Donna e manicomio: come il fascismo "previene e combatte" la malattia mentale

Malacarne. Donne e manicomio nell'Italia fascista
di Annacarla Valeriano
Donzelli, 2017

pp. 220
€ 28,00 (cartaceo)
€ 18,99 (ebook)


Le recluse protagoniste dell'"esperienza di vita offesa" dell'internamento acquisirono lo status di "rinnegate" che le privò della "nazionalità ideale e morale prima ancora che politica". Per molte di loro il disagio mentale rappresentò un tentativo per comunicare la loro presenza in una comunità che le voleva invisibili e nelle loro cartelle cliniche, oltre a un "semplice inventario delle scorrettezze sociali", è conservato anche il prezzo pagato, in termini di sofferenze, miserie, sopraffazioni, per non essere state donne secondo un modello culturale. Molte scontavano la colpa di avere dei desideri, di voler esistere al di là dei ruoli tradizionali loro assegnati, di non essere capaci di sopportare il peso della miseria. (p. 114)
Sono passati quarant'anni dalla Legge Basaglia: perché tornare indietro e raccontare cosa accadeva nel periodo del cosiddetto «grande internamento», tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento? Innanzitutto, per il dovere storico ed etico di documentare un periodo in cui la detenzione manicomiale era strumento principe per mantenere l'ordine e tutelare la moralità. In secondo luogo, per riportare in vita tante storie di donne che sono passate per il manicomio, lasciando tracce registrate meticolosamente (sebbene filtrate dalle chiare esigenze delle cartelle cliniche). Nei manicomi, non vengono internate solo «madri inadeguate - che hanno ricusato un ruolo materno vissuto come costrittivo - oppure ragazze ribelli, colpevoli di non saper controllare pulsioni sessuali, caratteri indomiti, [...] isteriche», ma anche le vittime «di violenza sessuale o dei traumi di guerra» (dall'introduzione, p. X).
Per analizzare i complessi e arbitrari criteri impiegati dal governo fascista per dichiarare più o meno malate le donne, Annacarla Valeriano parte dalle definizioni di normalità mentale diffuse già in ambito positivista e poi riprese dal regime per ribadire quanto la moralità femminile fosse fondante dell'onore nazionale e la donna si facesse via via proiezione della patria. Moglie, madre, sottomessa al marito e (più o meno implicitamente) inferiore, la donna deve essere pura e sono tantissime le devianze sessuali che hanno portato le cosiddette «pazze morali» al manicomio:
A essere stati medicalizzati sembrano soprattutto quei caratteri instabili che a un certo punto avevano oltrepassato i confini tracciati dalla morale e avevano avuto l'ardire di discostarsi dalla norma per condensarsi in personalità incapaci di adattarsi alla vita sociale e di risultare vantaggiose per la tenuta della stabilità familiare. (p. 27)
Alla base del regime, infatti, la nazionalizzazione della donna, che deve adeguarsi alle regole ben diffuse dalla propaganda, che punta a rendere pubblico il ruolo femminile, anche dentro le mura domestiche. Trasformazione, va detto, appoggiata e fomentata dalla Chiesa cattolica, già a partire dall'enciclica di Pio XI Casti connubii del 1930.
Dopo la Grande Guerra, permane un sentimento di pericolo biologico: è il periodo in cui si afferma fortemente anche in Italia l'eugenetica, vista come 
«un'arma potentissima di elevazione civile e uno strumento per riscattare la nazione e renderla più sana. Il paese davvero forte, in quest'ottica, era quello che forniva "il minor numero di deboli, di incapaci e di perturbatori della vita ordinata e lavorativa", e anche quando li produceva aveva al suo interno "forti organi di correzione o di eliminazione"». (p. 64)
Ed ecco che allora fanno il loro ingresso in manicomio anche le donne rimaste sole con la guerra, in preda ai deliri di perdizione e di rovina, per via delle tante separazioni senza rimedio vissute durante il conflitto. Le loro alterazioni mentali vengono studiate a fondo, perché resiste l'idea che le emozioni, per quanto forti, non potessero produrre malattie mentali, ma che queste fossero già insite all'organismo (per ereditarietà o per predisposizione). Alla base, tanto "razzismo biologico", ovvero la tendenza ad analizzare l'aspetto estetico della donna, per poi trarre «considerazioni di carattere morale e intellettuale sulle personalità» (p. 87). Le terapie, poi, sono varie, ma sempre traumatiche per la paziente: malarioterapia per casi di paralisi progressiva; insulinoterapia per la schizofrenia, elettrosock per varie forme di esasperazione mentale. Poco conta che diano scarsi risultati. 
A stupire il lettore di oggi è la forte presenza dell'infanzia nei manicomi: spesso sono bambini che hanno vissuto in uno stato di degradazione domestica forte, vista tra le cause principali che predispongono ai disturbi mentali; ma non sono rari i casi di bambini senza genitori e tutori, portati presso un "istituto di correzione", inteso come manicomio. La missione è chiara: fare di tutto per recuperare l'"infanzia traviata" e poi risocializzarla. 

Il percorso tracciato da Valeriano nel presente saggio è inappuntabile: fa innanzitutto riferimento alla cosiddetta norma e alla sua rottura, esamina con ricorso ad ampia bibliografia una storia in parte dimenticata dell'internamento manicomiale. Ma soprattutto riporta le voci delle ricoverate all'Ospedale manicomiale di Teramo: entrano nel testo cartelle cliniche di casi trattati lì, sfuggendo così alla possibile astrattezza speculativa, per calarsi fortemente nella trama della storia. E che dire della toccante appendice finale, dedicata alle lettere inviate dalle pazienti? 
«[...] i dettagli, quasi sempre drammatici, dell'esperienza vissuta, non» esprimono «semplicemente il desiderio di stabilire un legame emotivo con i destinatari, ma il bisogno di affermare se stesse, di dimostrare che, pur vivendo in un contesto che aveva azzerato ogni margine di autonomia, si era ancora in grado di essere persone dotate di capacità di pensiero». (p. 163)
Forse anche per questa natura empatica oltre che storica, Malacarne è uno studio consigliatissimo a chi vuole guardare il nostro passato con occhi bene aperti e non smettere mai di chiedersi: cosa può arrivare a fare l'uomo per paura della diversità? 

GMGhioni

«Le recluse protagoniste dell'"esperienza di vita offesa" dell'internamento acquisirono lo status di "rinnegate" che le privò della "nazionalità ideale e morale prima ancora che politica". Per molte di loro il disagio mentale rappresentò un tentativo per comunicare la loro presenza in una comunità che le voleva invisibili e nelle loro cartelle cliniche, oltre a un "semplice inventario delle scorrettezze sociali", è conservato anche il prezzo pagato, in termini di sofferenze, miserie, sopraffazioni, per non essere state donne secondo un modello culturale. Molte scontavano la colpa di avere dei desideri, di voler esistere al di là dei ruoli tradizionali loro assegnati, di non essere capaci di sopportare il peso della miseria». Come il fascismo preveniva e "combatteva" la malattia mentale? @gloriaghioni è rimasta davvero sconvolta da tante delle vite raccontate in #Malacarne, bellissimo studio di #AnnacarlaValeriano, lodevole sia per stile chiarissimo sia per ricerca e documentazione. Presto la recensione sul sito! #Donzelli #psicologia #instalibri #instabook #bookstagram #books #booktime #bookish #instacoffee #coffeebreak #saggio #storia #novecento #manicomio #libribelli #daleggere #readinglist
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