"Il primo Dio", la riscoperta di un poeta maledetto

Il primo Dio
di Emanuel Carnevali
D editore, 2017

pp. 224
€ 12,90



Per Strade Maestre, la nuova collana dedicata alla narrativa italo-americana di inizio novecento di D editore, è stato scelto come romanzo di partenza Il primo Dio. Perché questa scelta?
Ho assistito alla presentazione a Roma di questo libro, presenti l'editore, il curatore di collana, lo scrittore Einaudi Sandro Bonvissuto e la book blogger Veronica Giuffré. Ciò che tornava sempre nelle loro parole era la volontà di riscoprire autori che, per motivi legati a sfortunate peregrinazioni editoriali o semplicemente a logiche del mercato, sono stati quasi cancellati dalla storia della letteratura pur avendo avuto a che fare con personaggi come Sherwood Anderson, Ezra Pound e Benedetto Croce.
Carnevali dunque rappresenta bene l'intento della collana: dalle pagine di questa autobiografia neanche troppo mascherata emergono i travagli e i dissidi interiori dello scrittore fiorentino, ben rappresentati dai continui spostamenti e da una incapacità di fondo di appassionarsi ai luoghi. Arriva in un'America fatta di luci, macchine e strade ampie: sono gli anni venti del grande sogno americano, e proprio qui nel Primo Dio sembra di ritrovare le atmosfere del Grande Gatsby che tanto fanno pensare a quella bella illusione che si è infranta con la grande depressione.
Dalle pagine del libro emergono anche la solitudine e la perenne insoddisfazione di Carnevali, non a caso spesso definito come ultimo dei poeti maledetti: pensiamo di nuovo al continuo peregrinare (l'America, sì, ma anche Bologna, Firenze, Venezia) ma anche e soprattutto alle intense ed evanescenti passioni che lo scrittore vive durante la sua breve esistenza. Il suo è un modo di amare che travalica il genere e che non guarda al ceto e alle condizioni economiche. È proprio la frequentazione con prostitute, ubriaconi e personaggi al limite della legalità che fa scandalo e che spesso lo allontana dai salotti buoni dell'intellighenzia americana.
Carnevali spreca diverse occasioni, è incapace di tenersi un lavoro, i suoi turbamenti lo portano vagare senza sosta fra un interesse e l'altro. Solo la scrittura sembra dare qualche conforto, quella scrittura che spesso sfocia nella confessione e nell'autocommiserazione, e che tuttavia proprio questo sa di verità. C'è una schiettezza nelle pagine del Primo Dio che lascia sconcertati. Carnevali non prova vergogna nel parlare di sé e dei suoi fallimenti, degli amori naufragati e del sesso sempre a limite, nella sua concezione, fra libertà e repulsione.
La scrittura dal linguaggio semplice è condita con un'autoironia che rende il tutto godibilissimo. Ma non sono né l'ironia né la semplicità il punto di forza di questo "romanzo", bensì la poesia. La delicatezza è la chiave di volta di questo ragazzo partito per gli USA a sedici anni, e la delicatezza è ciò che lo tiene sospeso fra il dolore e la felicità. Un animo fragile, quello di Emanuel Carnevali, inadatto alla vita e perciò tanto più portato per la scrittura.
La sua fragilità e la sua fermezza possono essere riassunte in queste poche righe di una potenza irrecuperabile.
Ci sono parole che sono come canarini che uno strozza tra le dita, e queste sono parole che non si possono dire mai.
Un autore da riscoprire, dunque, che tanto può dirci degli italiani che siamo stati e che a volte dimentichiamo di essere ancora: con l'occhio sempre al mondo e il cuore rivolto a ciò che abbiamo lasciato a casa.

David Valentini