Il matto e la zoppa: il pregiudizio secondo Missiroli

Il buio addosso
di Marco Missiroli
TEA, 2011
€ 9,00

"La lana è la purezza di R., e questa purezza deve abitare ovunque. Nelle case, nelle strade. Negli uomini, nelle donne, nei bambini. Da oggi R. sarà puro come mai lo è stato"

Tutto inizia con una legge: nel paese di R. non si darà spazio a nessuna imperfezione, i difformi e gli storpi verranno addormentati al momento della nascita, per non gravare con la loro disgrazia sulla felicità altrui, per non contaminarne la purezza. La zoppa e Nunù sono l'eccezione, la stranezza, l'incongruo. Vivono segregati in casa, separati dal resto del mondo da un vetro che è prigione e protezione al tempo stesso. In modo diverso sognano la libertà: il piccolo matto immagina di raggiungere il cielo, dove "non ci sono gli uomini che lo guardano", mentre la zoppa si figura di poter scendere in piazza, coinvolta in una gara di corsa con le bambine della scuola. Si rendono oscuramente conto entrambi che la mentalità bigotta del paese non è pronta né disposta ad aprirsi per accoglierli. Solo di notte la voglia di evasione prevale e la giovane Poline trova il coraggio di violare la legge e i tabù, fuoriuscendo al mondo, lontana però dagli sguardi dei maldicenti. A proteggere i due innocenti dalla crudeltà del mondo sono solo l'amore di un uomo, il sindaco di R., padre che non può fare abbastanza, e la dedizione di un altro, il maestro delle campane, che convive con un segreto doloroso e cerca l'opportunità di fare ammenda. Intanto il paese, cieco e ottuso, non capisce e non perdona: associa ogni differenza, ogni alterazione della perfezione, alla maledizione che si è abbattuta sulle greggi, rovinando la lana magica e perfetta famosa in tutto il contado, gloria per R. e per i suoi abitanti. 
Quella del sindaco di R. è una lotta senza speranza contro la cecità altrui, contro la società, contro una chiesa che invece di essere aperta e accogliente è chiusa e giudicante, pronta a fare legge di Dio della volontà degli uomini. Sono i bambini piuttosto a sconfiggere i mostri, a intuire la verità profonda della fede. È Nunù il matto a capire, quando di fronte al crocifisso prova a strappare dai piedi del Cristo i chiodi infissi dagli uomini perché "il ferro fa male! Nunù lo toglie!". Una verità semplice e immediata, talmente incisiva ed evidente da far male. Ma l’evidenza è tutta per il lettore. R. persiste nella propria ostinata, ottusa ferocia, fino a macchiarsi di crimini indicibili.

La straordinaria abilità di Missiroli è quella di dissimulare le direzioni della trama, di confondere le acque in modo tale che il suo pubblico non capisca fino all’ultimo cosa sta per accadere. C'è spesso, nelle sue opere, uno sguardo innocente che trasfigura il reale, che lo rilegge in forme distorte, talora ingenue e meravigliose (si pensi anche solo a Pietro in Senza coda, di cui Gloria ha parlato qui). In questo caso sono gli occhi della piccola zoppa, la sua visione parziale (perché sempre limitata dalla prigionia e dalla scarsità di informazioni che le arrivano dall’esterno). Anche una volta diventata grande, Poline continuerà a lottare contro il cinismo, conquistando grazie a tele e pennelli quella libertà, che fisicamente non ha, di accedere al mondo.

Nella seconda sezione del romanzo, ambientata molti anni dopo il suo esordio, l’autore sembra voler aprire la strada a una possibilità di riscatto. Rimasti soli e ormai cresciuti, segregati nella torre dell'orologio, Poline e Nunù diventano i signori del tempo, si prendono la loro piccola rivincita osservando finalmente inosservati, rubano minuti preziosi alle vite altrui manipolando le lancette. Sono loro a scandire, suonando le campane, la vita di R., sempre ignorati ma finalmente lontani dal pregiudizio altrui:

Allora Nunù si piegò un poco sulle gambe e con entrambe le mani afferrò la corda al centro […]. Chiuse gli occhi e saltò, infilando al primo colpo i piedi nei nodi creati a metà delle altre due funi. Cominciò a tirare, si piegava e si allungava, ora le gambe rattrappite, ora le gambe distese. Nunù volava, il suo sedere era in fuori e in dentro, din fece il metallo in un suono sordo. E i suoi capelli si scuotevano nell’aria, don gridò la campana. Din don urlò la torre di R., din don.

All’esterno tutto va in rovina: l’economia è distrutta, gli abitanti non hanno più quasi di che vivere, ma all’interno della torre è possibile ricreare e mantenere intatta una certa idea di famiglia, per quanto traballante. Solo le visite del sindaco, il “maiale col bastone”, grottesca e orribile figura, turbano la quiete, seminano il germe della paura, riportano Nunù all’antico desiderio di fuga. Il sindaco Marcel ha infatti un nuovo progetto: ha annunciato ai concittadini la Decisione destinata a ridare al paese il lustro perduto; gli è stato annunciato in sogno il volere di Dio, e questo volere coinvolge da vicino la torre e i suoi abitanti.
Non si può svelare di più senza compromettere la lettura, basata sul graduale svelamento, su indizi disseminati che soltanto progressivamente acquistano chiarezza e senso. Il romanzo di Missiroli è un puzzle che il lettore deve avere la pazienza di completare e questo ne rappresenta al contempo il più grande pregio e il massimo difetto. A differenza delle opere successive (ma anche del romanzo d’esordio), Il buio addosso a tratti manca di equilibrio. La scelta di voluti eccessi negli sviluppi della trama e nella caratterizzazione dei personaggi, come l’ostentato manicheismo, sono certamente legati all’adesione a un genere, quello fiabesco, che impone regole ben precise, ma l’impressione generale è che non sempre ci sia pieno controllo sul materiale narrativo. Per troppo tempo troppe questioni restano sospese, troppo rapido è lo scioglimento finale di tutti i dubbi. Su alcuni personaggi si sarebbe voluto sapere di più, su altri cose diverse. Va anche riconosciuto però che sono questi stessi fattori (l’imprevedibilità, il ritmo variabile, i fulminei cambiamenti di fronte) a consentire il decollo della narrazione nella sua parte conclusiva, quando il più inaspettato dei colpi di scena produce uno spiazzamento delle aspettative che riaccende l’interesse, trascinando il lettore fino all’ultima pagina. In questo romanzo ancora giovan(il)e, si intuisce già la tempra del grande Missiroli che verrà, ed è con una certa commozione, dopotutto, che ci si lascia alle spalle il campanile di R.



Carolina Pernigo