#CriticaNera - Un vano tentativo di fuga: "In Sicilia, un'estate" di Massimo Polimeni

In Sicilia, un'estate
di Massimo Polimeni
Nulla die, 2015

pp. 235
 20 cartaceo



Che dalla propria terra natale non si può fuggire è una verità biologica e psicologica universalmente condivisa. Se poi questa terra è un'isola e quest'isola si chiama Sicilia - nome che non può non evocare la ricchezza e la complessità di un corredo mitografico e letterario scandito nel corso dei secoli - la fuga allora sarà sempre un tentativo destinato all'insuccesso. Lo sa bene Enrico Anastasio, protagonista di questo nóstos con venature noir che è l'opera prima di Massimo Polimeni, In Sicilia, un'estate. Romanzo godibile e atipico nel suo intreccio che fonde due generi letterari all'apparenza distanti: il romanzo di introspezione esistenzialista e, appunto, la crime story o per meglio dire, dato il contesto geografico, il 'giallo mafioso'.
Tutto inizia, dunque, con un ritorno, topos letterario che, da Omero a Bufalino passando per Verga e Vittorini, chiama in causa le radici della 'sicilitudine' di sciasciana memoria. La crisi di Enrico Anastasio, declinata in ogni singolo aspetto che forma complessivamente la vita di un individuo (professionale, matrimoniale, familiare), è infatti una misteriosa e irresistibile nostalgia delle proprie origini, il cui cordone ombelicale è stato reciso anni addietro dal protagonista per inseguire le proprie ambizioni professionali. 
Adesso, abbandonate temporaneamente le nebbie milanesi, una solida e invidiabile posizione di manager di successo nonché una famiglia che piano piano sta franando davanti ai suoi occhi impotenti, Enrico è deciso a fare i conti con il proprio passato, con l'archetipo di quella prima fuga che ha segnato le sue azioni. Ad aiutarlo in questa impresa titanica troverà un maieutico professore di filosofia in pensione, la bellezza di un paesaggio ionico che conserva l'atemporalità del mito, vecchi amici di infanzia e una proustiana granita di gelsi assaporata quotidianamente nel bar della piazza locale. 
Gli interrogativi che si affastellano nei pensieri di Enrico sono di quelli che tagliano le gambe e le certezze sulle quali si è costruita un'esistenza, o almeno si è creduto di poterlo fare: 
Enrico era andato via dalla Sicilia anche per sfuggire a quell'ambiente di cui non condivideva molti aspetti, per conoscere il mondo, per crescere, per mettersi alla prova. Era stata una scelta intelligente. Adesso, una volta raggiunto il traguardo voleva rimettere tutto in discussione? A fronte di che? Cosa gli stava succedendo, cosa andava cercando? (p. 43)
A questa fuga fanno da contraltare le vicende di Laura, moglie di Enrico, anch'essa protagonista di un suo personale ritorno (o 'discesa') nell'isola per tentare, come in una rielaborazione del mito di Demetra e Persefone, di ricondurre il marito alla luce della ragione; e quella di Gigi, fratello minore di Enrico, avvocato di chiara fama nell'ambiente delle cosche mafiose. Soprattutto è il riannodarsi di questo rapporto fraterno che permette alla trama di virare a un certo punto verso le tonalità del poliziesco che avrà uno sviluppo e un epilogo propriamente 'siculi' di cui, per il dovuto rispetto alla suspense dell'intreccio, non anticiperemo nulla. 
Quello che emerge con forza dal romanzo di Polimeni, oltre al tributo che viene reso al richiamo magnetico dell'Isola natale ("Quale dannazione esercitava quell'isola su tutti quelli che vi erano nati o vi avevano passato parte della loro esistenza?"; p. 113), è un invito a riscoprire le ragioni di un'umanità con un ritmo e un respiro di vita diametralmente opposto al modello imperante in cui prevalgono logiche economiche che a lungo andare soffocano le nostre istanze più vere.


Pietro Russo