#PagineCritiche - Cantami, o Ninfa: il nuovo saggio letterario di Fabrizio Coscia sul desiderio amoroso

I sentieri delle ninfe.
Nei dintorni del discorso amoroso

di Fabrizio Coscia
Exòrma Edizioni, 2019

pp. 191
€ 14,90



Furono tutte, ciascuna a suo modo, Ninfe: Dora Markus per Eugenio Montale nell’omonima poesia, Albertine per Marcel Proust nel romanzo Alla ricerca del tempo perduto, Laura per Francesco Petrarca in un intero canzoniere, Angelica per Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso, Lolita per Humbert Humbert nel capolavoro di Vladimir Nabokov. E lo furono anche: Marthe de Méligny (o meglio Maria Boursin), modella e compagna del pittore Pierre Bonnard; la giovane Miranda di Picnic ad Hanging Rock, film di Peter Weir tratto dal romanzo di Joan Lindsay; Kim Novak nei panni di Madeleine Elster e Judy Barton nel Vertigo hitchcockiano. Creature ninfali, dunque, e come tali sempre fuggevoli e sempre sfuggenti. Al punto che anche Fabrizio Coscia, che si è messo sulle loro tracce nel suo ultimo saggio appena pubblicato da Exòrma – I sentieri delle Ninfe – ha misurato bene i propri passi quasi avesse timore di farle allontanare troppo in fretta. Muovendosi, come da sottotitolo, Nei dintorni del discorso amoroso, l’autore ne ha raccontato le storie (insieme a quelle di molte altre) nel tentativo di comprenderne al meglio la natura, interrogando così se stesso e il lettore sulla specificità del desiderio e della sua frustrazione.

Ma chi è, davvero, la Ninfa? Forse sarebbe tutto più semplice se si potesse almeno contare su una definizione univoca come archetipo di riferimento. Invece no: anche questa sfugge e si moltiplica fin dalla più antica tradizione, tanto che lo scrittore non manca di risalire all’indietro per fornirne la genealogia mitologica accordata agli elementi paesaggistici e naturali:
«la Ninfa stessa è, infatti, prima ancora che una creatura, un luogo (…) Ogni Ninfa cambia nome a seconda dello spazio che abita: i boschi di montagna sono popolati dalle Oreadi (dal greco oros, “montagna”), che possono vivere dentro gli alberi (come le Driadi o Amadriadi, da drys, “quercia”); le fonti e i corsi d’acqua dolce sono il regno delle Naiadi; nelle sorgenti (pegai) vivono le Pegee, nelle fontane (krenai) le Creniadi, nei fiumi (potamoi) le Potameidi, nei laghi (limnai) le Limniadi. Nelle profondità del mare nuotano le Nereidi, figlie di Nereo e dell’oceanina Doride; il cielo è popolato dalle Aurae, Ninfe della brezza, e dalle Pleiadi. Il discursus amoroso è, pertanto, un movimento nei luoghi di Nympha, che sono spesso emanazioni di un potere occulto, anche pieni di insidie, di inganni; ed è un movimento destinato a restare nei dintorni, nei paraggi, sulle tracce di una sopravvivenza, ovunque la Ninfa possa manifestarsi, in qualunque forma derivata da ciò che un tempo antichissimo è stata: una creatura mortale di origine divina, nata dalla spuma di sangue e sperma caduta in mare dalla castrazione di Urano, preda e cacciatrice; una creatura che continua a sedurci, a parlarci attraverso le immagini, a parlarci intimamente di noi» (p. 24).
Quella del critico, però, non vuole essere una disamina meramente dotta o astratta, perché in verità, e come già si è detto, al centro della sua indagine c’è la più intensa tra le pulsioni che muovono l’essere umano, quella forza di attrazione nei confronti dell’oggetto amoroso che non potrà lasciare indifferente nemmeno il lettore più estraneo alle argomentazioni letterarie e artistiche di cui si compone il saggio: «è sul desiderio che mi sto interrogando», ribadisce l’autore, «su ciò che nasconde e rivela, sugli sforzi che sempre facciamo per comprendere l’Altro, per definirlo, per afferrarlo, per non farlo svanire» (p. 53). E, sembra dirci Fabrizio Coscia, perché l’Altro si configuri proprio come destinatario di un sentimento al limite della sempiterna ossessione – come fu per Aby Warburg, sedotto dalle apparizioni ninfali in pittura a partire da una figura di ancella in un dipinto di Domenico il Ghirlandaio, La nascita di Giovanni Battistaquesto deve necessariamente sottrarsi alla nostra presa. Il suo segreto non sarà mai del tutto svelato,  il suo mistero mai del tutto compreso. Il fascino della Ninfa si alimenta al fuoco dell’irraggiungibilità e dell’incompletezza, e da ciò deriva il bruciante struggimento che tiene viva la fiamma dell’adorazione nei suoi confronti: perché la Ninfa «ci rende preda della follia amorosa, ma quando siamo posseduti da questa follia ci pieghiamo sotto il peso dei suoi doni» (p. 23); «Nympha è la vita che irrompe, con il suo movimento. E amarla non è per niente facile, poiché vuol dire amare una profondità priva di sguardi» (p. 91).

