Viaggiare nel buio: il nuovo romanzo di Valentina D'Urbano

Non aspettare la notte
di Valentina D’Urbano
Longanesi, 2016

€ 16,90



Comincerò dalla fine. Valentina D’Urbano è giovane, talentuosa, narrativamente efficace. I suoi romanzi sono una garanzia di scrittura di livello, di trame ben studiate, di personaggi descritti con cura e attenzione al dettaglio psicologico. Per questo, ogni volta, si inizia il libro con l’intenzione di prendersela comoda, di goderselo una riga alla volta, e si finisce coinvolti in una corsa vorticosa che, sacrificando diverse ore di sonno e innumerevoli fazzoletti, conduce direttamente fino all’ultima pagina. Così è anche con Non aspettare la notte, che travolge, sconvolge, lascia affannati e senza parole.
1994. Tommaso e Angelica sono belli, intelligenti, determinati. Lui vive in un piccolo borgo toscano, lei a Roma; lei studia per diventare avvocato, lui lavora come barista. È l’estate dei loro vent’anni e i due ancora non si conoscono, o così almeno credono. Vite diverse, diversi sogni: apparentemente nulla in comune. Entrambi però nascondono una ferita: Tommaso una malattia degenerativa che poco alla volta gli sottrae la vista, Angelica le cicatrici riportate in un tragico incidente occorso durante la prima adolescenza; lui cela il dolore e la paura dietro all’ironia macabra e a una risata sempre pronta;  lei la sua fragilità dietro a un cappello nero a tesa larga. “Ogni oggetto, ogni persona, racconta qualcosa. Lo fa con il proprio corpo, con quello che si trascina dietro” (p. 66), postilla l’autrice attraverso uno dei suoi personaggi; e se sono i corpi segnati e colpiti a parlare, a dire la verità su quello che i protagonisti vorrebbero nascondere, agli altri e a se stessi, sono gli stessi corpi a unire, a dialogare, a entrare in sintonia nel senso più profondo del termine. Angelica non ha il coraggio di farsi vedere dal suo prossimo, ma Tommaso non la può vedere, non attraverso gli occhi; così la esplora con le dita, sonda ogni lacerazione, ogni solco della sua pelle, e in questo modo la riscopre davvero:
non la tocca mai dove è liscia e sana perché in quei punti è come le altre, mentre tutto il suo essere, tutte le sue paure e le sue lotte, l’essenza stessa di lei, stanno lì, dentro le sue ferite. Sei bella, bellissima, non ti coprire. La sua pelle è una corazza scavata, un paesaggio lunare. Anche cercando per mille anni, non troverà una donna più bella di lei, in nessun posto. (p. 203)
Quanto a lei, legge per lui, vede per lui, lo aiuta a muoversi in un universo nebuloso e talvolta ostile che, grazie allo sguardo condiviso, appare un po’ meno appannato, come nelle Polaroid che Tommaso scatta incessantemente, per non perdersi neanche un momento che potrebbe essere prezioso e passare inosservato. 

Ma Valentina D’Urbano non è scrittrice dal facile ottimismo, non ama le storie leggere. Le figure, dense, realistiche, che abitano le sue storie non trovano mai strade spianate, le loro conquiste devono essere conseguite attraverso la fatica e il dolore, attraverso un percorso di crescita mai semplice; se raggiungono la pienezza, o una qualche forma di consapevolezza, è soltanto tramite le ferite che li hanno piegati ma non spezzati, quelle da cui sono guariti pur restandone definitivamente marchiati. In Non aspettare la notte le cicatrici di Angelica costituiscono quasi un correlativo oggettivo di una simile visione del mondo e della letteratura: qualificano, connotano, conferiscono spessore, rendono più complessa, ma anche più preziosa l’esistenza. Il buio serve, per poter essere attraversato e forse superato: perché senza notte non si può dare il giorno, ed è proprio nel momento più buio, quando manca la speranza, che si viene messi alla prova, che si può dare il meglio come il peggio di sé. Tommaso e Angelica vacillano, procedono a tentoni, disperano, cadono, si rialzano e cadono di nuovo, accettano compromessi che non dovrebbero accettare, fanno scelte stupide credendole nobili, approdano faticosamente alla loro età adulta, quella in cui bisogna farsi carico delle proprie decisioni e assumersi delle responsabilità. 

Il viaggio attraverso la notte richiede pazienza e forza d’animo, una vista buona e spalle forti per portare il peso della propria imperfezione. I due giovani protagonisti del romanzo non sembrano avere energie sufficienti. L’abilità dell’autrice è allora quella di accompagnarli passo dopo passo, di non lasciarli mai soli. Di dare, a loro come al lettore, l’illusione che – comunque vada – in qualche modo ne sarà valsa la pena. 

Carolina Pernigo