#PagineCritiche - A cosa pensate quando leggete un titolo così?

Teste mozze. Storie di decapitazioni, reliquie, trofei, souvenir e crani illustri
di Frances Larson
UTET, 2016

Traduzione di Luca Fusari

pp. 291
€ 17 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


La testa mozza è affascinante e orripilante perché nega una delle dicotomie fondamentali che usiamo per capire il mondo: l'idea che le persone e gli oggetti si definiscano per antitesi. Presenta una dualità apparentemente impossibile.
Una testa decollata può essere tante cose: una persona cara, un trofeo, un esemplare scientifico, la prova a carico di un crimine, uno strumento didattico, una reliquia, una fonte di ispirazione, uno scherzo. Può essere oggetto di scambio, dispositivo di comunicazione, pedina politica o eredità di famiglia; e può essere molte di queste cose insieme. La loro definizione è instabile e in drastica oscillazione, il che è uno dei motivi per cui i resti umani hanno il potere di disorientarci. (pp. 22-23)
Il titolo, così enigmatico, "mozzo", è allusivo e curioso. Anche la copertina, con illustrazioni da varie epoche, è indubbiamente curiosa. Se superate l'ansia da timore di sporcarvi le mani da lettori con pezzi anatomici, scoprite che anche il saggio è altrettanto curioso. Frances Larson, che si occupa da anni di antropologia e storia della medicina, fonde queste sue conoscenze in uno studio che è al tempo stesso rigoroso e ammiccante: l'ampia bibliografia attesa il primo elemento; per il secondo, bisogna leggere almeno un capitolo del saggio. Allora vedrete che le varie teste (rimpicciolite, trofeo, giustiziate, incorniciate, miracolose, d'osso, dissezionate, viventi) vengono sempre "maneggiate" con cura e con rispetto. È la storia, semmai, a non aver tratto con il giusto rispetto teste che un tempo erano vive, ma Frances Larson non giudica, lascia che siano i lettori a trarre le proprie considerazioni dai fatti storici. Non è tanto la parte dedicata alla giustizia con varie decollazioni a sconvolgere: ghigliottine, scuri e boia fanno parte dell'immaginario giudiziario del passato. E, contrariamente a quanto si può pensare, l'invenzione della ghigliottina toglie molta spettacolarità alle esecuzioni pubbliche di criminali o traditori; e anzi è una pratica rapida, in qualche modo clemente nei confronti del condannato, perché la pena dura poco:
Per il condannato la decapitazione non era più l'occasione di distinguersi dagli altri nel momento della morte; al contrario, la ghigliottina cancellava l'individualità e riduceva chiunque alle stesse componenti biologiche basilari: testa e corpo. La fucina della Rivoluzione finì per produrre, poco a poco, ideali sempre più conservatori, e tagliare teste divenne un modo come un altro per mantenere lo status quo. (p. 110)
Invece lascia sconvolti l'impatto del mercato di teste giapponesi durante la Seconda guerra mondiale e le terribili pratiche di pulitura, conservazione e decorazione degli scheletri («Il teschio-trofeo era il nemico domato e in quanto tale posteva generare un senso di attaccamento: gli veniva dato un cappello o un elmetto, sigarette o pipe da fumare», p. 82).
D'altra parte questo collezionismo disumano e disumanizzante non è per niente nuovo: anche ai tempi del colonialismo e dell'imperialismo, le teste mozze degli indigeni erano un bene prezioso, da mandare in madrepatria per il collezionismo più estremo. E quando non si riusciva a conquistare teste originali, tante volte c'erano contraffazioni e in Inghilterra finivano teschi di connazionali! Tale pratica non è stata condannata, se non relativamente poco tempo fa; la passione per i teschi umani ha ad esempio visto come vittime i "geni" come Haydn, che hanno subito decapitazioni post-mortem da parte di fanatici collezionisti.
Dunque, come si può osservare, non sono solo i nemici a subire la decollazione: tutt'altro! Spesso è l'ammirazione a far costruire teche ad hoc e a far controllare che le ossa vengano pulite e decolorate nel modo migliore. Ma non solo per collezioni private di dubbio gusto; quanti riti religiosi, ad esempio, prevedono anche oggi l'adorazione di teste conservate più o meno con cura di santi e beati?
Di certo in passato c'era davvero da temere di perdere la testa, da vivi come da morti: anche la scienza racconta di cadaveri trafugati, comprati o riesumati a scopi scientifici, anche solo per provare singolari classificazioni, come nel caso della frenologia o della "dottrina del cranio" di Joseph Gall. E non pensiate che questi erano interessi di nicchia: i libri di frenologia divulgativa sono stati dei veri e propri bestseller nel XIX secolo!
Chiaramente la scienza si è evoluta, ma anche oggi dissezionare una testa è uno dei momenti topici e più sconvolgenti per ogni studente di medicina, e Larson riporta alcune reazioni tra le più diffuse. Accanto allo studio a scopo didattico, si è fatto e tutt'ora si fa molto per immaginare una scienza avveniristica, in grado di ibernare teste e ricongiungerle un giorno a corpi decollati. Di chi, non si sa, ma la conservazione in azoto liquido non è fantascienza, è già garantita dalla criogenia per decine o centinaia di migliaia di dollari.

Questi e tanti altri aspetti della questione vengono affrontati con grande scientificità e passione da Frances Larson, tra passato e presente. E non siamo di certo lontani da questa dicotomia tra testa viva e testa morta: altrimenti come spiegare i numeri davvero impressionanti di visualizzazioni dei video di decapitazioni volute dall'Is? O che cosa dire del successo delle "sculture umane" di Gunther von Hagens? E perché il Pitt Rivers Museum di Oxford è ricordato da tutti come il "museo delle teste rimpicciolite", anche se contiene reperti di ogni genere? O ancora, perché un saggio come questo non smette di affascinare neanche dopo la sua lettura?
La risposta sta forse nel bisogno infinito di conoscere come siamo, dentro, e così non smettiamo di interrogarci su quale magia stipi pensieri, emozioni, ricordi nello spazio limitato del nostro cranio.

GMGhioni