Per l'anno brontiano, "Ashworth"

Ashworth
di Charlotte Brontë
traduzione di Alessandranna D'Auria
Flower-ed edizioni, 2017

pp. 116

€ 15 (cartaceo)
€ 7,99 (e-book)

Quando pensiamo alle sorelle Brontë ci vengono in mente grandi distese di brughiere inglesi, amori contrastati e donne impavide che sono diventate le eroine di centinaia di romantiche adolescenti.

Anche io faccio parte di quella schiera di lettrici che si sono appassionate alle gesta di Jane Eyre e Mr Rochester perciò, quando ho saputo che esisteva Ashworth, opera inedita dell'adorata Charlotte Brontë portata in Italia grazie alla sapiente traduzione di Alessandranna D'Auria, non ho saputo resistere all'idea di rivivere le emozioni che solo i classici della letteratura inglese dell'Ottocento sanno regalare.
Ashworth è un'opera nata nel 1839, dopo che la Brontë decise di dare il suo addio ad Angria, il lungo ciclo di racconti scritti durante il periodo della sua infanzia e di parte dell'adolescenza: l'intenzione che la muoveva era quella di porre fine alle novelle basate sui suoi sogni di bambina, agli Juvenilia che aveva scritto con i fratelli, per iniziare a raccontare qualcosa che valesse la pena di essere pubblicato, per dare una forma concreta al sogno di entrare a far par parte del grande mondo della letteratura.

L'opera che scaturì dalla sua penna costituisce uno dei quattro romanzi incompiuti (o forse incompleti? Proveremo a capirlo) che sono giunti fino a noi, frutto della preziosa ricostruzione di Melodie Monahan, una storia nella quale l'amore è appena accennato e ove è possibile trovare in nuce già tutti i grandi temi che si presenteranno nell'opera più matura della Brontë, Jane Eyre.

Per comprendere appieno come sia nata quest'opera è, però, essenziale contestualizzarla e capire la sua genesi.

E' nota a tutti la triste storia familiare che ha per protagonisti i Brontë, una famiglia segnata dalla morte di due figlie, perite a causa degli stenti patiti nella scuola (le cui crudeltà torneranno nell'istituto nel quale viene educata Jane Eyre), e della madre Maria. 

E' chiaro che a eventi così tragici si può reagire solo in due modi: chiudendosi in un dolore cieco o contrastandoli con forza. E Charlotte scelse di reagire, di vivere: iniziò a scrivere e capì (precorrendo i tempi) che la scrittura costituisce una medicina potentissima, una terapia formidabile contro tutti i dolori che la vita sembra spesso infliggerci.

Nella scrittura riversò tutti i suoi sogni, le sue speranze, unica via di fuga da una realtà che imponeva alle donne dell'epoca pochissime alternative e, su tutte, privilegiava la strada del matrimonio di convenienza.

Charlotte non si sentiva tagliata per una vita simile, rifuggiva dalle scelte di comodo, non le interessava accontentarsi per farsi accettare dalla società, e così portò avanti con coraggio il suo sogno, convinta che solo nella scrittura avrebbe potuto trovare un riscatto.

Parlando ora della trama del racconto, giova iniziare col considerare che Alexander Esquire Ashworth ha molte delle caratteristiche che ci fanno pensare a Mr. Rochester: è un uomo affascinante appartenente ad una nobile famiglia, è colto ma (a differenza di Rochester) dilapida presto il suo patrimonio a causa di una vita fatta di eccessi e sregolatezze.

La Brontë ci racconta che una figlia di Ashworth, Mary, nutre qualcosa per Arthur Ripley West ma, proprio nel momento in cui scrive che quest'ultimo
" (...) sta per diventare il nostro eroe (...) "
il testo si interrompe.

Ashworth è un'opera che presenta ancora molte immaturità, molti punti oscuri, primo tra tutti il non riuscire ad individuare chiaramente un protagonista, disorientando il lettore e disperdendo la sua capacità di concentrazione. Allo stesso tempo, però, presenta dei passaggi davvero degni di nota:
" (...) Mi perderei se tentassi di avventurarmi nelle tenebre selvagge dove scorgo la sua luce errante splendere, per un istante, su stagni di canne tra le quali guizzare (...) ".
Purtroppo il racconto verrà giudicato inadatto alla pubblicazione dal poeta Wordsworth e da Hartley Coleridge (figlio di Samuel Taylor), ma anche questo rifiuto servirà a Charlotte perché non la scoraggerà, ma anzi rafforzerà il suo intento di continuare a scrivere, di dare voce ai personaggi che si muovevano nelle sue adorate brughiere. 

Scrive, infatti, Charlotte in una lettera: 
" (...) L'immaginazione è una facoltà forte, inquieta che esige di essere ascoltata e messa in esercizio: dobbiamo rimanere completamente sordi al suo richiamo e indifferenti alle sue traversie (...) ".
Il ritratto che affiora è quello di una ventitreenne forte e caparbia, decisa a dar voce a quella fiamma che divampa nel suo animo. A fronte delle critiche mosse da Coleridge e Wordsworth alla sua opera, infatti, Charlotte scrisse delle lettere cariche di ambizione e coraggio, nelle quali celava la sua identità sotto uno pseudonimo maschile:
" (...) Nell'insieme mi sono meravigliato del vostro disturbo a leggere e occuparvi del semi serio raccontino di un anonimo che non ha ancora modo di dirvi se è uomo o donna o se il suo banale CT significhi Charles Tims o Charlotte Tomkins (...) ".
Oggi ci domandiamo se davvero Ashworth sia un'opera incompiuta, perché non ne possediamo tutte le parti, o se realmente questa sia incompleta, perché la Brontë si lasciò scoraggiare da coloro ai quali aveva inviato il suo manoscritto.

Personalmente sono propensa a ritenere che, se davvero Charlotte Brontë scelse di abbandonare questo progetto, non fu perché sconfortata dai giudizi di quanti avevano letto il suo racconto, ma per dedicarsi anima e corpo a migliorarsi, a superare i suoi limiti, giungendo al concepimento ed alla scrittura di un classico senza tempo come Jane Eyre.

Forse, più che ipotizzare se Ashworth sia realmente un'opera incompiuta o incompleta, dovremmo ammirare la caparbietà, l'ostinazione che ha mosso una donna di ventitré anni nell'Inghilterra dell'Ottocento nel perseguire il suo sogno, senza arrendersi alle critiche, ai rifiuti ed alle difficoltà e senza piegarsi a quanti la volevano incasellata in un ruolo conveniente per la società dell'epoca: parafrasando le sue parole, possiamo affermare che Charlotte non è rimasta sorda di fronte al richiamo dell'immaginazione, di quella fiamma che le bruciava anima e cuore, consegnando storie, personaggi e luoghi a quell'immortalità che gli uomini da sempre cercano ma che solo l'arte è davvero in grado di concedere.