"La rilegatrice di storie perdute" di Cristina Caboni


La rilegatrice di storie perdute
di Cristina Caboni
Garzanti, 2017

pp. 296
€ 17,60


Il titolo è di quelli che attirano: quanta magia c’è nell’idea di rilegare storie perdute? Nel ricucire quello che un inciampo della fortuna ha strappato, diviso (le pagine di un libro, l’inizio e la fine di una storia, gli indizi di un giallo, i personaggi di una storia d’amore) e che sembra destinato a scomparire, a perdersi nel tempo?
Pensiamoci un attimo: non si tratta solo di completare, di mettere al suo posto l’ultimo pezzo del puzzle, ma di ricordare. Come quando in fondo all’armadio spunta la maglietta assurda di una band che ci ha fatto impazzire da ragazzini, portando con sé il rumore della folla al concerto, la memoria della mano di una vecchia amica, del litigio all’ingresso e della birra all’uscita.

In La rilegatrice di storie perdute, quarto romanzo di Cristina Caboni, a mettere insieme i pezzi di una storia dimenticata è Sofia Bauer, bibliotecaria di Roma alle prese con la separazione dal marito Alberto. Sofia si imbatte in una vecchissima edizione di uno scrittore romantico e decide di restaurarla. Ma le rilegatrici sono due: c’è anche Clarice, nobildonna vissuta i primi dell’Ottocento tra Vienna e Roma, che ha appreso l’arte della rilegatura in segreto.
Tra le due donne c’è una corrispondenza incredibile: la comune passione per i libri, spesso usati per evadere dalla realtà, un matrimonio sbagliato, il bisogno di fuggire e ricominciare. A connetterle è, naturalmente, il libro che Sofia sta restaurando, che nasconde pagine segrete scritte da Clarice. La ricerca della verità porta Sofia a incontrare Tomaso Leoni, schivo e affascinante grafologo, l’unica persona con cui Sofia non senta la necessità di “un negoziare continuo, un trovare compromessi”, l’unico con cui tornerà a “essere se stessa completamente”.

C’è indubbiamente molto fascino, dicevamo, nell’idea di trovare un libro antico, una storia, mettersi a investigare sulle tracce di un passato sbiadito. Purtroppo il fascino è proprio ciò che manca a questo romanzo.
Molto della magia di un libro viene dal suo linguaggio, dalla capacità dell’autore di inserire dialoghi serrati dove servono, in altri casi solo descrizioni, gesti. E a volte nulla (l’effetto del taglio di una frase, che rende la narrazione meno didascalica, può essere enorme). A mio giudizio qui manca il ritmo. Ho provato a chiedermi se il problema non fosse un altro: ho sbagliato libro, ma agli estimatori del genere questo tipo di linguaggio piace da matti. Non credo sia questo il punto: il romanzo è costruito sull’alternanza di due storie che procedono in parallelo ma sono narrate con un registro completamente diverso. Tra i due ho preferito quello della storia di Clarice, perché meno ridondante, più asciutto, efficace (pur essendo la sua storia ambientata due secoli fa). Quanto a Sofia, le parole della sua storia sono artificiose, costruite; troppe moine, sguardi, troppi dettagli banali di cui il lettore può anche fare a meno. Trovo che una parte del romanzo (quella ambientata ai giorni nostri) penalizzi l’altra.
Altra nota dolente: questa edizione del libro presenta diversi errori grammaticali, che francamente disturbano la lettura (per chi se ne accorge; per gli altri, è un’occasione mancata di imparare qualcosa da un libro).

Interessante, invece, l’idea di far precedere ogni capitolo da una citazione (Goethe, Dickens, Hemingway, Shelley, Austen, solo per citarne alcuni). È questo, credo, uno degli aspetti del volume che meglio esprimono l’amore per la lettura, la volontà dell’autrice di scrivere per gli appassionati, per chi considera il libro un fine e non un mezzo. Questo e, certamente, il fatto stesso che i libri siano ciò che salva le due protagoniste, in un caso offrendo un rifugio, nell’altro una spinta a rimettere in movimento la vita. Per un romanzo che ha l’ambizione di esprimere la passione per la lettura, di parlare con i librai e i lettori, però, il linguaggio non è adeguato, il finale è un po’ debole (parlo sempre della storia di Sofia, quella di Clarice sarebbe bastata a se stessa, sotto ogni punto di vista), il risultato non convince.


Francesca Romana Genoviva