"La vita sessuale dei nostri antenati": una seconda lettura

La vita sessuale dei nostri antenati
di Bianca Pitzorno
Mondadori, 2015

p. 458
€ 19,00

 




Bianca Pitzorno, punto di riferimento della letteratura per ragazzi, ha dato alle stampe un libro che, fin dal titolo, non è rivolto al pubblico consueto.
La vita sessuale dei nostri antenati è un'epopea familiare, un viaggio lungo i rami di un albero genealogico pieno di fronde marce, di foglie striminzite dipinte – a volte per ignoranza, a volte per l'ottusa ostinazione di credersi e di farsi credere di incorruttibile lignaggio – come rigogliose dimostrazioni di una nobiltà di sangue e di spirito esemplare per chiunque. Così si presenta la famiglia Bertrand Ferrell per bocca di donna Ada, nonna dell'omonima protagonista, sua tutrice legale e personaggio di rara intransigenza e ipocrisia. In fondo, nonostante le mille piacevoli avventure e digressioni raccontate in queste pagine, tutto o quasi tutto si gioca su questo scarto: da un lato la difesa delle apparenze, la cieca salvaguardia del decoro (e se questa parola vi riporta alla mente piccinerie clerical-conservatrici da Democrazia Cristiana state cogliendo nel segno), dall'altro il “ritorno del represso”, il disvelamento di un passato privo di ogni grandezza.


Anche le figure che a tutta prima si mostrano estranee al conformismo benpensante irradiato da donna Ada e fatto proprio da molti membri della famiglia (penso allo zio Tancredi, figlio di primo letto di nonno Gaddo) si rivelano poi in aperta contraddizione con la vulgata tramandata da chi santifica il passato per consolidare il proprio status sociale.
Il romanzo è un affondo nella storia italiana da inizio Novecento fino alla fine degli anni Settanta. Non certo nella storia politica o nell’analisi dei singoli avvenimenti, che pure qua e là vengono rapidamente tratteggiati, quanto nell'evoluzione dei costumi e della mentalità di una società sempre più vogliosa di scrollarsi di dosso antiquati tabù. A partire da quelli che investono la sessualità. Anche da qui passano le rivendicazioni femministe a cui più volte si fa riferimento. La sensibilità per la condizione femminile è senz'altro una delle caratteristiche del libro. Sul suo sito l'autrice lo scrive chiaramente, segnalando un elemento sempre presente nel suo lavoro: 
«L'attenzione per i personaggi femminili, unici protagonisti dei miei libri, e per i problemi relativi all'essere donna, ragazza o bambina nella nostra società contemporanea o nel passato più o meno lontano».
Al di fuori delle pur godibili peripezie di Ada e dei suoi avi, amici, amanti e amati, però, non resta un granché. Tutto dipende da quel che il lettore pretende da un libro: chi vuole una mezz'ora (un bel po' di più, anzi, trattandosi di oltre 450 pagine) di legittimo relax può immergersi con soddisfazione in questo lavoro. Chi non si accontenta di ciò difficilmente potrà apprezzare in pieno un libro del genere.
Giulio Ferroni, noto critico letterario, definendo il romanzo che non sia «corrivo al più banale consumo» nota come «riflessioni e teorie di vario genere ci hanno mostrato che la spinta a provare e a contraddire se stesso, ad agitare e complicare le strutture, a esibire la propria natura artificiale, a segnare la distanza della realtà e delle “cose” […] sembra aver caratterizzato da sempre il romanzo in quanto “genere”» (Gruppo 63. Il romanzo sperimentale. Col senno di poi, Roma, L'Orma editore, 2013). Naturalmente qui non c'è niente di simile. Anche senza voler far coincidere letteratura e sperimentalismo, inteso in accezioni che non è opportuno approfondire in questa sede, sta di fatto che un'opera letteraria è tanto più convincente quanto più materiale trattiene in sé una volta che è stata prosciugata dalla pura sommatoria delle vicende racchiuse al suo interno. Il plot da solo non basta, probabilmente non è mai bastato e di certo non basta più, a meno che non si voglia essere «corrivi al più banale consumo», per dirla con Ferroni. 

Il lettore ha ciò che si aspetta fin dalle prime pagine: una storia scritta in un linguaggio piano, corretto ma privo di guizzi in grado di spiazzarlo (un linguaggio spesso impersonale e asettico, che peraltro non varia col variare dei personaggi, come di chi svolga correttamente ma senza alcuna passione il tema assegnatogli). Descrizioni in abbondanza, qualche colpo di scena e riferimenti all'arte, alla musica, alla letteratura e soprattutto alla mitologia classica che purtroppo non risollevano le sorti del libro. Anzi, semmai peggiorano le cose, veicolati come sono da un tono un po' troppo didascalico. Più che operare un proficuo gioco con la tradizione, insomma, la scrittrice sembra voler suggerire letture o – più raramente – sfoggiare una cultura di cui certo non dubitiamo.
Quel che manca, in fin dei conti, sono le mine del dubbio in cui chi legge vuole incappare, ci auguriamo, perché esplodano nella sua mente riflessioni destabilizzanti. Manca la vertigine del non detto, del lasciato intuire; manca lo sbrego, il solco malmesso di un vinile in cui si incagli la puntina del grammofono. Manca una musica che, una volta finito di leggere il libro, continui a riecheggiare, forse a disturbare, stimolando perplessità e suscitando domande.

Marco Giorgierini

Anche Gloria Ghioni ha recensito l'opera e intervistato l'autrice: leggi la recensione e qui trovi l'intervista.