#CriticARTe - Chi cerca trova... Banksy: un florilegio del genio della street art

Cercasi Banksy disperatamente
traduzione di Daniela Magnoni
L’ippocampo, 2018

pp. 144
€ 12,00



Cercare Banksy e non trovarlo, magari perché il suo lavoro è stato rimosso o danneggiato. Non cercare Banksy e trovarlo, magari perché si ha le ventura di passare proprio di fronte al muro che l’artista ha appena prescelto per l’ultima delle sue provocazioni urbane. In entrambi i casi, disperarsi un po’: per la delusione di un incontro atteso e mancato, oppure per la solita brusca maniera con cui, senza chiedere il permesso a nessuno, il maestro della street art ha messo il dito nell’ennesima e dolorosissima piaga sociale, economica o politica, ricordandoci che il mondo in cui viviamo non è davvero un granché. Ammirate Banksy fin dagli esordi e sareste disposti a organizzare un pellegrinaggio intorno al mondo per ammirare i suoi lavori dal vivo? Non avevate idea di chi diavolo fosse (tranquilli: non lo sa nessuno) e il suo nome vi è divenuto familiare solo quando la sua Girl and Balloon si è autodistrutta poco dopo la vendita all’ultima asta di Sotheby’s? Fa lo stesso: la piccola guida Cercasi Banksy disperatamente appena pubblicata da L’ippocampo nella sua versione italiana potrebbe fare comunque al caso vostro.

Uscito originariamente per Graffito Books, esito di un progetto editoriale basato sulla direzione artistica di Karen Wilks e sulle ricerche di Lucy Radford-Earle, il volumetto è una piccola antologia sui primi sedici anni di attività di un artista senza volto e senza anagrafe il cui nome de plume è diventato sinonimo tout court di critica allo status quo. Maneggevolissimo nel suo formato pocket e nonostante la copertina rigida, somiglia, curiosamente, a un collage collettivo teso a ricostruire il percorso artistico di Banksy: un percorso che, per la natura intrinseca della street art, non può che configurarsi anche come un itinerario concreto, fisico, geografico e (va da sé) urbano. Non a caso, il tributo a quanti hanno contribuito alla genesi del lavoro è esplicitato nei Crediti in coda: 
«questo libro è stato reso possibile dai molti fotografi che in varie parti del mondo hanno documentato l’opera di Banksy. Oltre a manifestare il loro evidente entusiasmo nei confronti di questo genio assoluto della street art, le loro foto hanno raccolto una preziosa testimonianza dei suoi pezzi direttamente per le strade, spesso prima che fossero cancellati, sfregiati o distrutti in qualche altro modo. Siamo particolarmente grati al nostro team di punta, composto da Margaret Coble, Kevin Flemen, Ross, Holdsworth, Lord Jim, Sam Martin e Allan Molho. Senza la loro grinta questo volume non esisterebbe».
Quella che il lettore si ritrova a sfogliare è dunque una vera e propria mappa diacronica, o meglio un insieme di più mappe mondiali (otto in tutto) disposte in ordine cronologico, che testimoniano l’operato di Banksy tra Europa, Stati Uniti e Medio Oriente a partire dal 2002. Suddivisa per blocchi, la produzione di stencil, graffiti e interventi più complessi scorre come in una galleria a cielo aperto disseminata su scala globale: ora come traccia di un’esistenza ancora presente, ora come ricordo di un intervento passato e ormai rimosso, vandalizzato, deteriorato (quando non prelevato, venduto e altrove ben conservato). Pur nella grande varietà dei luoghi prescelti e dei soggetti rappresentati, la coerenza dello stile e del messaggio banksyano emerge con evidenza pagina dopo pagina, legittimando il lavoro dello street artist come quello di un autore a tutti gli effetti, dotato di un’estetica e una poetica precise. La critica al potere in ogni sua forma e manifestazione, l’insofferenza nei confronti del controllo ossessivo e paranoico da parte delle istituzioni, la condanna senza alternative a ogni tipo di guerra e di conflitto sono veicolate attraverso scelte mai didascaliche: Banksy dice i suoi «no» e i suoi «no, grazie» con un uso magistrale e acuto delle forme indirette, e dunque padroneggiando ironia, sarcasmo, satira, umorismo nero e poesia. Il contrasto tra soggetto e messaggio assume così le caratteristiche di un inquietante cortocircuito: uno scoppio improvviso, un sovraccarico di energie opposte e contrarie che diventa incendio, e come tale illumina con violenza e (auto)distrugge per bisogno; una sorta di pratica del debbio, cosciente e procedurale, da non confondere con l’istinto irrazionale del piromane.

Cercasi Banksy disperatamente è un libro utile e allo stesso tempo ambiguo: utile per il contributo alla documentazione ordinata di lavori che, per loro stessa natura, sono transitori e votati alla creazione di un qualche disordine; ambiguo per il senso di strisciante contraddizione che lo abita in ogni pagina. Perché snnuiamo e sorridiamo complici e compiaciuti per le parole ficcanti di ogni titolo, per l’efficacia di ogni immagine, per la linearità di ogni (breve) commento, e tuttavia non abbiamo la certezza di quali siano le nostre reali connivenze. Ci si sente proprio come dopo un soggiorno nel suo Dismaland (il parco divertimenti distopico allestito nel 2015 per cinque settimane a Weston-super-Mare) o dopo un pernottamento nel Walled Off Hotel arredato con le sue opere, “installato” nel 2017 in Cisgiordania e affacciato sulla “barriera di sicurezza” israeliana. Ma dopotutto è un bene che sia così. Nessuno di noi dovrebbe aspettarsi di trovare consolazione in una qualsiasi opera di Banksy, e di certo questa è l’ultima placida sensazione che l’artista vorrebbe mai suscitare nel suo pubblico.

Cecilia Mariani





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