Tra sogno e incubo: il curioso caso di H.P. Lovecraft

Il sogno e l'incubo. Vita e opere di H.P. Lovecraft
di Paul Roland
traduzione Alba Bariffi
Tsunami, 2017

pp. 224
€ 19,00


Si dice spesso che gli scrittori scrivano per sconfiggere i propri demoni. Se davvero è così, è una curiosa ironia che in passato, a finire peggio di tutti, siano stati proprio quegli scrittori che hanno scelto di vedersela non con demoni metaforici (alcolismo, dipendenze, smarrimenti esistenziali di vario ordine e grado), ma con autentiche creature soprannaturali, irsute, zannute o tentacolate: gli scrittori dell'orrore. Ai migliori di loro è spesso toccata la peggior sorte immaginabile: creare opere di valenza così archetipica da diventare subito parte integrante dell'immaginario collettivo, annientando il nome del loro autore. Hanno provato a combattere il loro demone, ma quello li ha risucchiati.

Dracula, Frankenstein, Carmilla, Jekyll e Hyde sono miti moderni che, per la loro stessa universalità, non hanno bisogno di contesto. Nessuno li ha inventati, come nessuno ha inventato Prometeo, Antigone o Achille. Il loro autore è un puro incidente di percorso, un semplice principio di causa efficiente. Bram Stoker, Mary Shelley, Le Fanu o Stevenson sono come servi di scena in un teatro, incaricati di un compito specifico: l'atto creativo necessario a modellare in forma plastica qualcosa che, nella nostra mente, esisteva già da sempre, paure e ansie a cui mancavano solo corpo e nome. Compiuto quel dovere, tornano dietro le quinte, nell'oscurità. Sulla scena resta il mostro, a rivestire un ruolo che era sempre stato suo, da prima del tempo.

Il principale sopravvissuto a questa specie di oblio parricida si chiama Howard Phillips Lovecraft. Fin dall'inizio la sua figura si è inscindibilmente saldata alla sua opera e all'universo immaginario da lui creato. I miti di Cthulhu, i Grandi Antichi che dominavano il mondo in un passato immemorabile, l'arabo pazzo Abdul Alhazred, l'empio Necronomicon custodito nei più reconditi recessi della Miskatonic University: nessuna delle componenti della frammentata mitologia lovecraftiana è mai riuscita a oscurare il nome del suo creatore. Tutt'altro. Con il passare degli anni, dopo la sua morte Lovecraft ha subito ancora un'evoluzione ulteriore: "assorbito" dalla cultura popolare, è stato trasformato in un elemento integrativo di quella stessa mitologia che aveva fondato. È diventato, in altre parole, un personaggio lovecraftiano.

Al di là dell'influenza diretta esercitata dai suoi testi, Lovecraft stesso compare spesso in prima persona in vari romanzi e racconti che lo vedono coinvolto in situazioni tipicamente lovecraftiane (reincarnazioni, possessioni extradimensionali), quando non esplicitamente impegnato a combattere le sue stesse creature. Ray Bradbury, David Barbour, Richard Raleigh, Robert Anton Wilson, Robert Shea e altri gli hanno dedicato camei o veri e propri ruoli. Ricorre in episodi di serie tv e rielaborazioni biografiche a fumetti (Providence di Alan Moore), oltre che in corti e lungometraggi, come il breve ma suggestivo Lovecraft's Pillow di Mark Steensland, ispirato da un'idea di Stephen King.

Per non parlare delle rivisitazioni, in senso più o meno esoterico, della sua biografia. Le teorie sulla reale esistenza del Necronomicon. I suoi sogni interpretati come autentiche esperienze extracorporee. Addirittura alcuni legami che lo ricollegherebbero per via paterna alla massoneria egizia e, per tramite della moglie Sonia Greene, ad Aleister Crowley.

