Mediterraneo. Un'identità antica plasmata dai pirati

Rais
di Simone Perotti
Frassinelli, 2016

pp. 516
€ 19,90


In questo caso, non si può non partire dall’autore. Simone Perotti è stato manager per molto tempo, ha lasciato e si è dedicato ad altro parlandone nei libri “Adesso Basta”, “Avanti tutta” e “Ufficio di scollocamento” pubblicati da Chiarelettere. Attorno a questi saggi e al suo accurato sito www.simoneperotti.com si è stretta la comunità di quelli che vogliono scalare marcia, rallentare e cambiare vita. Adesso, Simone Perotti può essere definito: scrittore e marinaio. E visto che “Rais” è un libro di pirati, cogliamo subito l’importanza di vivere a contatto con il mare. Da un paio d’anni, Perotti naviga per il Mediterraneo, il Mar Nero e il Mar Rosso, in un progetto di riscoperta che può essere seguito su www.progettomediterranea.com.

“Rais” ha l’impalcatura del romanzo storico: narra la vicenda ambientata nel Cinquecento della corsa alla supremazia navale tra le grandi potenze. Supremazia nel Mediterraneo e, dopo le missioni navali di Cristoforo Colombo, negli oceani. Tutto ruota attorno a una teoria: che Colombo sapesse dove stava andando o, meglio, che navigando dalla Spagna verso ovest avrebbe visto profilarsi una terra all’orizzonte. Che fossero le Indie o altri continenti era già aspetto secondario.
Sulla base delle rotte tracciate dai grandi navigatori portoghesi e dal genovese, Regno di Spagna, appena costituitosi con il matrimonio fra Castiglia e Aragona e la definitiva cacciata degli arabi da Granada, e Regno del Portogallo si erano divisi praticamente il pianeta. Alcáçovas e Tordesillas le città dove venne ratificata questa spartizione. Basata su un assunto: una terra appartiene a chi vi arriva per primo. Visto che portoghesi e spagnoli si erano mossi in anticipo nelle coste africane, in India, in Malesia, in America, il mondo apparteneva a loro. Ma erano stati davvero i pionieri?
Se altri popoli, avventurieri, navigatori, regni, magari dell’antichità, avessero raggiunto le medesime terre precedendo gli iberici sarebbe venuto meno l’assunto di base delle due potenze coloniali. Se qualcuno avesse dimostrato la millenaria storia delle esplorazioni navali e delle scoperte continentali, raccolto queste conoscenze in un unico libro e tracciato una carta geografica a corredo, avrebbe smontato Alcáçovas e Tordesillas impedendo ai regni cristiani, alla cristianità nel suo complesso, di vantare diritti sui nuovi mondi, sulle loro enormi ricchezze, sul loro immenso capitale umano.
Un uomo del sultano s’incarica di quest’opera: Piri Rais. Ma non è il Rais del titolo. O forse un po’ sì, al pari dei tanti condottieri navali ottomani citati nel romanzo, i migliori che la flotta della Sublime Porta abbia potuto vantare. Ma solo uno possiamo trovarlo dalla prima all’ultima pagina: Dragut, personaggio storico autentico, spada vendicatrice dell’islam, incubo rispettato del grande Andrea Doria. Di Dragut Rais, Simone Perotti uomo di mare ha seguito le tracce lungo il Mediterraneo per nove anni, consultando biblioteche e archivi, da Istanbul alla Spagna. 
 Il libro di Piri Rais e la Carta del Mondo, che non dovrebbero solo riscrivere il Quattro-Cinquecento ma dimostrare che fin dall’infanzia del mondo sono i navigatori e non gli uomini di terra a poter pretendere, legittimamente, di redigere la storia, diventano oggetto di una gigantesca operazione di spionaggio e controspionaggio che mette a confronto Dragut e l’amico d’infanzia Keithab. Entrambi sono stati prelevati dodicenni dal loro villaggio natale anatolico e portati ad Alessandria d’Egitto per diventare giannizzeri. Sono figli di famiglie cristiane. I turchi reclutavano così la loro elite militare: estirpavano i rampolli più promettenti tra gli infedeli, rastrellando ogni villaggio e ogni provincia, e li trasferivano nella scuola di addestramento e di indottrinamento religioso più prestigiosa. Dopo questo atto violento, non c’erano differenze: emergeva chi mostrava maggiori meriti, dedizione, capacità, forza fisica e acume strategico o diplomatico. La società ottomana era più meritocratica della coeva società cristiana dell’occidente e del centro-nord Europa, cristallizzata nella successione ereditaria interna alle famiglie nobiliari.
Dragut e Kheitab inevitabilmente vedranno divise le loro strade: ma se Dragut, bambino anatolico strappato alla terra e scaraventato nella guerra di corsa contro acerrimi nemici, con mille e ancora mille conflitti interiori e sofferenza, finirà per recitare per sempre la parte di Rais soggiogandosi a un’esistenza di sradicamento, Kheitab tornerà in qualche modo all’origine. Bambino fisicamente debole e per questo sopravvissuto grazie alla tutela di Dragut durante gli anni di addestramento, mostra tuttavia una mente raffinata che viene notata ai più alti livelli. Diventa il primo assistente di Piri Rais e il custode del libro e della Carta del Mondo. Il percorso inverso che compie lo riporterà, proprio con i preziosissimi documenti, in campo cristiano come la spia migliore che possano schierare i Cavalieri di Malta.

