#IlSalotto - L'elogio della gentilezza con Cristina Milani



La forza nascosta della gentilezza
di Cristina Milani
Sperling & Kupfer, 2017

pp. 215
€ 17,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Un libro sulla gentilezza, un modo nuovo per affrontare la vita, ma prima di tutto se stessi.
Attraverso un’analisi storica e contemporanea l’autrice Cristina Milani presenta in modo documentato cosa è la gentilezza e come si può sviluppare in ogni momento della vita.
Esempi concreti legati al mondo del lavoro e delle relazioni completano il testo, rendendolo fruibile sia ad un lettore che vuole applicare i concetti nella vita di tutti i giorni, sia a colui che vuole utilizzare  nuove strade, legate alla gentilezza, in ambito lavorativo.
Abbiamo incontrato l’autrice per capire come è nato il libro e cosa vuol dire essere gentili.

Cosa significa Gentletude?
Gentletude è un neologismo che unisce la parola gentilezza con il concetto di attitudine. Persegue gli scopi per un mondo migliore depurato dalla violenza, dall’arroganza e dalla maleducazione. Un mondo dove sono centrali la cura e l’attenzione per l’altro, il buon senso e la competitività equilibrata. Gentletude è una ONLUS, presente sia in Italia che in Svizzera.
La produzione messa a disposizione dall’associazione è completamente gratuita sulla base dei Commons Creative Criteria (www.gentletude.com).

Come è nata l’idea?
Come molte cose, per caso. Prima del 2011 viaggiavo molto. Un giorno mi capitava di essere a New York e una settimana dopo in Senegal. Questa magnifica opportunità mi dava la possibilità di dedicarmi all’azione che più preferisco: osservare le persone, come si relazionano e come emotivamente affrontano i fatti della vita.
Questa mia sensibilità però mi donava ogni volta che rientravo a casa, la percezione che qualcosa stesse cambiando. Avevo come l’impressione che fosse in atto un raffreddamento globale dei rapporti e che elementi quali il menefreghismo, l’egoismo e l’arroganza fossero stati eletti come valori sui quali basare il vivere civile.
Quindi, come spesso accade, ho iniziato a lamentarmi e dopo alcuni anni, un giorno mi sono detta: “Perché non fai qualcosa invece di lamentarti?”. Alcuni mesi dopo ho fondato Gentletude Switzerland e a seguire in poche settimane Gentletude Onlus Italia.







E da Gentletude all’idea del libro?
Nel 2010 avevo pubblicato un libretto con la casa editrice Pagine d’Arte: Un giorno di ordinaria gentilezza. Voleva essere il mio primo atto concreto per fare qualcosa e soprattutto per mettere ordine nelle mie cose. Era un piccolo manuale che descriveva tutte le occasioni di gentilezza che si possono avere in una giornata dalla mattina alla sera. L’ho scritto prestando attenzione a quanto facevo, ho  poi riformulato il tutto in chiave gentile.
All’inizio del 2016 accarezzavo l’idea di condividere attraverso un libro i benefici dell’intraprendere un percorso di stile di vita fondato sulla gentilezza. Avevo iniziato già alcuni capitoli. Poi nel mese di novembre, grazie ad un articolo uscito sul Corriere della Sera, sono stata contatta da Sperling&Kupfer in quanto interessati a produrre un libro sulla gentilezza. A gennaio 2017 ho firmato il contratto, a fine maggio 2017 il libro era pronto e oggi con molto orgoglio e felicità è a disposizione del grande pubblico.

