Sopravvivere. "Serotonina" di Michel Houellebecq


Serotonina 
di Michel Houellebecq
La nave di Teseo, 2018 (prima ed.)

traduzione di Vincenzo Vega

pp. 332
€ 19, 00 (cartaceo)
€ 9, 99 (epub)


“Chi parla?” è l’interrogativo del romanzo; quest’uomo passeggia con le mani in tasca per le strade della città, discute con un simile, osserva due ragazze andaluse armeggiare con uno degli pneumatici dell’automobile: eppure non fischietta, non rumina: scrive, invece; confessa. “Chi parla?” è l’interrogativo principale da cui il lettore dovrebbe essere tormentato quando dedica il proprio tempo all’arte del romanzo.

Troppo spesso Michel Houellebecq è stato adeguato al proprio Io narrante in assimilazioni più che anodine; confuso, spogliato di qualsiasi identità autoriale, coincideva opera dopo opera con le amare confessioni delle figure tratteggiate alla scrivania. Neppure una frammentazione gli era accordata: doveva essere uno, uno soltanto: ma Proust non coincide con Marcel, né Simone de Beauvoir con le proprie memorie. Chi desideri occuparsi di Houellebecq dovrebbe anzitutto provare a demistificare certe cattive letture che lo desiderano ora profeta ora francamente fascista; letture che orientano il dibattito pubblico nell’impiego di scovare nei suoi romanzi ora l’acuta documentazione di un Occidente avvinto dalla tecnocrazia, ora il segnale di una ineluttabile islamizzazione (qualunque cosa significhi) di cui "Sottomissione" (tr. V. Vega, Bompiani) non sarebbe che il comunicato. Eppure un romanzo non è un saggio; non si può leggerlo con la medesima lucidità, con la pretesa ragione di scovarvi una tesi, un tema dominante: il romanzo è anzitutto l’abbacinante manifestarsi di un’esistenza, non privo certo di contesti, situazioni, avvenimenti, episodi sia pur aneddotici, indubbie disposizioni d’animo dell’autore, ma nella forma dell’organismo che permette l’attività insieme degli organi e della vita psichica. Il romanzo è irriducibile.
Abbandonati gli abiti di “profeta in patria”, Houellebecq presenta con Serotonina la propria opera più narrativa, quella che meno si lascia soffocare dal gravame della cattiva sociologia: un congedo dall'ufficio logorante di fuggire nel conforto del romanzo dove non possa la tesi.

Sin dall’opera più celebre (Le particelle elementari, tr. it. S. C. Perroni, Bompiani), Houellebecq propone innesti tra vita biologica e deismo della tecnica, il laboratorio si insinua sin dentro l’esistenza privata, ne colonizza propositi e volizioni, saccheggia la sola possibilità di osservare un orizzonte che sia né umanistico umanizzato. La vita animale, sopra cui l’autore si attarda in con umore tanto benevolo da farsi patetico – prova ne sia il cagnolino Fox del poco riuscito “La possibilità di un’isola” (tr. it. F. Ascari, Bompiani) – non è che l’unico timido progetto di un attore a cui sia stata strappata la condizione dell’incontro; la bulimia sessuale, l’erotomania che l’occorrenza scientifica (l’impiego di terminologie quali fellatio, non prive di un certo buffo accademismo) trasmuta in parodia, è anzitutto sollevazione, impresa polemica contro lo sradicamento della riduzione di un organismo a pura sintesi biochimica. Già disperati, i narratori houellebecqiani credono di poter arrestare l’incedere dell’esistenza, la disgregazione covata e incombente, nell’istante feroce del coito. Cos’è la «piccola compressa bianca, ovale, divisibile» (“Serotonina”, p. 7) di Captorix se non la forma più compiuta di questo fluire del laboratorio sin dentro la coscienza?

Si attardano spesso, le opere di Houellebecq, sull’esercizio dell’autorevolezza: smarrite (mai del tutto alienate) nel lugubre territorio della sopravvivenza, le figure maschili che domandano alla vita soltanto di replicare la mediocre e quieta esistenza dei genitori, degli avi, dei primitivi, si decidono spesso con gioia per quella forma di sottomissione che precisamente l’autore tratteggia ne Le particelle elementari, il puro invito alla depredazione della libertà. Bisogna esser capaci di affabulare: così il messia degli elohimiti in “La possibilità di un’isola”, così il teorico dell’Islam moderato in “Sottomissione”. L’Occidente sarà conquistato da chi saprà orientarlo con destrezza verso una teoria ragionevole: a patto di annientare la libertà vertiginosa cui costringono insieme l’esistenza e la prassi neoliberale? Essìa, purché si plachi la disperazione. La serotonina, neurotrasmettitore che tiene insieme biologia e conati psichico-emozionali, diviene allora entità di un male esistenziale. Concluso qualsiasi proposito di creatività salvifica, di orientamento politico, di nido amoroso entro cui coltivare la relazione duale (la coppia: questa espressione felicifica del neoliberalismo) sino al sopraggiungere della morte, l'esistenza non può che reiterarsi nell’assurdità. Ormai tradito nei propositi di auto-superamento, l’uomo patisce lo sguardo degli spettri di Sartre e Camus.