Un libro del genere non può non reggersi sull’ulteriore pilastro di una protagonista femminile: Bora. Tralasciando la sua infanzia terribile, eccola “regina” solitaria di un’isola misteriosa, innominata, ma gli indizi portano a Lampedusa. Diventerà la confidente di Dragut e Kheitab adulti, fautori e vittime al tempo stesso del grande gioco politico e diplomatico che sta svolgendosi attorno a quanto lasciato scritto da Piri Rais e che Kheitab si preoccupa di celare. A dire il vero, Bora subirà il cinismo di quest’ultimo, la sua silenziosa violenza, mentre amerà con tutta se stessa Dragut che, con un ordine di mare, una sorta di editto piratesco che solo lui e Andrea Doria potevano permettersi all’epoca, renderà l’isola di Bora neutrale, intangibile. Le sue rade, un approdo sicuro per chiunque.
La tecnica di scrittura di Perotti si rispecchia sull’articolazione dei protagonisti. Kheitab parla in prima persona, anche perché sta scrivendo un memoriale della vicenda, Bora racconta di sé e dunque del suo rapporto con Dragut e Kheitab a un fantomatico agente dell’inquisizione venuto per ucciderla. Perotti, in questo caso, è molto efficace nel dare fisicità perfino un personaggio-fantasma che non tradisce un’esclamazione. La vita di Dragut è in terza persona: la scelta consapevole del narratore onnisciente, in questi capitoli, serve a dare ritmo meno fluido ma più incalzante. Così che i toni variegati della narrazione sembrano ritagliati sui caratteri di Kheitab, Bora e Dragut. Come intermezzi, incontriamo dialoghi diretti fra Dragut e il suo servo a ridosso di Malta in procinto di essere assediata. Tale mescolanza di voci non va a scapito di una complessiva armonia, mantenuta per tutto il libro, e consente all’autore di trattare temi quali la falsa coscienza, l’amicizia e il tradimento, l’incapacità di accettare il destino, le aspirazioni autentiche e ciò che invece la vita costringe ad affrontare, il lato oscuro del potere, la sapienza perduta e l’incedere triturante della storia. Nulla di nuovo ma per gli amanti del genere, indubbiamente, un libro da leggere.

Come ogni romanzo storico, il rischio era inserire passaggi non necessari. “Rais” a volte cade nella trappola, tipo con le citazioni su Sinan Kapudan Pascià, reale protagonista di quei decenni. Altre volte la divagazione didascalica è più funzionale. Ricordo a titolo di esempio l’invasione dell’antico Egitto da parte dei popoli del mare, un evento trascurato da sempre e che invece serve a Perotti per delimitare un perimetro spazio-temporale utile per un tributo al suo Mediterraneo e per ricordarci le nostre vere origini. L’identità è nata e si è forgiata grazie a questo mare, non a caso chiamato a un certo punto nostrum, a chi lo percorreva e alla posizione geografica cruciale riservata all’Italia, proprio al centro di esso. Non è un caso che il libro si chiuda con l’apertura di una finestra sul futuro: il nome di Francis Drake, preannuncio della pirateria atlantica e caraibica. È cominciata da qui l’opera di rimozione.


Marco Caneschi