di più a Fredi, osserva i suoi gesti farsi talvolta affannati e affaticati, per via del cuore e dei tanti acciacchi che il sagrestano non dichiara mai ad alta voce. Anche stargli vicino non è così semplice: Tilio deve avvicinarsi in punta di piedi, rispettare i tempi e i modi di Fredi, per non farlo sentire un ammalato. 
Il tempo, le stagioni passano al di fuori, e nella chiesa semmai si avvertono attraverso la temperatura che porta i personaggi ora a stringersi in coperte tutte loro, che lasciano in sagrestia, ora a respirare affannosamente per il gran caldo. 
E fuori? Fuori il paese cambia, i negozi di sempre chiudono, e i commenti nostalgici fioccano, inevitabilmente, da parte di questi due osservatori privilegiati: «la verità è che i pensieri vanno dove vogliono. Arrivano prima che tu li chiami». E noi lettori, avvinti dallo stile della prosa di Villalta, restiamo ad ascoltare il rintocco dei loro pensieri, l'amicizia di chi sa stare accanto all'altro senza prevaricazioni, ma nel rispetto e nell'affetto che non conosce età. 

GMGhioni