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Colombi e sparvieri
di Grazia Deledda
Ilisso, 2011

Prefazione di Giovanni Pirodda

pp. 288
€  11 (cartaceo)
€ 4,90 (ebook) 




Il romanzo Colombi e sparvieri di Grazia Deledda viene pubblicato nell’anno 1912.
Il racconto, che si divide in tre parti, si svolge nel paese di Oronou, nel quale le vicende di due famiglie tra rancori e traversie si intrecciano tra loro. Il rientro a casa del protagonista Jorgj, dopo gli studi in città, si incontra e scontra con le vetuste tradizioni, le antiche memorie e l’ostilità dei suoi compaesani, arroccati e barricati su posizioni granitiche e ataviche. Ma non tutto è perduto e una speranza si accende nel finale.
Estremamente trascinante, la trama pagina dopo pagina si dipana tra amori contrasti, tra pettegolezzi e sacre credenze, tra codici arcaici e ambizioni moderne e tra bellissime e  accattivanti descrizioni di luoghi e paesaggi.

Dopo una settimana di vento furioso, di nevischio e di pioggia, le cime dei monti apparvero bianche tra il nero delle nuvole che si abbassavano e sparivano all’orizzonte, e il villaggio di Oronou, con le sue casette rossastre fabbricate sul cocuzzolo grigio di una vetta di granito, con le sue straducole ripide e rocciose, parve emergere dalla nebbia come scampato dal diluvio. Ai suoi piedi i torrenti precipitavano rumoreggiando nella vallata, e in lontananza, nelle pianure e nell’agro di Siniscola, le paludi e i fiumicelli straripati scintillavano ai raggi del sole che sorgeva dal mare. Tutto il panorama, dai monti alla costa, dalla linea scura dell’altipiano sopra Oronou fino alle macchie in fondo alla valle, pareva stillasse acqua.
La Deledda, con appassionante trasporto, ci parla della sua terra, una terra ricca di contraddizioni e di fascino, in cui il giovane e il vecchio convivono forzatamente tra animi smaniosi e fedi irremovibili. Abile nel raccontare condizioni e situazioni, un peregrinare di azioni e di sentimenti segnano volti e caratteri.
Il dottore sembrava un uomo del Nord, alto e grosso, vestito di un lungo soprabito di orbace con manichini e collo di volpe: un berretto della stessa pelliccia calato fin sulle orecchie confondeva i suoi peli con quelli di una gran barba rossiccia. Due occhietti verdazzurri, or limpidi e infantili, or foschi e minacciosi, brillavano fra tutto quel pelame rossastro come due lucciole in mezzo ad una siepaglia secca.
Con penna fluida e sapiente, la scrittrice traccia uno spaccato di vita e di società, in cui l’inevitabilmente trascorrere del tempo si lega a rituali e a cicli ritmati.
Il vescovo di Nuoro bello come San Giovanni benediceva con due dita, e uomini e donne sfilavano davanti al Cristo, s’inginocchiavano, giuravano di deporre ogni odio, ogni idea di vendetta, baciavano i piedi insanguinati del Signore, poi uscivano nello spiazzo erboso, ballavano e mangiavano.
Grazie a una non comune capacità descrittiva, l’autrice cattura immagini di usi e costumi, dove i gesti e il folclore si amalgamano nei riverberi pittoreschi delle esistenze di donne e di uomini isolani.
Tutto il santo giorno gli uomini giuocavano alla morra come fanciulli, e i vecchi tacevano, seduti all’orientale sopra la pietra delle panchine, immobili e già morti prima di aver chiuso per sempre gli occhi. La piccola vecchia scosse la testa sotto il suo bizzarro mantello nero, e scese lentamente gli scalini. Il vento sibilava ancora, a intervalli, e gli alberi spogli della piazza si agitavano sullo sfondo brillante del cielo come grandi polipi nell’acqua. Faceva freddo, ma i paesani barbuti e robusti, rossi in viso, con occhi nerissimi e denti candidi, erano vestiti di orbace, di pelli, di saja, con cappotti stretti e cappuccio in testa, e sentivano il sangue scorrere caldo nelle vene. Sembravano uomini di altri tempi, e il loro dialetto composto quasi tutto di latino accresceva quest’illusione.
Dalla mescolanza tra un radicale spirito di comunità e una ventata di moderna visione del mondo si sprigionano i confronti più marcatamente veritieri tra gli attori principali e secondari del racconto.
Nella giravolta di pensieri, di maldicenze e calunnie, di ricordi e di presente, ogni protagonista mette in scena se stesso e la propria indole. Ognuno partecipa al grande affresco, magnificamente istoriato, quale frammento di un puzzle unico e particolare, in cui principi e convinzioni influenzano percorsi e legami.
Bozzetto eccezionale di realtà, nella ricca tavolozza dei personaggi, ciascuno è interprete di una sorte e di un destino.

“Nessuno di noi può dirsi senza peccato! Dire il contrario è già un peccato di superbia di ribellione a Dio. E uno come voi, ammettiamo pure calunniato, perseguitato che non riconosce la mano di Dio (Egli solo sa i suoi fini) e si ribella e grida contro quel Divino volere che ha guidato e fatto soffrire lo stesso Cristo, ebbene, dico uno che opera così fa più male col suo cattivo esempio che se avesse davvero commesso il male in cui lo accusano”.
In un’altalena di contrapposizioni e comportamenti, figure ricche di carismatica espressività e di conflittuale drammaticità si accendono tra nature irrequiete e ideali tormentati. Tra contrasti tumultuosi e complesse resistenze, luci e ombre di irrazionali diversità tratteggiano ostinate consapevolezze e plurime coscienze.     
La narrazione poi puntuale e dettagliata e l’emozione vera e sincera si legano insieme in una incantevole testimonianza di intensa umanità.


Silvia Papa