#PagineCritiche - Cittadinanza, bellezza e potere nel saggio di Michela Murgia

Futuro interiore
di Michela Murgia
Giulio Einaudi Editore, 2016

pp. 84
12,00


Metaletteratura: dentro la letteratura, ossia attraverso la letteratura scrivo. E' questo lo stile scelto da Michela Murgia per aprire il suo saggio Futuro interiore, un pamphlet che parla del futuro, della cittadinanza, della bellezza, del potere e delle gerarchie. Cita Arto Paasilinna che con il suo romanzo satirico Prigionieri del paradiso, accentra l'attenzione sulla creazione di una società che in verità si basa sul genere di regole e convenzioni a cui tutti siamo già abituati. Lo scopo del romanzo è evidenziare come “nulla si crea dal niente” e tutto parte da un'organizzazione sociale preimpostata e già preesistente nel mondo. I dispersi -una comunità di passeggeri vittime di un naufragio aereo- hanno due obiettivi: sopravvivere e farsi notare dai soccorsi. 
Per fare questo si videro costretti a darsi un'organizzazione sociale che, dapprima strutturata in modo elementare, col passare dei giorni diventò sempre più complessa e simile a quelle delle socialdemocrazie di rispettiva appartenenza, esprimendo un sottinteso deterministico e disperante: non importa quante isole deserte si avranno a disposizione per ricominciare da capo a immaginare mondi migliori, non potranno comunque essere troppo diversi da quelli che abbiamo già abitato, né prescindere totalmente da quello che già siamo stati.

Un ampio discorso parallelo che rimanda alla memoria, con caratteristiche stilistiche differenti, alla Fattoria degli animali di George Orwell. Ed è esattamente di potere, sebbene in termini diversi, la Murgia giunge a trattare dopo aver analizzato altri fattori. Come per esempio il fattore nascite, calate in maniera netta negli ultimi anni non soltanto in Italia, ma anche in Europa. Si valuta circa un figlio per donna, rispetto ai due in media di Svezia e Francia o spostandoci decisamente più lontano, ai tre del Ghana e ai cinque del Niger. Da questo passaggio la scrittrice arriva a valutare le tecniche attuali e vigenti per ottenere la cittadinanza e sulla nostrana difficoltà a diventare effettivi cittadini d'Europa.
Essere cittadini d'Europa oggi significa aderire a un'idea di cittadinanza statica, che porta il peso inevitabile di un logoramento che rende molto difficile l'eventualità di ripensarla. Allo stesso tempo però quel ripensamento appare indispensabile e non più rimandabile: i vecchi schemi di definizione dell'appartenenza hanno smesso di funzionare, ma è ancora lì, in quello spazio di relazione dove si definiscono le nuove identità, che l'Europa potrà forse giocarsi la possibilità di avere un ruolo nella storia futura del mondo.

Il concetto di identità ammuffisce, rende stabili inteso come “immobili”, non aperti al diverso e al cambiamento; il concetto di appartenenza invece è aperto, libero e volto a dare possibilità di variare, di accettare qualcosa di alieno rispetto alla propria abitudine, qualsiasi essa sia. Attualmente esistono soltanto due modi per ottenere la cittadinanza e sono lo ius soli, il diritto del suolo e lo ius sanguinis, il diritto di nascita.
Entrambi i sistemi di attribuzione della cittadinanza prescindono infatti dal dato di libertà a cui la nostra modernità attribuisce il massimo valore: la volontà personale che si esercita coscientemente attraverso la scelta. Nessun bambino si sceglie il sangue di nascita, né una bambina può determinare il suolo in cui vedrà la luce. Non ci sono meriti né colpe nel nascere in Europa o in Africa, in Asia o in America, eppure le attuali leggi europee (e l'orientamento restrittivo che le sta modificando in peggio per impedire ai migranti di continuare ad arrivare) sono molto chiare in merito: le merci possono circolare liberamente, ma le persone devono stare il più possibile ferme nei luoghi in cui sono nate e cresciute, pena l'instabilità degli equilibri demografici e culturali faticosamente raggiunti.

Il libello si divide in tre parti, fatta esclusione dell'introduzione dedicata al romanzo dello scrittore finlandese: la prima è Cittadini di un mondo scelto che, come analizzato, è dedicata all'identità e alla cittadinanza; la seconda è Abitare la democrazia, in cui la scrittrice pone l'accento sulla bellezza in senso architettonico collegata al potere, e la terza parte è Capitani contagiosi, incentrata sul potere e sulle gerarchie.
Tre parti complesse e attuali, pregne di politica (dove per politica si intende la “scienza e tecnica, come teoria e prassi, che ha per oggetto la costituzione, l'organizzazione, l'amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica”) e di considerazioni sociali e personali della scrittrice che per premessa trae spunto dalla visione disillusa e distruttiva dei quaranta-cinquantenni dei giorni nostri. Una visione negativa che parte dal presupposto che in qualità di cittadini di mezzo, genitori in alcuni casi dei nativi digitali, non riescono a porsi domande e a trovare risposte a tutti quei problemi che andrà pagina dopo pagina a sollevare, rei di non riuscire a immaginare un futuro migliore.

Chi attraversa i fondamentali dieci anni che scorrono tra i quaranta e i cinquanta si trova oggi in una situazione non molto diversa da quella dei naufraghi di Paasilinna. Figlia dei baby boomers e genitrice dei nativi digitali, quella degli anni Settanta è una generazione ammarata nel mezzo di due fondamentali cambiamenti paradigmatici, uno sociale e uno tecnologico, e ancora fatica a trovare una dimensione storica da poter chiamare propria. Esiliati dalle ideologie e arrivati ai linguaggi digitali come si arriva da adulti a una lingua straniera, i quaranta-cinquantenni attuali hanno mancato il tempo di ogni rivoluzione e lo sanno. Precari e individualisti, sono dei sopravvissuti che si aggirano tra le macerie di guerre sociali che non hanno combattuto e abitano il proprio presetne con la sensazione di non potervi davvero risiedere, perché il loro mondo, se c'era, non era questo, non così. […] Hanno però qualcos'altro, ma non sempre sembrano averlo capito: un'eredità importante da lasciare a chi verrà, fatta di domande che fanno ancora paura e di tentativi di risposta che siano più coraggiosi di quello che noi ci siamo potuti permettere di essere. […] Dentro -queste pagine, ndr- c'è la convinzione ostinata che non ci sono colpe del passato né pesi nel presente che possano esimerci dal prenderci la responsabilità di sognare il futuro.