Bisogna sopravvivere, l’imperativo; felici, se possibile, più comunemente sereni, ma pure tormentati, perseguitati, annientati: bisogna sopravvivere, al costo di costringere nell’organismo un frammento di laboratorio, di ridursi a ricettacolo per il corretto perdurare degli organi. Non per una incessante produzione borghese, neppure al fine di una riproduzione famigliare: soltanto per «affrontare con inedita spigliatezza i principali riti di una vita normale in seno a una società evoluta» (ibid.). «Non sono favorevole alla morte. La morte, in linea di massima, non mi piace. […] è per questo che ho fatto medicina» (ivi, p. 302), chiarisce lo psichiatra a Florent-Claude. La vita è grande, la medicina è la sua profetessa.

La nausea, tra gli effetti collaterali dell’erogatore di serotonina, non investe la voce narrante, in quanto la tregua dalla disperazione non gli concede la lucidità cui era invece costretto Antoine Roquentin nell’omonimo romanzo sartriano. Se l’assurdità della vita esibita dalla letteratura esistenzialista prevedeva un’alienazione quale risultato di una più acuta assetto della ragione perché le cose si manifestassero nella più nuda e inane fatticità, quella entro cui si inabissa Houellebecq è di tipo affatto contrario. Le cose sono assurde per l’impossibilità di coglierle con intuizione fenomenologica. Il groviglio post-modernista ha lasciato in eredità i reticoli senza alcuna possibilità di articolarli. Della compressa Florent-Claude non discuterà che in esordio e in epilogo d’opera: si leggeranno di tanto in tanto visite allo psichiatra, desideri di prescrizione. La forma della dipendenza è il mescolamento con la consuetudine.

La ragione per cui sembra così penoso occuparsi di “Serotonina” e per cui il tentativo di molti si è infranto contro i (pochi) capitoli dedicati alla sollevazione contadina è la più acuta rappresentazione di quella tutela della vita che Houellebecq dimostra per l’intero romanzo. I suoi lettori, anche se di destra, anche se provocatori, anche se nichilisti non possono che avvertire disagio di fronte al dispiegarsi romanzesco di quel male che ha per nome depressione. La depressione deprime, per utilizzare una tautologia, ovvero: costringe gli uomini a osservare, non con il nichilismo divertito che tanti consensi brandisce, bensì con la crudezza di un “cuore messo a nudo” l’annientamento di qualsiasi prospettiva. Florent-Claude sopprime una-per-una tutte le possibilità (per utilizzare ancora terminologia esistenzialista) della vita; quelle che non sopprime, sopprimono lui. Il lamento si fa ecolalico, diviene a tutti gli effetti allarme del male. «Non bisogna lasciar crescere la sofferenza oltre un certo livello» (“Serotonina”, p. 330), confida. Non resta che la fuga, geografica e psichica: cos’è il ricordo se non il reiterarsi di ciò che è stato? Florent-Claude si sottomette al ricordo così come Francois, protagonista di “Sottomissione”, all’islamismo: il ricordo gli concede la promessa di un orizzonte non ancora destituito.

Il romanzo presenta anche una distopica rivolta di agricoltori, ma non è così importante.

Antonio Iannone

La piccola compressa "bianca, ovale, divisibile" colonizza sin dall'incipit l'attenzione del lettore: è l'innesto tra la vita biografica e il laboratorio, preparata ad hoc perché all'occorrenza (ed è sempre l'occorrenza, ogni mattina, appena dopo il caffè) possa inibire la ricaptazione di serotonina. Dare sollievo, permettere un'esistenza normale, senza slanci né illusioni. Puro abbrutimento allo spirito di un'epoca: "todo modo" per reiterare la vita. Non resta che il ricordo, a Florent-Claude, protagonista del nuovo romanzo di Michel Houellebecq, il rifugio, ricettacolo di un universo psichico dove ancora la possibilità di un orizzonte comune non era irrisa dallo sguardo caustico che occulta la depressione sotto una presunta lucidità. È questa la ragione per cui è così difficile scriverne, per cui se ne discorre nei termini di una (mancata) profezia politica: la depressione spaventa, angoscia: annienta. "Serotonina" é l'opera attraverso cui Michel Houellebecq brandisce fieramente l'insegna di narratore. Presto la recensione su @criticaletteraria #criticaletteraria #michelhouellebecq #serotonina #lanavediteseo #books #book #libri #bookstagram #bookshelf #libridaleggere #booklover #librichepassione

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