Mirabilia barbolinensia

Vampiri conosciuti di persona
di Roberto Barbolini
La nave di Teseo, 2017

pp. 240
€ 15


Con una parola così abusata come "vampiri" nel titolo un qualsiasi libro correrebbe il rischio di essere scambiato per l'ennesima banale brutta copia di un romanzo gotico, ma anche i più scettici (o i più ingenui) dovranno riconoscere fin dalle prime pagine che c'è ben poco di scontato nell'ultima fatica letteraria di Roberto Barbolini. Innanzitutto perché è effettivamente difficile capire ad una prima occhiata dove voglia andare a parare: l'autore si diverte a inanellare storie apparentemente sfilacciate ed impalpabili, senza una chiara consequenzialità, che iniziano ciascuna in medias res e che solo all'ultima parola si riescono ad inquadrare in una cornice più ampia, costringendo fino ad allora il lettore a procedere a tentoni.
Un filo conduttore comune in realtà ci sarebbe ed è quello dei mostri succhiasangue che aleggiano tra le pagine senza però mai materializzarsi e i cui riferimenti - proseguendo nei capitoli - si fanno sempre più eterei.
La chiave di lettura più verosimile la offre la seconda parte del titolo, quel "conosciuti di persona" che segnala il grande contributo dell'elemento autobiografico nell'economia narrativa - checché ne dica la pudica nota finale1 - e che fa da sfondo naturale alla singolarissima cifra stilistica di Barbolini. Lo scrittore emiliano, infatti, utilizza una prima persona estremamente invasiva e prolissa, a tratti addirittura irritante, destreggiandosi compiaciuto tra sintassi arzigogolate e arditi voli pindarici. Il ritmo della narrazione ne risulta piuttosto frammentato e pesante, ma mai goffo, grazie alle meraviglie di un linguaggio piacevolmente icastico ed alla naturale intimità della prima persona.

Ma chi sono quindi i vampiri di Barbolini? Mi piace pensare che si tratti di mirabilia, "meraviglie" alla stregua di quelle della letteratura medievale (e precedente), ossia tutto ciò che l'autore ha visto e vissuto in prima persona e che considera degno di nota, o meglio, degno di meraviglia. A loro dà il nome di vampiri in omaggio alla prima delle vicende raccontate; un nome pesante, che gli consente di mettere in piedi un fine gioco di rimandi e metafore con la varia umanità che popola i suoi racconti, svolazzando - è il caso di dirlo - da una conferenza su Dracula ai suoi ricordi d'infanzia, dalle storie familiari agli incubi deliranti del coma recentemente patito.
I vampiri diventano quindi in ultima analisi un pretesto per prendere la penna in mano e raccogliere sotto le loro insegne i - mi si permetta il latinorum - mirabilia barbolinensia, memorie finemente cesellate con inchiostro e pennino.

Adriano Morea




1 "Pur traendo spesso spunto da particolari autobiografici, questa è da intendersi in ogni sua parte come un’opera d’invenzione. Lo stesso vale per i personaggi: anche quando i loro nomi coincidono con quelli di persone viventi o vissute, essi sono integralmente reinventati secondo le esigenze della narrazione." R. Barbolini, Vampiri conosciuti di persona, p.239