A separare la finzione dalla realtà è intervenuta, negli anni, una nutrita serie di studi biografici, che hanno cercato di sottrarre Lovecraft alle deviazioni fanatiche dei complottisti per riportarlo al contesto storico e letterario in cui è maturata la sua opera. Il più recente è stato appena tradotto da Alba Bariffi per Tsunami Edizioni, che l'ha anche corredato di un ricco ed efficace apparato iconografico: Il sogno e l'incubo di Paul Roland, cantautore del rock-folk psichedelico inglese. Una biografia divulgativa di buon livello che accompagna visione d'insieme e attenzione al dettaglio, unendo l'esposizione di fatti ed eventi con l'evoluzione della narrativa di Lovecraft e del suo universo mentale grazie a una conoscenza approfondita dell'opera e della vastissima corrispondenza.

Ne risulta un quadro d'insieme spietatamente realistico. Lungi dal vestire i panni di uno studioso di arti oscure, di un archeologo o di un altro dei suoi alter ego letterari, Lovecraft visse tutta la sua vita alle prese con la costante frustrazione del fallimento. Naufragata, in seguito alla bancarotta del nonno, ogni possibilità di vivere come un nobile inglese trapiantato nel Nuovo Mondo, Lovecraft non si rassegnò mai all'idea di dover lavorare per vivere: perciò trascorse l'esistenza come un vecchio aristocratico decaduto in balìa di un mondo che non comprendeva e non accettava. Senza contare le violenze emotive inflittegli dalla madre instabile, che cercava continuamente di convincerlo di essere bruttissimo, deforme e condannato alla solitudine.

Un mix di tare ideologiche e psicologiche che segnarono profondamente l'infanzia e l'adolescenza di Lovecraft, incidendo in lui i tratti distintivi del suo carattere: insoddisfazione sociale, anaffettività, egoismo e forse anche quello strisciante razzismo verso gli stranieri (ebrei, polacchi, asiatici) che emerge da alcuni racconti e molte lettere. A peggiorare la situazione, la difficoltà di soddisfare la sua principale ambizione: vivere di scrittura. Per tutta la vita Lovecraft si barcamenò tra collaborazioni saltuarie, mal pagate o non pagate affatto, servizi come ghostwriter, giornalismo amatoriale (l'unico ambiente in cui fece una certa carriera), partecipazione a riviste di qualità sempre più scadente che lo umiliavano come scrittore e creavano spesso anche dissapori con la moglie, dal cui lavoro si basava la sopravvivenza economica della coppia. Intanto la miseria cresceva, il suo matrimonio falliva, i riconoscimenti latitavano e la salute si deteriorava.

Unico rifugio da una realtà così tetra, la scrittura: che per Lovecraft, più che una passione, fu un incontrollabile, irrefrenabile monomania. Oltre ai romanzi e ai racconti con cui avrebbe rifondato il genere horror, Lovecraft passò letteralmente la vita a scrivere: saggi, articoli di giornale, migliaia di poesie, centinaia di migliaia di lettere. Scrisse persino durante la prima notte di nozze: Sotto le piramidi, un racconto per Houdini di cui aveva scordato le bozze alla stazione di Providence e che ricostruì con l'aiuto di Sonia, per consegnarlo all'editore il mattino dopo. Una produzione incalcolabile e ancora oggi in corso di studio, che Roland ripercorre puntualmente per seguire la genesi e lo sviluppo dei temi principali della narrativa lovecraftiana.

Il punto forte della biografia di Roland è l'intenzione di inquadrare Lovecraft nell'ottica di un'evoluzione della letteratura del terrore di cui costituisce, per molti versi, il decisivo punto di svolta. Forse è un po' grossolano dichiarare che "prima di Lovecraft non esisteva un genere horror in quanto tale", ma è senz'altro vero che fu lui a modificarne profondamente forma, contenuti e tematiche. Non tanto per il cambio di scenografia, pure fondamentale nel processo di creazione di un "horror urbano americano" ambientato non in brughiere e castelli ma in cittadine di provincia o grandi metropoli, quanto per l'idea di fondo che governa l'intera narrativa lovecraftiana: l'esistenza, subito oltre il piano di realtà che siamo in grado di percepire, di una dimensione estranea che coesiste con la nostra a un livello tangente ma inspiegabile, filtrando talvolta di qua e producendo fenomeni incomprensibili. L'orrore cosmico di Lovecraft innesta sul genere una prospettiva molto diversa da quella che caratterizzava, per esempio, la narrativa di Poe o di Lord Dunsany (i suoi principali riferimenti letterari), e molto più complessa di quella degli altri esponenti della contemporanea weird fiction, facendone il punto d'inizio di molte esperienze letterarie successive, non solo di genere, fino alle vette più alte dell'opera di Stephen King.

