Il mestiere più antico del mondo? Viaggio nel degrado di un fenomeno di cui non si parla (quasi) più

Il mestiere più antico del mondo?
di AA.VV.
Elliot Edizioni, 2016

pp. 125
14,50 euro


Quello del meretricio è un fenomeno dalle mille sfaccettature, che prende la forma della criminalità, quindi della tratta e del racket. Che cresce sulle guerre e sulle emergenze di chi fugge dal proprio paese con un sogno nel cuore. Che si alimenta della crisi economica, per cui vendere il proprio corpo diventa un modo per mantenere se stessi e gli altri, magari i propri figli. Che degrada in maniera proporzionale a un concetto di libertà e trasgressione per cui ci imbattiamo in ragazzine che col beneplacito delle mamme si concedono e ricattano uomini adulti per potersi comprare un cellulare.” (p. 6, Introduzione di Camilla Ghedini)
Il senso stesso de Il mestiere più antico del mondo? è racchiuso in questo climax che nelle parole della giornalista Camilla Ghedini condensa i tanti noccioli narrativi e riflessivi delle quattordici storie di questa raccolta di racconti.

Curato da Marilù Oliva, scrittrice e insegnante, e destinato, coi suoi proventi, a contribuire al lavoro del Telefono Rosa, l’associazione che ormai in gran parte di Italia è al fianco delle donne maltrattate, abusate e sfruttate, questo libro riapre pubblicamente un dibattito da sempre lasciato volutamente ai margini della discussione sociale: quello sulla prostituzione come fenomeno radicato e poliedrico, guardando a esso da tutte le angolazioni possibili, dalla tratta delle schiave che arrivano in Italia dai paesi più poveri del mondo, alla scelta (consapevole o totalmente incosciente) di vendersi per ricavare un guadagno o per cercare un’emozione nelle maglie sfilacciate della quotidianità.
Senza la presunzione di esaurire la riflessione su un tema così vasto e complesso, questa raccolta lascia aperte le porte all’opinione individuale, guidandone il percorso verso una maggiore consapevolezza. Quello che non si può non provare al termine di queste storie, tutte con finali spietati, se non drammatici e raccapriccianti, (ché raccontare la realtà taglia fuori qualsiasi possibilità di lieto fine) è un impellente bisogno di rimettere le carte sul tavolo, discutere, proporre soluzioni, fare appello a chi governa perché il fenomeno della prostituzione sia schiacciato laddove è sfruttamento e abuso e regolamentato quando è una scelta in libertà (ma quando, davvero, lo è?).
I racconti sono quattordici, gli autori otto: Dacia Maraini, Marilù Oliva, Camilla Ghedini, Romano De Marco, Alessandro Berselli, Sara Bilotti, Ilaria Palomba, Maurizio De Giovanni. Apre la raccolta la storia di Anna, firmata da Dacia Maraini, in cui la protagonista è venduta dal padre al racket della prostituzione, divenendo prigioniera in una casa di incontri, poco più che ragazzina. A chiudere, l’intervista ad Olayinka, per i clienti Serafina, giunta in Italia a quattordici anni dalla Nigeria. È dunque una sorta di viaggio circolare che dalla storia (di fantasia) di una giovane schiava ci traghetta dentro le parole prive di filtri di Olayinka, che racconta con estrema chiarezza e ineluttabilità cosa subisce una giovane donna quando viene costretta a prostituirsi.
Quello del lettore è quindi un doppio percorso che dal cuore del problema, descritto dettagliatamente dalle parole di Dacia Maraini, ci conduce verso le periferie del degrado e della noia, dell’inconsapevolezza e della fragilità emotiva, tutte motivazioni che si nascondono dietro il fenomeno della prostituzione, per poi riportarci al centro, alla Questione con la maiuscola: lo sfruttamento, l’abuso, la condanna al marciapiede come forma contemporanea della più becera schiavitù, quella che costringe una donna a farsi oggetto, pertugio inanimato, somma di zone erogene alla mercé del piacere e delle perversioni maschili.
È un discorso di genere, non può non esserlo, sebbene non si debba scadere nella mera contrapposizione di uomini e donne: se le schiave sessuali sono (quasi sempre) donne (o trans) e i loro clienti (quasi sempre) uomini, è altrettanto vero che nelle forme di prostituzione meno esposte, quelle che si esercitano non sul marciapiede ma dentro case all’apparenza normali, spesso all’interno di famiglie rispettate, il degrado morale ed emotivo è trasversale.
Come nella storia La bambina di Sara Bilotti:
«Che ti facevano fare, Lucia?»
(…)
«Che mi facevano fare? Guadagnare i soldi per mangiare».
«E come? Chi te li dava questi soldi?»
«Gli uomini».
«Facevi sesso per i soldi?»
«Sì».
«E li tenevi tu questi soldi?»
«No!»
(…)
«A chi li davi?»
«A papà».
(…)
«E tua madre? Non dice niente tua madre?»
«E che deve dire?» (p. 94-95)
Sullo stesso argomento, è una stilettata al cuore il racconto di Camilla Ghedini, Baby squillo inconsapevole, che ricostruisce in un botta e risposta surreale per quanto veritiero il dialogo tra un padre e una figlia, dopo la scoperta che la ragazza, appena sedicenne, partecipa a orge e scambi di coppia, per soldi. 

Ho provato a spiegargli che non è così, che io sto bene, che va tutto bene, che le prostitute sono quelle che si fanno caricare sui marciapiedi, quelle nere o dell’Est, che hanno dei padroni. O che ricevono per appuntamento. Cosa c’entravo io con loro? Io un ragazzo ce l’ho, ci divertiamo insieme, tutto qui, e insieme facciamo qualche soldo. Che sarà mai? (p. 71)

Il pregio più grande di questo libro, la cui rapidità di lettura è direttamente proporzionale alla quantità di domande che pone alla coscienza del lettore, è proprio questo lasciarti con mille dubbi, insanabili eppure salutari, che interrogano le tue convinzioni: dov’è il confine tra prostituzione scelta e imposta? Quanta consapevolezza può esserci in una ragazzina che scopre l’apparente facilità di guadagno rappresentata dal vendere se stessa, senza alcuna necessità di imparare, apprendere, maturare, acquisire competenze? E quanto il silenzio assordante che si pratica sull’argomento prostituzione, come sull’argomento sessualità, nelle case, nelle aule scolastiche, persino negli incontri tra coetanei, ha influito nella sua banalizzazione e dunque nella pericolosa indifferenza con cui oggi tutti noi (soprattutto i più giovani) guardiamo a entrambi?

Barbara Merendoni