Si sbaglierebbe tuttavia a credere che la prerogativa della natura ninfale sia un'esclusiva del genere femminile. Fabrizio Coscia lo ribadisce in più occasioni:
«nell’immaginario amoroso (…) Nympha non ha un’identità sessuale precisa: è una figura di fuga, il luogo dell’Altro. È, per definizione, colei o colui che fugge, che ci mostra le spalle, che si rende irraggiungibile: una divinità in esilio per la quale siamo pronti a tributare qualsiasi sacrificio. È ciò che viene a mancarci: un’assenza, una perdita» (p. 80).
Asessuata, la Ninfa è pronta a innamorare di sé (far vacillare, cadere) le donne alla pari degli uomini:
«è Angelica, è Lolita, ma è anche il giovane Tadzio che lascia folgorato Gustav Aschenbach sulla spiaggia dell’Hôtel des Bains a Venezia; è Albertine ma è anche Rodolphe Boulanger che seduce Emma Bovary e poi si dilegua; è anche l’Enea virgiliano che fugge da Cartagine abbandonando Didone; è Pinkerton che sposa Madama Butterfly e poi se ne torna in America; è l’amante silenzioso e impenetrabile dall’altro capo del telefono nell’atto unico di Jean Cocteau, La voce umana» (p. 80).
Come accade nei bei libri in cui forma e contenuto si influenzano armoniosamente a vicenda, il cammino di Fabrizio Coscia lungo I sentieri delle ninfe risente della sfuggevolezza tipica della natura ninfale tanto nello stile quanto nella struttura. L’autore procede alla rincorsa di un’essenza che si manifesta e si dissolve ritmicamente per non più di pochi capoversi alla volta: come se la creature in esame, vere o d’invenzione (e dunque frutto di rielaborazione e sublimazione artistica), si concedessero con parsimonia anche tra queste pagine, quel tanto che basta per lasciarsi ammirare, scrutare, descrivere e poi di nuovo sparire, lasciando dietro di sé la frustrazione dolce e atroce di una presa sempre e comunque mancata. Il discorso ha un andamento sincopato, quasi si procedesse in un dedalo di vicoli ciechi: dopotutto «Nympha è un enigma, è un labirinto: una volta penetrati, sarà difficile trovare l’uscita» (p. 15), mentre le figure femminili in questione, a differenza di Arianna, non tendono nessun filo per uscire sani e salvi dall’ossessione di cui sono origine e causa; ogni fuga sulla loro scia va incontro a una subitanea battuta d’arresto, il ritorno sui medesimi passi è ostinato al limite della follia (in perfetto accordo con lo struggimento per la perdita, che appare sempre così simile a una serie di singhiozzi piuttosto che a un flusso ininterrotto di pianto liberatorio). Proprio in ciò risiede il fascino del lavoro del saggista, che bene ha fatto a non mortificare il mistero del suo argomento di riflessione risucchiandone l’inebriante vapore nell’imbuto di una trattazione rigida e schematica, e anzi in alcuni punti si abbandona a una interlocuzione privata nei confronti della sua Ninfa personale, ignota al lettore. Libere da una suddivisione in capitoli e paragrafi, puntualmente chiamate in causa ma sciolte da vincoli banalmente dimostrativi, le Ninfe di Fabrizio Coscia circolano autonomamente richiamandosi l’una con l’altra. Così, come per contagio, a lettura ultimata si condivide con l’autore un vago senso di abbandono: a mancare sarà proprio la sua prosa, che, come lui stesso ricorda e come tutte le scritture, è naturalmente apparentata con la quintessenza della Ninfa:
«in fondo anche la scrittura ha una natura liquida, proprio come l’acqua. Le parole possono stagnare o scorrere via, possono ingorgarsi o evaporare. La scrittura ha, di fatto, una sua inafferrabilità mercuriale e questo l’apparenta senz’altro alla dimensione ninfale» (p. 77).
La natura delle Ninfe e della scrittura scorre senza posa:
«come se non si potesse scrivere d’altro se non d’amore. Come se dietro ogni discorso amoroso ci fosse sempre il tentativo di afferrare qualcosa che fluisce via, che si rifiuta di essere detto, e che tuttavia non si può non tentare di dire. Del resto, quando scriviamo d’amore ci muoviamo sempre a vuoto, nei paraggi appunto di un centro irraggiungibile» (p. 159).
Ninfa tra le Ninfe, anche la prosa di Fabrizio Coscia ci abbandona; e se la perdoniamo, come è vero che la perdoniamo, è solo perché ci ha lasciato molti indizi per metterci sulle tracce del desiderio.

Cecilia Mariani




"Nell'immaginario amoroso Nympha non ha un'identità sessuale precisa: è una figura in fuga, il luogo dell'Altro. È, per definizione, colei o colui che fugge, che ci mostra le spalle, che si rende irraggiungibile: una divinità in esilio per la quale siamo pronti a tributare qualsiasi sacrificio. È ciò che viene a mancarci: un'assenza, una perdita". Fabrizio Coscia @fabriziocoscia ha scritto un libro dotto e meravigliosamente transitivo - appena pubblicato da @exorma_edizioni - che è tutto una rincorsa speculativa alla ricerca dell'essenza della natura ninfale: arte, letteratura e cinema sono le vie da percorrere, con la guida di una voce narrante (la sua) che sa letteralmente ammaliare e innamorare chi legge. Recensione di Cecilia Mariani presto sul sito! #libro #book #instalibro #instabook #leggere #reading #igreads #bookstagram #bookworm #booklover #bookaddict #bookaholic #libridaleggere #librichepassione #libricheamo #criticaletteraria #recensione #review #recensire #recensireèmegliochecurare #fabriziocoscia #isentieridelleninfe #exormaedizioni #exorma
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