"Princesa e altre regine": tutte le donne di Fabrizio De André

Princesa e altre regine. 
Venti voci per le donne di Fabrizio De André
A cura di Concita De Gregorio
Giunti, 2018

pp. 320  
€ 20,00


Belle, indomite, sfacciate. Coraggiose, esuberanti, intraprendenti. Disinibite, innamorate, resilienti. Complesse, sfaccettate, straordinarie. Queste sono le “regine” di Fabrizio de André, da Marinella a Bocca di Rosa, da Fernanda a Maria. In questo volume declinato tutto al femminile, ideato e curato da Concita De Gregorio – autrice di una prefazione a tratti fin troppo ermetica –, venti donne ci raccontano di altre donne, in un'opera che è un omaggio alla musica, all'arte, alla letteratura
Le voci sono state scelte in base a un'affinità emotiva ed elettiva: 
Hanno tutte, mi pare, un tratto in comune con Fabrizio de André. La fragilità inossidabile. La pervicacia nel procedere in direzione ostinata e contraria. Una ferita. Una debolezza nascosta dal movimento ed esibita nella solitudine. (p. 11) 
Dunque non si tratta di "qualche occasionale superstar", ma di anime sorelle, di penne (o pennelli, o macchine fotografiche) in cui si può riconoscere una comune sensibilità. La ricerca di ognuna di loro segue un impulso intimo, l'ispirazione di un testo si affianca a una personale predisposizione: eros, libertà, paura, desiderio... il volume ha il fascino della letteratura combinatoria: non impone un ordine, non vincola alle regole della linearità, ma lascia il lettore libero di crearsi un proprio itinerario affettivo, tra canzoni più o meno note, parole da riassaporare, nuove ipotesi interpretative da avvalorare o confutare.
Ne "Le passanti", De André recitava: "io dedico questa canzone ad ogni donna pensata come amore in un attimo di libertà". A tutte queste donne le autrici della raccolta rendono omaggio, mettendo in gioco la propria stessa idea di femminilità. Princesa e altre regine è un'opera da leggere con il giradischi vicino: un'occasione per rispolverare i vecchi vinili e prendersi il tempo necessario per sillabare ogni brano, prima di proseguire la lettura. Nel piacere che si trae dal testo entra sicuramente una componente di devozione personale al mito di De André: i racconti, talora piccole gemme di per sé (come "Se ti tagliassero a pezzetti" di Lorenza Pieri, "Verranno a chiederti del nostro amore" di Valentina Farinaccio, o "Mostro", che Barbara Di Gregorio ispira a "Rimini"), traggono un consistente incremento di significato e valore dal confronto col modello. Proprio per questo, alcuni lo perdono nel momento in cui appare sfuggente o solo formale, pretestuoso, il nesso coll'ipotesto. Come tutte le opere collettanee, anche questa sfiora il rischio della mancanza di coesione; si salva grazie a un comune gusto per la marginalità, per la celebrazione del piccolo, dell'inusuale, dell'incompreso. Per la prospettiva traversa sulle cose, per un certo intento etico condiviso. I volti, i caratteri dei personaggi emergono vividi dalle pagine: le immagini fumose e conturbanti in cui Guia Besana cattura lo spirito di Bocca di Rosa; la lettura dei tarocchi immaginata da Daniela Amenta, da cui scaturisce la storia di Angiolina, “pazza e ribelle” (p. 23), “una stella e un abominio” (25); la giovane Maria palermitana, dentro cui “ci sono tutte le stagioni”, descritta con tenerezza da Melissa Panarello; lo spirito che abita il corpo inconsapevole di Carla nella lettura de "Le Passanti" di Enrica Tesio e Letizia Rubegni; o ancora la prosa crudele e veritiera con cui Maria Grazia Calandrone attualizza la "Ballata dell'amore cieco".
Alcuni racconti sono imperfetti, segnalano un cambiamento d'intenti in corso d'opera, d'altronde imperfetta e per questo tanto più amata era l'umanità resa immortale da De André nei suoi album. La raccolta è quindi un tributo che non tradisce, ma vuole rendere nuovamente presente al ricordo la memoria di quello che era soprattutto un grande poeta; è un'opera ricchissima e varia a cui, proprio in considerazione della sua ricchezza e dei picchi qualitativi a tratti raggiunti, si possono perdonare alcuni scivoloni. Rimane infatti, forte e preminente, la ricerca di un'identità femminile, spesso negata corrosa incarcerata, ma viva, pulsante sotto la superficie:
Nel mondo ci sono isole, concrezioni, formazioni carsiche di amore non vissuto. A seconda del temperamento, l'amore non vissuto scava all'interno, corrode l'identità come un acido, forma canali di dubbio sull'identità conosciuta. Oppure, forma un guscio, un carapace, nasconde la persona. Per trovare la creatura originaria, nel primo caso bisogna riempire dei vuoti, nel secondo occorre spaccare la scorza, mettere a ferro e fuoco, far esplodere, dare alle fiamme e poi fare attenzione a spegnere il fuoco nel momento esatto, prima che il fuoco intacchi la carne. Ma la creatura che ne viene fuori è pura nascita, stilla l'amnio della creazione. (p. 293)
Quelle di De André sono donne che spesso amano troppo gli altri e troppo poco se stesse. Le venti (altre) donne che hanno contribuito a questa raccolta le cercano, scavano al fondo di una verità che può essere solo ipotizzata e le riportano alla luce, dense, pastose nei loro corpi e nei loro sentimenti complessi, cercando di garantire loro una nuova, "pura nascita". Provano (e riescono) ad andare oltre quello che aveva fatto il cantautore stesso, prigioniero della propria prospettiva maschile: ovvero a sondare ed esplorare "il loro spazio di impenetrabilità" (p. 308).

Carolina Pernigo


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