Un anno con Salinger per imparare come stare al mondo

Un anno con Salinger
di Joanna Rakoff
traduzione Martina Testa
Neri Pozza, 2015

pp. 287
€ 17,00


L'estate scorsa ho passato il Ferragosto con J.D. Salinger. Il 13 agosto ho preso la scaletta, l'ho appoggiata alla libreria e ho preso dalla scaffale tutti e quattro i suoi libri. Ho cominciato con Holden, che mi ha tenuto compagnia nel week-end, poi i Nove racconti, poi Franny e Zooey e infine Alzate l'architrave, carpentieri e Seymour. Introduzione. Quando ho voltato l'ultima pagina dell'ultimo libro era il 18 agosto. Cinque giorni prima avevo terminato di leggere Un anno con Salinger, un bellissimo romanzo-memoir di Joanna Rakoff uscito in Italia per Neri Pozza, nella traduzione di Martina Testa, che, almeno a giudicare dal numero di recensioni ricevute, non si è filato quasi nessuno. Un gran peccato. Che sia stato scambiato per un libro per salingeriani doc? Una specie di storiella esoterica, tutta intessuta di richiami sottintesi e ammiccamenti, rivolta a un ristretto gruppo di affezionatissimi? E invece è proprio tutto il contrario. Quando Joanna Rakoff si ritrova ad avere a che fare con Salinger, non ha quasi idea di chi sia. Ci arriva solo più tardi, attraverso un personalissimo percorso di scoperta di sé che, in perfetto stile salingeriano, finisce per ricordarci lo scopo e il significato universali di quella roba strana che chiamiamo letteratura.

La porzione della propria vita che Joanna Rakoff sceglie di raccontarci comincia nel dicembre 1995. Tornata da Londra con in tasca un dottorato in letteratura e in testa poche idee ma confuse su cosa fare di se stessa, la ventitreenne Joanna si ritrova quasi involontariamente, da un giorno all'altro, a lavorare come assistente della direttrice in una delle più prestigiose e antiche agenzie letterarie di New York, nel cuore di Manhattan. Un impiego a cui lei, cresciuta in una venerazione quasi religiosa per i libri e la letteratura, si accosta con quel misto di entusiasmo e straniamento inevitabilmente associato alla scoperta che una cosa che abbiamo sempre amato visceralmente per alcuni ben precisi motivi può attrarre altri per motivi del tutto diversi:
Quando i miei colleghi pronunciavano i nomi scritti sul dorso di quei libri, il loro tono diventava sommesso e reverenziale, perché per gli appassionati di letteratura erano autori dallo status di divinità. F. Scott Fitzgerald, Dylan Thomas, William Faulkner. Ma quella di cui parlo era, ed è, un'agenzia letteraria, e dunque i nomi sui dorsi rappresentavano un'altra cosa, un'altra cosa che spinge la gente a parlare sottovoce, una cosa che in passato credevo non avesse assolutamente nulla a che fare con i libri e la letteratura: il denaro.
Nel silenzio delle pareti tappezzate di libri e dei pavimenti ovattati dalla moquette, l'Agenzia esiste in una specie di sospensione temporale. Varcata la soglia dell'ufficio ospitato in un palazzo stretto e anonimo di Midtown, Joanna accede a uno spazio in cui il tempo sembra essersi fermato agli anni '60. La fotocopiatrice è stata ammessa da poco e viene ancora vista come un bizzarro macchinario che fa "copie carbone". Le lettere si dettano al dittafono e si battono alla macchina da scrivere Selectric. Niente computer, né Internet o posta elettronica. Lampade da tavolo illuminano discretamente scrivanie sommerse di carte, manoscritti, bozze. Quando non sono ai reading di David Foster Wallace al KGB Bar o alle feste del New Yorker, gli agenti se la ridono alla macchinetta del caffè o corrono per i corridoi con contratti milionari sotto il braccio.

