"L'età ingrata": tutte o nessuna? Il nuovo romanzo di Francesca Segal

L’età ingrata
di Francesca Segal
Bollati Boringhieri, 2017

pp. 361
€ 18,00 

Titolo originale: The Awkward Age
Traduzione di Manuela Faimali 



Julia è una vedova londinese, insegnante di pianoforte e madre di un'adolescente, Gwen. James è biondo, solido, pragmatico. Ha un matrimonio fallito alle spalle e due figli, Nathan e Saskia, che stanno a loro volta cercando di crescere nonostante le idiosincrasie dei genitori. Quando James e Julia si innamorano e decidono di andare a convivere, concedendosi una seconda occasione di felicità, la loro decisione ha importanti ripercussioni sull'intera cerchia famigliare, in cui vengono alterati equilibri per lungo tempo dati per scontati:  "se 'andare avanti' era un concetto astratto, 'andare a vivere insieme' era un gesto concreto, intenzionale e ineludibile" (20). È prevedibile fin da subito - e i due innamorati paiono gli unici a non capire finché non è troppo tardi - che le cose ben presto si complicheranno e inizieranno i guai, nella forma di una tempesta ormonale che si abbatte sul nido appena costruito rivelandone tutta l'instabilità.
La trama è semplice, già sdoganata da innumerevoli romanzi, film, serie televisive; quello che fa la differenza sono allora lo stile narrativo e lo spessore che l'autrice riesce a conferire alle figure che popolano il suo romanzo: Gwendolen, fragile e insicura, che ritrova la propria identità solo modellando figurine di plastilina e riproducendo in scatole da scarpe gli scenari della propria vita, per poi postarli in un blog online, al fine di oggettivarli e renderli finalmente comprensibili. Nathan, bello e sicuro di sé, invaghito del proprio ciuffo, ambizioso come il padre gli ha insegnato ad essere; Pamela, l'ex moglie, invadente ed esuberante come nessun altro, femminile e abbondante come una Venere paleolitica, femminista convinta e madre disattenta; Philip e Iris, i suoceri di Julia, divorziati da anni eppure ancora in simbiosi reciproca, nonni attenti e custodi della memoria in nome del figlio defunto, in cerca di una stabilità che tarda ad arrivare (lui, colto e delicato; lei, determinata e dominante: due personalità complementari che forse hanno bisogni diversi, ma tardano a rendersene conto).

Francesca Segal rivela una straordinaria incisività, la capacità di cogliere con pochi tratti la complessità di una situazione, il quadro di una o più esistenze. Il romanzo presenta una caratterizzazione intelligente dei protagonisti, attraverso pochi tratti psicofisici e un sondare delicato e mai invasivo delle motivazioni del loro agire. La narrazione è mossa grazie a un continuo cambio di focalizzazione, che spiazza il lettore portandolo ad assumere via via e senza preavviso la prospettiva dei diversi personaggi. È impossibile schierarsi, portati come si è a parteggiare di volta in volta per l'uno o per l'altro, tutti efficaci sostenitori delle proprie ragioni, tutti mossi da impulsi, se non condivisibili, quantomeno pienamente comprensibili. I sentimenti a cui i soggetti raffigurati si abbandonano non sono quasi mai nobili: la rabbia, l'invidia, la meschinità gratuita, la gelosia, il capriccio. I genitori sono fallibili e naturalmente portati a difendere il proprio territorio e la propria prole, accecati da un amore che a volte si rivela più dannoso che utile; i figli sono viziati ed egoriferiti. Tutti appaiono complicati, sfaccettati ed umanissimi. Quella che viene rappresentata è la vita comune di una famiglia allargata, piena di alti e bassi, e per questo non prevedibile nei suoi sviluppi. Il lettore sa che quello che legge potrebbe capitare anche a lui, e l'autrice lo fa entrare in tale confidenza con i suoi personaggi da rendere immediata e quasi totale l'identificazione. 