Cosa è la gentilezza per te?
Dopo questi anni passati a studiare il tema credo di poter affermare che la gentilezza è un elemento distintivo. È vero che spesso la gentilezza è confusa con il formalismo delle buone maniere, con la buona educazione o addirittura con altri temi importanti come la pace o l’amore.  Come è pure vero che molti la custodiscono in un cassetto, come si fa con le cose preziose, e la rispolverano solo per le grandi occasioni o per chi portano nel cuore.
La gentilezza è un elemento distintivo perché è alla base del nostro vivere civile. Come pensiamo di poter essere sensibili ai gravi fatti che accadono nel mondo se non ci prendiamo cura di quest’attitudine innata che va oltre la nostra cultura, il nostro credo, la nostra lingua o nazione e ci rende tutti cittadini dello stesso pianeta? La differenza tra una società gentile e una sgarbata sta nell’attitudine delle persone, nella volontà di condividere uno spazio fisico, dei progetti e dei sogni.
La definizione moderna di gentilezza credo si possa riassumere con: 
“L’applicazione di qualità superiore mirate ad avere cura a 360° di tutto ciò che ci circonda, per garantirci una migliore qualità di vita e il perdurare della nostra esistenza come specie responsabile.”
Sei sicura che gentili si diventa? Come?
Fino a pochi anni fa si pensava che l’essere umano fosse programmato geneticamente per essere egoista. Nel libro Il gene egoista, il biologo evolutivo Richard Dawkins, afferma che l’evoluzione della nostra specie è guidata dal gene egoista.  Dawkins asserisce che solo i geni utili a soddisfare i propri interessi vengono trasmessi, perché permettono a individui, animali, insetti e piante di sopravvivere. «Bisogna cercare di insegnare generosità e altruismo, perché siamo nati egoisti» affermava.
Nel 2011 un’équipe di psicologi, guidati dal professor Reut Avinum della israeliana Hebrew University, fa una sensazionale scoperta: nel compiere un atto gentile verso il prossimo il gene AVPR1A rilascia nel nostro cervello neurotrasmettitori che producono una sensazione di benessere fisico.
La straordinaria scoperta convalida, dunque, la teoria secondo la quale i comportamenti prosociali, ovvero quelli volti a produrre, mantenere e accrescere il benessere delle altre persone a prescindere dai benefici attesi, sono innati.
Certamente però la presenza innata di questi meccanismi, il contesto nel quale siamo immersi caratterizzato dal multitasking e da una continua proiezione verso il futuro ne rende difficile la loro applicazione.
Bisogna, dunque, allenare un altro strumento per il quale siamo pre-programmati: l’empatia. Attivare questa attitudine per diffondere gentilezza significa partire dalla relazione. È necessario un decentramento e considerare la relazione come un incontro tra l’«io» e il «tu», in una dinamica intersoggettiva dove io riconosco l’altro come al di fuori di me, separato e differente.

Come inizia il processo per diventare gentili?
Credo non si possa pretendere di avere cura degli altri senza prima averla verso se stessi.
Il percorso per basare la propria esistenza su uno stile di vita gentile inizia da questo.
A mio avviso, il primo passo da fare è quello di prendere coscienza che siamo unici e insostituibili e quindi diventa necessario rifiutare ogni imitazione; accettarsi per quello che siamo e imparare a perdonarci. «Di me ce n’è uno solo. Ogni essere vivente è unico e insostituibile». Questa la base dell’unicità delle specie viventi.
Essere fedeli a quello che si crede di essere permette di realizzare in modo compiuto la nostra esistenza e rinunciare a tutti quei modelli che sapientemente i media e il marketing cercano di inculcarci: che cosa dobbiamo mangiare, come vestirci, quale moda o tendenza seguire.
Adottare un tale atteggiamento verso se stessi, secondo me, significa la più alta espressione di libertà che si possa esercitare.
Concentrare l’attenzione su di sé, invece che sugli altri, fa anche bene all’autostima.
Per diventare gentili bisogna innamorarsi di se stessi. E innamorarsi non è forse la disponibilità a cambiare, a lasciarsi andare e a rischiare?


Qual è il Paese che rispecchia meglio i concetti di Gentilezza?
In verità, sebbene la base innata, la definizione di gentilezza varia geograficamente e da cultura a cultura. Quello che cambiano sono i modi con cui si applica il vivere civile. Ad esempio in Svizzera la gentilezza è basata sul tema del dovere e in Giappone su quello dell’onore e sembra che, in entrambe le nazioni, sia stata messa a sistema. In Italia, invece, si parla maggiormente di buona educazione e di come questa abbia subito nel tempo delle variazione a fronte di temi quali la delusione verso uno Stato assente e l’eccessiva libertà successiva ai decenni delle grandi dittature.