All'inizio un po' disorientata, Joanna comincia ad adeguarsi ai ritmi e ai personaggi eccentrici che gravitano intorno all'Agenzia. Dalla direttrice, aristocratica, enigmatica e stizzosa, a Hugh, che esala in continui sospiri la sua perenne delusione verso il mondo. Fino a Jerry, il misterioso Jerry, un nome all'apparenza centrale ma invisibile nel microcosmo dell'Agenzia: pronunciato con confidenza all'interno dell'ufficio, ma di cui nulla deve trapelare all'esterno. Poche regole, ma ferree. Mai dare a chicchessia l'indirizzo o il numero di telefono di Jerry. Mai inoltrare a Jerry nessun tipo di corrispondenza. Mai, mai, mai parlare a nessuno degli affari di Jerry.

Quando Joanna, dando un'occhiata ai libri sugli scaffali dell'Agenzia, si rende conto che Jerry è Salinger e che quindi l'Agenzia rappresenta J.D. Salinger, non sviene come probabilmente saremmo svenuti io o voi. In fondo lei non ha mai letto nulla di Salinger. Per lei la vera letteratura era quella di Faulkner, Pynchon, Dos Passos, non le storielle leziose della Vecchia New York popolata da gente con nomi come Zooey, Phoebe o Boo Boo. Salinger è uno scrittore che si legge alle medie. E poi non aveva deciso di isolarsi dal mondo? Eppure i fan continuavano a scrivergli, ogni giorno, da tutto il mondo: studenti, veterano di guerra, madri in lutto. Buona parte del lavoro di Joanna consisteva proprio nel rispondere a ognuna di quelle lettere con una cortese formula standard.

Ma l'anno salingeriano di Joanna è particolarmente fortunato. Proprio nel 1996 Salinger decide di pubblicare un nuovo libro: un volumetto contenente Hapworth 16, 1924, il suo ultimo racconto uscito sul New Yorker nel 1965 (per inciso, il testo più palloso mai scritto da Jerry: una lettera lunga sessanta pagina che Buddy Glass scrive ai suoi dal campo estivo, piena zeppa di riferimenti zen; una roba che, con tutto il bene che voglio a Jerry, davvero non si regge). L'editore prescelto per l'impresa è il più improbabile che si possa immaginare: Roger Lathbury della minuscola Orchises Press, che da semi-sconosciuto editore di poesie si ritrova a essere, grazie a una lettera battuta a macchina e spedita direttamente a "J.D. Salinger, Cornish, New Hampshire", il futuro editore del nuovo libro del più famoso scrittore americano vivente.

Alla fine non se ne fece nulla: dopo mesi di accordi e prove di impaginazione e grafica Lathbury ingenuamente si lasciò scappare l'indiscrezione con la stampa, Salinger annullò tutti gli accordi e il libro non uscì mai. Lo stesso Lathbury in seguito raccontò la storia. Jerry (anche Joanna si è abituata a chiamarlo così, dopotutto ci ha parlato tante volte al telefono e una volta l'ha persino incontrato: un uomo altissimo, timido, gentile e un po' duro d'orecchi) fa un'ultima telefonata in ufficio, sembra triste e un po' dispiaciuto, poi tutto, all'Agenzia, torna come prima. Ormai però Joanna vuole capire. Cosa spinge migliaia e migliaia di persone di ogni tipo a scrivere tutte quelle lettere? Centinaia di lettere per raccontare a Jerry la storia della loro vita. Per condividere con lui dubbi, gioie, ricordi e lutti. Per ringraziarlo di aver scritto quelle storie. Così Joanna tirà giù dagli scaffali i libri di Salinger, se li porta a casa e se li legge tutti, uno dopo l'altro. E capisce.
... adesso capivo perché i fan gli scrivevano, e non solo gli scrivevano ma si confidavano con lui, con tanta urgenza, con tanta empatia e compassione, confessandosi letteralmente. Perché quando si legge un racconto di Salinger la sensazione non è tanto quella di leggere un racconto, quanto di avere Salinger in persona che ti sussurra le sue storie all'orecchio. Il mondo che crea è al tempo stesso palpabilmente reale e spaventosamente intensificato, come se girasse per il mondo con le terminazioni nervose scoperte... Perciò, ovviamente, i lettori provavano l'insopprimibile desiderio di scrivergli a loro volta. Di dirgli: questo è il punto dove mi fa male o qui è dove mi ha fatto stare meglio.
Di tutti i testi usciti negli ultimi anni, il romanzo di Joanna Rakoff è quello che meglio riesce a intercettare ed esprimere le ragioni che ancora oggi portano centinaia di migliaia di lettori ogni anno a leggere Il giovane Holden o Franny e Zooey, facendo scattare in ognuno un meccanismo di identificazione istintivo e totalizzante. Le storie di Salinger sono tutt'altro che leziose, anzi: sono essenziali, brutali. Parlano tutte di smarrimento, disagio, rabbia, impotente desiderio di ribellione; si rivolgono a tutti, ma toccano soprattutto le corde di persone che nei personaggi salingeriani si identificano come alter ego. Persone la cui vita ha subito linee di frattura difficili da ricomporre, a disagio con se stesse e con gli altri, alla ricerca di un punto fermo nella bussola, temporaneamente o definitivamente impazzita, della propria esistenza.

