#CritiCINEMA - Suburra - Quando le serie tv superano i film e (forse) i romanzi


Suburra - La serie
di Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi,
prodotta da Netflix
(tratta dal libro Suburra di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini)



È un dato di fatto che al giorno d'oggi le serie tv possiedano molto spesso una qualità di gran lunga superiore ai film al cinema, e Suburra - La serie, prequel dell'omonima pellicola di Stefano Sollima, a mio parere non fa eccezione a questa regola.

Prima serie italiana prodotta da Netflix, si compone di 10 episodi affidati a tre registi (Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi) e prende le mosse dall'omonimo libro (Einaudi, 2013) scritto dal magistrato Giancarlo De Cataldo (già acclamato dalla critica per Romanzo criminale) e dal giornalista Carlo Bonini (autore, tra gli altri, di ACAB - All cops are bastard, Einaudi, 2009).

Ambientata ai giorni nostri in una Roma degradata, in mano a politici corrotti, uomini di Chiesa che hanno smarrito la retta via e orde di criminali che decidono come dividersi i possedimenti ed i guadagni della Città eterna, protagonisti assoluti del racconto sono Aureliano Adami (il "Numero 8" del quale avevamo già sentito parlare nel libro e nel film e che viene ancora una volta interpretato da  un Alessandro Borghi davvero in stato di grazia), Alberto "Spadino" Anacleti (esponente di una famiglia sinti che nelle opere precedenti esce quasi subito di scena, mentre nella serie riveste un ruolo centrale ed ha nuovamente il volto del giovane e talentuoso Giacomo Ferrara) e Gabriele "Lele" Marchilli (impersonato da Eduardo Valdarnini).

Manfredi e Spadino
Quello che più colpisce lo spettatore di questa storia è che non esiste alcun personaggio positivo, non ci sono i "buoni" o meglio, coloro che provano a combattere il crimine e l'illegalità, come il padre di Lele, poliziotto assai convinto della bontà del suo lavoro, vengono tragicamente uccisi o comprati dal potere, dalla corruzione, dalle promesse di una vita più facile perché governata da questi gironi criminali.

A rendere pregevole questa opera non sono solamente i tre comprimari, tra i quali una menzione d'onore va doverosamente tributata ad Alessandro Borghi, molto a suo agio nei ruoli un po' border line, e a Giacomo Ferrara, al quale la brevità dell'interpretazione nella pellicola cinematografica non aveva reso giustizia, ma anche al resto del cast che contorna le vicende di questi boss emergenti.

Non possiamo non citare, ad esempio, Adamo Dionisi, che dopo il film torna a vestire i panni (assai folcloristici e traboccanti di oro) del capo clan sinti Manfredi Anacleti, e che è capace di infondere lo stesso terrore e la stessa furia omicida che ci aveva già stregato nella pellicola cinematografica.
Con una fisicità che sembra fatta apposta per questo ruolo, Manfredi dà la sensazione di essere nato con la pistola: voce roca, parlata sempre in bilico tra un accentuato idioma romano ed il sinti (lingua madre che alla fine anche Spadino accetterà di usare), questo genio del crimine si comporta come il vero leader del suo clan, il capo carismatico del suo "popolo" che vive in una casa che ha le dimensioni e le fattezze di una città, e rappresenta per tutti una figura di enorme carisma.

La vera scoperta, però, è rappresentata dalla sorella di Aureliano, Livia (una strepitosa Barbara Chichiarelli, attrice teatrale qui alla prima prova davanti ad una videocamera): erede designata della famiglia Adami, estende il suo dominio sull'intera zona di Ostia e si preoccupa che il piano regolatore Waterfront sia il più conveniente possibile per la sua famiglia. 
Un momento delle riprese della serie
Fredda, calcolatrice, perfetta nella postura e nella dizione (che esaspera all'inverosimile accentuando la cadenza di Roma Sud), predatrice in tacchi alti che dosa con sapienza trucco, gioielli ed abiti in modo che chiunque la guardi non riesca a dimenticarla, conferisce credibilità ad un personaggio che, in mano a chiunque altro, sarebbe risultato caricaturale e che invece, grazie alla sua prova, diviene una splendida e moderna capofamiglia che riesce a fronteggiare senza timore persino i temibili zingari.

Se in questi dieci episodi la presenza di Sara Monaschi (che ha le fattezze di Claudia Gerini), Amedeo Cinaglia (interpretato da Filippo Nigro) e Samurai (Francesco Acquaroli) non lascia davvero il segno, di sicuro non manca la possibilità di approfondire le complessità dei loro personaggi nelle (probabili) stagioni successive.

La caratteristica che infatti, a parer mio, conferisce forza a questa trasposizione risiede nel fatto che il libro di De Cataldo e Bonini ha costituito un semplice canovaccio dal quale partire, consentendo da un lato di avere una solida sceneggiatura, ma dall'altro anche di poter potenzialmente immaginare molteplici puntate della serie senza il rischio di clonare il romanzo, ma lasciando ai fans il gusto di trovare dei richiami al testo.

Bellissimi gli scontri generazionali dei quali Aureliano, Spadino e Lele sono protagonisti: la voglia di riscatto, l'ansia di prevaricare i genitori (o il fratello, nel caso di Spadino) tipica di ogni giovane consentono allo spettatore di entrare in connessione con i personaggi, facendoli apparire innanzitutto come esseri umani, e solo in seguito come spietati criminali.

A voler essere critici, la pecca di Suburra - La serie sta un po' nella debolezza della rappresentazione dei rapporti che intercorrono tra i nostri "beniamini" ed il Vaticano: poco accurati, talmente intrisi di approssimativi e malcelati intrighi e corruzione, da non riuscire ad apparirci realistici.
Una parte del cast di Suburra

Suburra, che nei dieci episodi narra avvenimenti occorsi in sette giorni, mentre ogni puntata inizia con un evento che vedremo solo alla fine, non sembra aver nulla di finto, ma pare raccontare tantissima realtà che, come ha scritto Gabriele Niola su www.badtv.it, "viene trattata come se fosse finzione".

È una serie diversa da Gomorra ed anche da Romanzo criminale: l'epoca, i luoghi, i personaggi sono differenti, mentre identica è la tensione narrativa, il ritmo, la suspense.

Non possiamo che attendere il prosieguo di Suburra ed augurarci che nella seconda stagione i tanti dubbi saranno chiariti ed i punti deboli migliorati, nella speranza di poter continuare ad assistere a prove recitative che nel complesso sono davvero notevoli ed a ruoli che affondano le loro radici in una finzione (purtroppo) assai vicina alla realtà.

Ilaria Pocaforza