Meglio essere felici che infelici


Meglio essere felici
di Zygmunt Bauman
Castelvecchi, gennaio 2017

Traduzione di Cristina Guarnieri

pp. 48
5,00 (cartaceo)


A proposito della felicità, esiste soltanto una frase che possiamo pronunciare con la massima certezza e che di solito ci vede universalmente d'accordo. La frase suona: “Meglio essere felici che infelici”. Tutto il resto è controverso.

Bauman ci guida in un percorso che più che sociologico, ci appare filosofico, lasciando nel lettore più domande che risposte. Ma il noto intellettuale ci avverte subito: il suo intento non è quello di fornirci la formula magica della felicità, anche perché lui stesso ammette di non averla, bensì accompagnarci per mano in alcune considerazioni inerenti la felicità. E in suo aiuto mette in campo alcuni dei più grandi filosofi della storia. Parte subito con Kant, il quale duecento anni fa affermò che la felicità è un concetto talmente indeterminato che, sebbene ciascuno desideri conseguirla, tuttavia nessuno è in grado di dire in modo definitivo e coerente in cosa consista quel che vuole e desidera veramente. Per Bauman la felicità è un concetto “familiare e sconosciuto”. Tutti sanno cosa significhi, ma se chiedi di spiegarla e definirla precisamente, nessuno è in grado. Sostiene inoltre che esistono due differenti filoni da seguire per definire la felicità. Il primo: la promessa della modernità fa sì che oggi sia assai facile ottenere ciò che si desidera, sia a livello mentale, di capacità, che a livello materiale, di oggetti. Alla fine l'individuo, ottenendo tutto con estrema facilità, sbarca nella noia che per Bauman equivale ad un modello di felicità. Il secondo filone invece insegue una scia pessimistica dettata da una risposta che diede lo scrittore Goethe, che riporto sotto fedelmente:
Goethe: una singola settimana felice.
La seconda categoria è stata suggerita dal grande poeta romantico tedesco Johann Wolfgang von Goethe. Quando ormai era un uomo piuttosto anziano - non vecchio come sono io ora, ma comunque abbastanza avanti con l'età -, un giornalista gli chiese: “Signor Goethe, lei ha avuto una vita felice?”. E Goethe rispose: “Sì, ho avuto una vita molto felice”, aggiungendo però immediatamente che non riusciva a ricordare una singola settimana felice.
Questo è un messaggio molto potente, attorno al quale sono state pronunciate e articolate una gran quantità di altre definizioni di felicità, tutte ispirate a quell'affermazione: la felicità non consiste nella libertà dai problemi, dalle preoccupazioni, dalle ansietà, ma al contrario sopraggiunge quando superiamo i problemi, le angustie, le difficoltà della nostra vita.

Secondo Sigmund Freud la felicità sarebbe un incubo. Ma se ci pensiamo, se esiste la felicità esiste anche l'infelicità. Il sociologo prosegue asserendo che la felicità è un momento e propone come esempio il mal di denti. Mentre soffriamo siamo infelici, non appena il dolore passa, diventiamo felici. Ma è un momento perché poi ci abituiamo nuovamente a non provare dolore e la felicità della serenità fisica conquistata passa. Fa presente che spesso la felicità è una scelta personale, come il raggiungimento di alcuni obiettivi, altre volte invece deve fare i conti con il destino e con il carattere. Per destino intende il caso (il luogo in cui si nasce), per carattere invece ribadisce l'elevata responsabilità di ognuno di influenzare la propria vita e attuare delle scelte. Tuttavia nei tempi moderni, complice dell'infelicità è la tecnologia. Oggi le persone possono controllare la vita degli altri attraverso i social network e questo, a quanto pare, genera insoddisfazione e infelicità. Se l'altro possiede di più, raggiunge obiettivi importanti, vive in sintesi una vita migliore della nostra, si genera infelicità e si attiva un ciclo infinito di corsa per ottenere di più, raggiungere il vicino e superarlo. Non più per una spinta interiore, dettata dalle proprie scelte e desideri, bensì per una conseguenza a quanto visto. E questa sembra essere, a detta di Bauman, una delle principali spinte moderne verso l'infelicità.
Vi è un aspetto “materiale” della vita. Tutti abbiamo dei desideri materiali e facciamo in modo di soddisfarli. D'altro canto esistono anche il marketing e le compagnie pubblicitarie, compagnie che lavorano non sulla felicità e sulla soddisfazione dell'utente/cliente, bensì sul sentimento di insoddisfazione, in modo tale che l'individuo si senta in un continuo vortice di insoddisfazione e continui ad acquistare. Pensiamo agli smartphone: ogni anno esce un modello nuovo, ogni anno un individuo è soddisfatto di acquistare l'ultimo modello, mettendo in pratica però un circolo vizioso d'insoddisfazione a tempo. Dopo un anno la persona desidererà il modello appena uscito in commercio, perciò risulterà insoddisfatto del prodotto acquistato l'anno precedente, lo stesso che era oggetto di desiderio, di soddisfazione e felicità.
Conclude analizzando quanto la solitudine causi infelicità e depressione. Colpevolizza nuovamente i social network di essere fonte di afflizione e angoscia, con l'eterna ricerca moderna di stare spesso, troppo spesso online e sempre meno offline. Offline è dove è la vita vera, asserisce Bauman ed è l'aspetto della nostra vita che dovremmo curare di più.
Se vi state chiedendo quale sarà il futuro della felicità, è opportuno che ricordiate, fra le altre cose, la seguente, che è di straordinaria importanza: la felicità comincia a casa. Non su internet, ma a casa, in contatto con le altre persone.

Il volumetto preso in esame è basato sulla conferenza svoltasi a Cagliari nel 2016 nell'ambito del festival Leggendo Metropolitano. Massimo Arcangeli si è preso la briga di riportare nel piccolo pamphlet il lungo quanto prezioso contributo dell'intellettuale in tale occasione. La sala si riempì presto e molti rimasero tagliati fuori dall'evento, motivo che rende ancora più importante il lavoro editoriale. Poiché riporta quanto dichiarato verbalmente da Bauman, lo stile è alla mano, colloquiale e piacevole. Sembra quasi difficile che il libretto sia il discorso fedele del sociologo per quanto scorre lineare e preciso.
Una tabella di marcia breve ma intensa, con punti non scontati e mai banali che portano l'ascoltatore, e in questo caso il lettore, a riflettere e a trarre le proprie considerazioni sulla felicità, argomento così complesso e controverso. Assolutamente consigliata la lettura.

Alessandra Liscia