Proprio come succede a Joanna Rakoff, che si ritrova a vivere il suo "anno salingeriano" nella fase più critica della sua vita, quando aveva perso tutti i suoi vecchi punti di riferimento (la sua migliore amica, il suo ragazzo dell'università, il sostegno dei genitori, le aspirazioni poetiche) senza riuscire ancora a intravederne di nuovi.
Non so che effetto mi avrebbe fatto Salinger se l'avessi letto quando ero a medie. Ma io l'ho incontrato da adulta, o meglio in un momento della mia vita in cui, come Franny, mi stavo scrollando di dosso l'infanzia, le mie idee preconcette su come stare al mondo.
In questo senso l'anno salingeriano di Joanna Rakoff non è solo un anno vissuto con Salinger, ma soprattutto un anno vissuto alla Salinger; non per niente nel titolo originale (My Salinger Year) il nome di Jerry è quasi un aggettivo qualificativo. Il salto nel buio dall'adolescenza sognatrice a un'età adulta dalle urgenze fin troppo immediate trascina Joanna in una sorta di spiazzante anarchia emotiva in quasi ogni aspetto della sua vita: da quello sentimentale (con il suo nuovo ragazzo, Don, un ambizioso aspirante romanziere, inaffidabile e, alla lunga, irrimediabilmente phony) a quello finanziario (la vita nel mondo dei grandi è cara, quando non c'è più papà a pagare le bollette). E poi le amicizie: spariti i vecchi amici, con quelli nuovi – tutti artisti-camerieri che cercano di sbarcare il lunario nell'eccentrico brodo primordiale di Brooklyn – non si instaura mai un autentico legame. Eppure Joanna proprio di questo ha bisogno, rapporti autentici, persone autentiche, parole autentiche: nella speranza che magari un giorno possa scriverle lei, quelle parole. Per questo alla fine lascerà l'Agenzia: quello che poteva imparare da tutti, e soprattutto da Jerry, ormai l'ha imparato. È arrivato il momento di fare quelle cose che "se non le faccio ora, non farò mai".

Non è solo l'abilità narrativa, le suggestive rievocazioni di un'editoria ostinatamente pre-digitale ben decisa a restare ancorata il più possibile alle proprie gloriose e strambe tradizioni, l'amore per la New York brooklyniana e le atmosfere alla Nora Ephron a far funzionare così bene Un anno con Salinger. Alla base di tutto c'è l'identità di intenti che il romanzo condivide con i testi salingeriani. Come Holden, Franny, Zooey o Buddy, Joanna Rakoff racconta una storia che si propone di creare un'empatia solidale e reciproca tra scrittore, personaggi e lettore. Una storia che vuole dire a tutti: "Tranquillo, non sei solo. Io sono come te".

Non ci vuole molto più di questo a rendere universale la vera letteratura.

Luca Pantarotto
@HoldenCompany