Ma Lovecraft credeva a ciò che raccontava? È un punto su cui Roland torna spesso, anche se una risposta certa è impossibile – e probabimente inutile. Il suo approccio alle implicazioni soprannaturali e non razionali dei temi che trattava è sempre contraddistinto, nelle riflessioni teoriche e nelle lettere agli amici, da un'eliminabile contraddittorietà intrinseca. Da un lato, il suo background scientifico (da piccolo sognava di diventare un chimico o un astronomo) e le aspirazioni accademiche che non riuscì mai a realizzare lo indussero sempre a tenere salda la presa su una visione disincantata, quando non addirittura derisoria delle esperienze paranormali: Lovecraft non si capacitò mai, per esempio, che molti suoi lettori potessero anche solo considerare l'idea che il Necronomicon esistesse davvero. D'altro canto, nelle dichiarazioni programmatiche contenute in più di un racconto (come l'angosciante La casa evitata), si respira un agnosticismo possibilista che sembra talvolta superare i confini delle opinioni del personaggio per estendersi a quelle dell'autore. Come se talvolta anche Lovecraft, con tutto il suo sussiego razionalista, non se la sentisse di tenere del tutto chiusa quella porta.

E poi ci sono i sogni. Come Roland sottolinea più volte, le più riuscite creazioni lovecraftiane si formano nel corso di una vita onirica parallela a quella reale, che per Lovecraft costituì sempre la principale fonte d'ispirazione. Tramite tecniche di incubazione del sogno che consistevano nel concentrarsi intensamente su un testo o su un'idea prima di coricarsi, Lovecraft riusciva spesso a procurarsi, in sogno, le visioni che poi da sveglio trasferiva su carta, spesso scrivendo di getto e non rileggendosi (e qui dobbiamo dare a Roland un altro merito: l'obiettività di giudizio, rara nei fan, di constatare che Lovecraft spesso scrive male, ingolfando le sue storie di avverbi, aggettivi e prolissità varie buoni solo ad annacquare l'atmosfera dei racconti; un difetto di stile di cui lo stesso Lovecraft era dolorosamente consapevole). Così nacque, tra gli altri, il Ciclo dei Sogni, ispirato alle opere di Lord Dunsany ed elaborato, in buona parte, proprio in sogno. Tanto da far credere ad alcuni che Lovecraft ritrovasse in quei sogni non solo un passaggio a dimensioni aliene, ma persino i residui dei ricordi di vite precedenti.

Lo stesso Roland, curiosamente, si lascia andare qua e là a sporadiche concessioni in questo senso, non escludendo che alcuni dei racconti onirici di Lovecraft possano effettivamente spiegarsi con il richiamo alla reincarnazione o a fenomeni simili. Tuttavia, fatte salve queste derive e alcuni poco convincenti tentativi di interpretare in chiave psicanalitica i miti di Cthulhu, Il sogno e l'incubo è un testo di piacevole lettura che riesce a tratteggiare in modo coerente ed esaustivo il quadro di una personalità estremamente complessa: un uomo nato postumo e vissuto alla deriva che, con tutti i suoi difetti, le sue contraddizioni e i suoi limiti, ha prodotto una dirompente linea di faglia nell'elaborazione non solo di un genere letterario, ma di un intero modo di leggere la realtà. C'è un prima di Lovecrat e un dopo Lovecraft, non solo nella narrativa dell'orrore, ma nella letteratura tout court.

Forse gli appassionati non troveranno nella biografia di Roland nulla che non sappiano già, ma per i neofiti del culto di Cthulhu, in assenza del Necronomicon, Il sogno e l'incubo è un buon portale per muovere i primi passi nell'oscuro universo mentale di H.P. Lovecraft, il solitario di Providence.


Luca Pantarotto
@HoldenCompany