Come si può essere gentili con l’ambiente?
La mia “arte gentile” abbraccia il tema dell’ambiente e dell’importanza di averne cura. Nel libro indico alcuni piccoli suggerimenti per esserlo quali: diventare consapevoli uscendo dalla spirale del consumi­smo e ritornare responsabili del proprio potere di scelta,  limitarsi a poche cose e scegliere oggetti che perdurano nel tempo.  Ideale è applicare attivamente le 3 R: Riciclare, Riparare, Riutilizzare.

Come si esplicita la gentilezza nel mondo del lavoro?
Credo che con la crisi economica iniziata nel 2007 si stia lentamente superando quella condizione volta a massimizzare il profitto personale e si stia spostando l’ago della bilancia verso una maggiore partecipazione alla vita degli altri.
Grazie in particolare alla rivoluzione informatica e all’opportunità offerta dalla rete di tessere molteplici connessioni, si sta aprendo la strada a un nuovo mondo basato su rapporti dinamici e paritari. Attraverso un agire gentile con i propri lavoratori, clienti e fornitori, le aziende possono stare al passo con questo cambiamento considerando e facendo leva su tre elementi:

- La consapevolezza di non essere separate dal resto.
Ogni azienda, se considerata come un organismo, viene a trovarsi in una condizione osmotica con l’ambiente acquisendone le caratteristiche. Il rapporto di interscambio con il territorio coinvolge i lavoratori, i fornitori, i clienti più vicini fino alla comunità locale.

- Una leadership sensibile e disposta a partecipare al cambiamento.
I leader moderni, se desiderano entrare in osmosi con l’ambiente che sta cambiando a ritmi vertiginosi, devono coltivare le relazioni, il contatto personale e quindi ridurre la distanza psicologica inserendo nel loro bagaglio di competenze virtù quali la gratitudine, l’autenticità e l’umiltà.

- La consapevolezza di una nuova generazione che desidera il bene comune.
I ventenni di oggi, quelli della generazione X e della generazione Z, sono cresciuti nel bel mezzo dell’espansione di internet e hanno sviluppato uno spirito globale senza confini spazio-temporali e con un forte desiderio di lasciare il proprio segno nel mondo e sono disposti ad aiutare gli altri.


E se essere gentili fa sembrare un po’ “fessi”?
Effettivamente, oggi l’hashtag gentilezza non ha molti followers. Questo fatto può sembrare strano se si pensa che questa attitudine è innata. Il motivo è semplice, una società basata sull’individualismo, proiettata nel futuro e ipervelocizzata sviluppa, naturalmente, dei comportamenti aggressivi. Le possibili reazioni che abbiamo a disposizione sono due: ritirarci su noi stessi isolandoci o reagire con aggressività. Molte persone usano atteggiamenti aggressivi per farsi sentire, per imporsi credendo che questo sia il modo migliore per vivere in società.
Oggi, sempre più persone si accorgono invece che reagire in modo gentile conviene molto di più e i benefici sono molti, sia a livello fisico che psichico.
La gentilezza ha sicuramente tempi lunghi e necessita sicuramente di molta attenzione. Essere gentili significa farsi carico delle debolezze degli altri senza imporsi e senza imporre i propri tempi; è una dinamica attiva e richiede molta forza. Non è forse più facile reagire in modo aggressivo a un atto sgarbato che in modo gentile?

Cosa ti hanno insegnato gli “sgarbati” che hai incontrato?
Li ringrazio perché è grazie a loro che ho scoperto questo mondo e ho iniziato questa magnifica avventura.
Poi, nel tempo, nel tentativo di cercare di capire perché alcuni non riescono a essere gentili ho elaborato delle strategie che mi permettono di sopravvivere a quei piccoli, ma fastidiosi atti sgarbati che magari potrebbero rovinarmi una splendida giornata. Mi permettono cioè di tenermi in equilibrio ed evitare rovinose cadute verso un comportamento sgarbato o addirittura farmi tentare da atteggiamenti quali “Lo fanno gli altri lo posso fare pure io”.
I vantaggi di queste piccole strategie sono molti e portano alla riduzione dell’impulsività, alla cancellazione di qualsiasi elucubrazione su quanto è successo, a non portare nessuna rabbia o altre emozioni perturbanti da calmare e, infine, consentono di mantenere uno stato di benessere generale. 


Intervista a cura di Elena Sassi