Democratura in salsa ateniese: "Le ateniesi" di Alessandro Barbero

Le ateniesi
di Alessandro Barbero

Mondadori, 2015

pp. 211
€ 19


Nel suo ultimo romanzo, Le ateniesi, Alessandro Barbero riesce, come forse solo un buon storico, molto attento per il lato sociale e sociologico della storiografia, potrebbe fare, a “raccontarci di ieri per parlarci dell’oggi”. Lo scrittore torinese, tessendo un’oscura vicenda ambientata nel 425 a.C. ad Atene (sette anni dopo la disastrosa rotta dell’esercito “democratico” a Mantinea davanti alle fila dei purpurei spartiati), in cui a farla da padrone sono la riflessione sulle forme di governo, la paura, la violenza e il sesso, ci mette di fronte ad uno spaccato di società antica che, in maniera più o meno inquietante, riflette quella attuale. Infatti raccontando di Polemone e Trasilo, due uomini del popolo, delle loro figlie, Charis e Gliceride e di tutto quell’universo, prettamente ateniese sì ma anche facilmente estendibile ad ogni epoca storica, ci pone di fronte ad un dilemma: qual è il costo di una democrazia?

Già, perché, oltre all’intreccio narrativo, per altro piuttosto pulp e inusuale per una personalità come quella di Barbero, il quale, da storico, ha sempre una scrittura molto misurata e, si potrebbe dire, sabauda, il cuore del discorso, l’oggetto del contendere è se una democrazia, fatto salvo che, almeno a livello ideale, questo sia il modo migliore di governare le vicende umane, dicevo, se una democrazia sia o meno in grado di “reggere l’urto” di fronte a grandi sciagure collettive e, se non sia il caso, in determinati momenti, di cambiare, anche radicalmente, forma di governo. Insomma il sospetto, per tutto il libro, è che  una cosa è il governo di tutti, una cosa il governo dei migliori. Atene , ex regina del Mar Egeo, è, dopo la battaglia di Mantinea, sostanzialmente occupata dagli Spartani. La guerra decennale non tende a finire e la città è piena di vecchi e donne, con tutti i giovani impegnati in mare, in battaglie e scontri massacranti. La società è in subbuglio, le risorse cominciano a scarseggiare e in molti si domandano fino a quando resisterà la democrazia.


A questo proposito uno dei personaggi, seppur secondari, di maggior peso nell’economia “ideologica” del romanzo, è Crizia. Crizia è infatti, personaggio realmente esistito e facente parte del cenaloco socratico, nonché zio di Platone, è stato dei protagonisti della stagione “dei Quattrocento”, ovvero della svolta oligarchica che colse Atene intorno al 411 a.C.  Ma i germi di quella stagione sono proprio qui, in questa storia, quindici anni prima. Crizia sarà in questa storia colui il quale, dietro le quinte, da perfetto esegeta della "politica di retroscena", tramerà per un ribaltamento, in senso oligarchico, dello Stato ateniese.

Ed ecco allora che Barbero nel punto di maggiore ispirazione del suo romanzo, organizza un doppio binario narrativo. Da un lato vi è il resoconto della, si direbbe oggi, la "prima" de “Le donne al Parlamento”, la celeberrima commedia di Aristofone, seguita in teatro da Crizia, Polemone e Trasilo. Dall’altro vengono colti alcuni giovani rampolli delle famiglie “bene” di Atene, tra cui il rissoso Cimone, mentre organizzano un “appuntamento particolare”, invitando, con l’inganno, in una lussuosa dimora le figlie di Polemone e Trasilo. Ecco che, su due piani narrativi distinti ma che s’intersecano, va in scena la “commedia delle donne popolari”.

Infatti sul palcoscenico viene narrato la famosa vicenda, nella quale le donne, stufe per le continue guerre degli uomini, organizzano lo “sciopero dell’amore”: fintanto che ateniesi e spartani non arriveranno a siglare la pace, né una sola ateniese né una sola spartana giacerà con i loro mariti. Una fine metafora quella ariostofanesca, che introduce anche il tema dei poteri che, in una città svuotata della “forza dei giovani”, potrebbe essere presto preda di interessi, personaggi e mire ben più terrifiche di quelle delle donne. La commedia genera discussioni tra gli aristocratici e tra i popolari, è l’arte che anticipa la storia.

Mentre la commedia si sviluppa, nella casa dei giovani nobili va in scena una tragedia. Una sorta di, le cronache attuali lo definirebbero così, “party erotico” finito male. Charis e Gliceride vengono torturate e seviziate, viene fatta loro violenza perché, nella mente di Cimone e dei suoi compari, esse non sono persone, ma sono schiave, quindi possono essere comprate, basta stabilire il loro prezzo.

Eppure Charis e Gliceride non sono due schiave, sono due donne libere figlie di uomini libere. Se la violenza andrà fino in fondo, fino al punto di non ritorno, la democrazia, in un certo qual modo, non avrà più senso nell’Atene del V secolo. Mai un destino di una città fu tanto intimamente legato al destino di due donne.

Barbero  si pone davanti alla domanda se la cosiddetta “democratura”, quella forma di “democrazia controllata” che proporrà lo stesso Crizia nell’Assemblea, non possa essere la soluzione migliore. Lo storico mette, come è nel suo mestiere, le “carte in tavola” e non prende nettamente posizione. Sa che quello non è ancora il tempo degli oligarchi che comunque, presto o tardi, arriverà. Che questo parallelo tra ateniesi antichi e noi sia destinato ad avverarsi?

Mattia Nesto