Viene da chiedersi, a un certo punto, quale sia dopotutto l'età ingrata. Davvero è quella degli adolescenti, in balia di desideri che li trascendono, pieni di furiose rivendicazioni e bramosi di autonomia, ma in realtà bisognosi soprattutto di regole che li limitino, di conforto e rassicurazione da parte delle figure di riferimento? O non è forse quella dei genitori, non più giovani, che investono tutte le proprie speranze nei figli e si trovano delusi, incapaci di guidarli e di proteggerli da loro stessi e dai dolori dell'esistenza? O ancora quella dei nonni, che hanno più tempo dietro alle spalle che davanti, che hanno dovuto seppellire un figlio amatissimo e vivono in funzione di chi resta, mentre vorrebbero ancora coltivare le proprie passioni, avere relazioni,  condurre giornate piene nonostante i disagi e le limitazioni fisiche? Fino alla fine permane il dubbio, alimentato con grande sensibilità da Francesca Segal, che ritrae nella sua ambivalenza ogni età, ingrata e bella, piena di possibilità e punti oscuri. Ma il romanzo, stratificato e pieno di spunti, vuole essere anche una riflessione sulla genitorialità - anche questa indagata attraverso tutte le età e le fasi della vita; oggetto apparente dell'indagine è prima di tutto il rapporto biologico e viscerale tra una madre e una figlia: 
Tempo prima, a un piano diverso dello stesso ospedale, Julia aveva cullato la neonata Gwen sapendo quale sarebbe stato il compito del suo corpo: proteggere quella bambina dalla sofferenza, per tutta la vita. Il cordone che le univa era stato reciso ma la figlia le pulsava nelle vene e le riempiva il cuore. Avrebbe avuto una vita piena di bellezza, le aveva promesso - una simile perfezione non meritava niente di meno. Che arroganza! Le attenzioni non sarebbero bastate a tenere lontana la figlia dai germi, dalle cadute, dai bulletti al parco giochi, dalle allergie o dai litigi con le amiche, dagli insegnanti che la consideravano distratta o irascibile, che non riuscivano a vedere il suo talento e il suo fascino straordinari. Julia aveva fallito tantissime volte e non le era rimasto che soffrire per Gwen, soffrire con Gwen, e cercare di rimediare dopo ogni piccolo disastro. (248)

Era ingiusto - le aveva fatto credere che ci sarebbe sempre stata. Gwen le aveva offerto la sua vita, le pene e le gioie, le preoccupazioni e le esigenze, aveva lavorato sodo per fare in modo che la madre fosse appagata e soddisfatta, e la sua identità si era forgiata intorno a quella convinzione, plasmata come edera intorno a un tronco robusto. Ora Julia si era tirata indietro. Senza la madre al centro del suo mondo, Gwen vacillava. Se prima dava l'impressione di essere forte era perché c'era Julia a sorreggerla (153).
Al tempo stesso, tuttavia, la riflessione si allarga a intendere la genitorialità nel suo significato estensivo di accudimento, di implicazione totale con la creatura che abbiamo generato e dobbiamo difendere a ogni costo, che sentiamo parte di noi. La Segal mostra di questo essere genitori gli squilibri e le debolezze, l'incapacità di prendere bene le misure e capire quando è il momento di fare un passo indietro o quando invece viene quello di imporsi ed essere figura ingombrante e necessaria. Lo fa, va detto, con grande grazia, e con la cautela dovuta a personaggi che si sentono vicini, a cui si guarda con affetto. La genitorialità tocca tutti, in un modo nell'altro, e tutti ferisce e rende più forti. Tutti sono chiamati ad essere responsabili per qualcun altro, a farsi carico - volenti o nolenti - del loro vicino, a rinunciare a una parte di sé in nome del "figlio". L'età ingrata è un romanzo leggero (nello stile che scivola rapido, nel sorriso che spesso indugia tra le righe), ma tratta temi importanti, sondando gli abissi e le dinamiche relazionali di una famiglia, in cui tanti potrebbero riconoscere la propria.


Carolina Pernigo