Francesca e Nunziata: una storia di amore profondo in un tempo lontano

Francesca e Nunziata
di Maria Orsini Natale
Avagliano Editore, 1996

pp. 384
€ 15 (cartaceo)

"Francesca era nata il sei di gennaio del milleottocentoquarantanove. Era nata su una di quelle alture della costa amalfitana dove la terra precipita e dirupa in un cielo capovolto, che nelle notti serene le luci delle lampare fanno stellato. Il mare visto di lassù è irraggiungibile, in un pozzo profondo di luce. L'azzurra trasparenza così lontana, sospesa, senza suoni, è irreale e segreta come una favola".
Basterebbero queste poche righe a farci entrare nella incantevole atmosfera di Francesca e Nunziata, il primo romanzo della scrittrice, poetessa e giornalista campana Maria Orsini Natale, che nel 1996 (all'età di 69 anni) pubblicò con Avagliano Editore questo splendido cunto ambientato ad Amalfi e Napoli tra la fine del XIX secolo ed il 1940, dando vita a un arazzo di emozioni, a una saga familiare incentrata sull'amore per la pasta e la passione per la vita.
La vicenda comincia con la nascita di Francesca, una delle numerose nipoti di Zì Peppe e dell'amata nonna Trofimena: in particolare nonno Giuseppe è un uomo dai solidi principi che crea la pasta con amore, convinto che il suo lavoro sia un'arte, e che coinvolge nella sua attività l'intera famiglia,  composta dalla moglie, sette figlie e altrettante nipoti femmine.  

È un regno matriarcale quello che dirige amorevolmente quest'uomo ruvido ma dal cuore grande, tutto impegnato nel suo mulino sulla cascata ad Amalfi a creare ziti, maccheroni, vermicelli e spaghetti. Anche il genero Salvatore, il padre di Francesca, decide di abbandonare l'attività di marinaio per aiutare il suocero ad espandere la produzione, tanto che ben presto l'intera famiglia si trasferisce nel nuovo e più grande mulino in una piana sotto al Vesuvio, vicino a Napoli.

Sarà proprio Francesca ad ereditare la passione dell'adorato nonno per la creazione della pasta e a proseguirne l'attività, e mentre l'avventura si dipana sotto ai nostri occhi, parallelamente anche la grande Storia fa il suo corso: il libro si apre, infatti, con la venuta di Garibaldi e la cacciata della famiglia reale dei Borboni, e con l'ascesa degli odiati sovrani piemontesi, i Savoia.
"Oltre nove milioni di persone avevano nei confini, «di qua e di là dal Faro», il segno di una Nazione, e un vincolo di tradizioni, di costumi e di lingua. Chi veniva a parlare al Nonno di un'altra Patria? Lui ne aveva una e non ne voleva altre (...) Sublime, altissima, pur se solo «ipotesi senza nessuna verifica», essa si ammantava di ogni compiuta perfezione e, nella gloria dei suoi paludamenti, si faceva sacro progetto da tradurre in realtà, santa causa che voleva raccogliere nelle sue braccia tutti i fratelli; e poco importava se nell'abbraccio venissero stritolati il nonno e il suo re, e se nella stretta fosse sacrificato un popolo e stravolto il divenire di una gente".
Un'immagine tratta dal film Francesca e Nunziata 
di Lina Wertmuller (2002)
Con gli anni l'attività di Francesca diviene assai fiorente, tanto da assumere le fattezze di un vero e proprio impero industriale. Per esaudire il voto fatto alla Madonna dopo che questa le aveva fatto la grazia di guarire una delle sue figlie, Francesca insieme al nobile marito Don Giordano Montorsi si reca in orfanotrofio ed adotta una bambina, Nunziata.
Ben presto questa figlia, che non è uscita dal corpo di donna Francesca ma ne costituisce l'esatta copia, diviene lavoratrice instancabile del pastificio accanto alla madre adottiva, depositaria dei suoi segreti di pastaia e mossa da quella stessa cura e dall'ardente passione che regnava anche nel cuore del nonno Giuseppe.

L'amore che Nunziata nutrirà per il fratello adottivo, il bel Federico, sarà destinato a non poter essere vissuto alla luce del sole: di lui rimarrà incinta, ma Francesca le troverà un marito ed una nuova casa, e nell'ultima parte del libro assisteremo alla caduta dei Montorsi ed all'ascesa della nuova famiglia di Nunziata, che per tutto il corso della sua vita non dimenticherà mai il profondo legame d'affetto per la donna e per i suoi fratelli, mentre sullo sfondo si dispiegano ancora una volta le ali della Storia ed il regime fascista imperversa.
"Mariuccia te l'ha detto? Tu ti sposi con don Angelo (...) Dal notaio dovrai firmare ai tuoi fratelli una carta che sei già stata liquidata e non hai niente più a che vedere con le proprietà mie, il mulino e tutto il resto. Però io...a parte ti voglio fare un regalo personale...perché tu mi hai sempre aiutata, più dei figli miei, hai lavorato assai e ti voglio ricompensare...Dimmi tu che vuoi...Nu ruotolo d'oro...Una parure di diamanti...I bracciali di zia Luigina...Che vuoi?" E Nunziata si era fatta coraggio e aveva alzato gli occhi nel risponderle...Per un attimo gli sguardi si erano incontrati: "Voglio due 'ngegni per fare i maccheroni".
È un libro talmente potente questo che nel 2002 divenne un film: il nipote della scrittrice, infatti, che nel film ha il ruolo di uno dei figli di donna Francesca, portò il libro ancora manoscritto alla regista Lina Wertmuller e quest'ultima, folgorata dalla potenza evocativa della storia e dalla caratterizzazione dei personaggi, decise di trarne una pellicola.

Francesca e Nunziata non è solo il racconto quasi epico di una famiglia (memorabili le liti tra donna Francesca, convinta che i Savoia siano usurpatori del trono borbonico, ed il figlio Federico, sostenitore dell'Unità d'Italia e convinto della fratellanza tra tutti gli italiani), ma è molto di più: è il canto di un Meridione bello e antico, della sua laboriosità, della sua arte, della creatività, della sua unione forzata al resto dell'Italia e della riluttanza alla dominazione sabauda, del profondo amore per i sovrani borbonici.

È un tributo magnifico alle donne, al vincolo della famiglia, all'amore che le muove e che esse nutrono per i loro uomini, sempre un passo dietro a loro, anche se la società del tempo imporrebbe il contrario. 

È un cunto, un racconto immaginifico, un libro (che fino ad oggi ha avuto nove edizioni ed è stato semifinalista al Premio Strega) nel quale possiamo quasi percepire quel Vesuvio tanto caro a Nunziata grazie allo stile elegante e ardito dell'autrice che ci regala un'opera nella quale i termini aulici s'impastano (è proprio il caso di dirlo) con le metafore e con il fascino impetuoso del dialetto napoletano.

È una perla preziosa che va recuperata e letta con lentezza, magari davanti ad un piatto di pasta al sugo e ad una tazzina di buon caffè napoletano.
"Così gli uomini ripresero il cammino e Nunziata oltrepassò la «sua» cappella (...). Ma non era certo quella vicinanza che poteva dolerle e neanche di non essere accanto a Federico. Era che dalla grande vetrata della cappella dei Montorsi, nei vetri chiari, tra le braccia del Cristo si vedeva il Vesuvio".

Ilaria Pocaforza