Fellini secondo Magrelli: il regista, il poeta e l'omeopatia

Lo sciamano di famiglia.
Omeopatia, pornografia, regia in 77 disegni di Fellini
di Valerio Magrelli
Laterza, 2015

pp. 182

Euro 18,00

«La lobby terapeutica poté ciò che nessun curriculum mi avrebbe mai consentito:
avvicinarmi al Sovrano»

C’è molta omeopatia, un tot di pornografia (quella illustrata e a colori dei noti bozzetti erotici del cineasta di Rimini) e regia q. b. in Lo sciamano di famiglia di Valerio Magrelli (Laterza, 2015), «una sorta di itinerario autobiografico attraverso settantasette disegni di Federico Fellini» incentrato sul rapporto tra il poeta e l’uomo delle stelle. Articolato in quattro capitoli – nel primo, Hahnemann contro tutti, viene tracciata la storia di alcuni tra i protagonisti della medicina alternativa, di cui la madre dell’autore, una pediatra, era una convinta discepola – il testo ripercorre il prima e il dopo l’incontro fra Magrelli e Fellini, avvenuto sul set del film Casanova proprio grazie al comune denominatore omeopatico:
«Perché l’omeopatia? Perché fu la chiave che mi permise di scardinare il sistema familistico italiano. Respinto ovunque malgrado i miei studi di cinema, pur di entrare nel mondo della celluloide decisi di parlare la lingua degli indigeni: raccomandazioni. Solo grazie a mia madre e al proprio mentore, venni accolto sul set di Casanova e incontrai finalmente il suo creatore».
Fu un battesimo piuttosto deludente, a dire il vero, in cui al giovane Magrelli non bastò avere fatto leva sull’amore di Fellini «per la dimensione più o meno esoterica, misterosofica, tra rabdomanti e indovini e cartomanti, astrologi, medium e, appunto, omeopati». Il raccomandato deluso si ritrovò ai margini dei margini dei vari gironi infernali di tecnici, assistenti e lacché che circondavano il Maestro, Re-Regista assiso sul trono-scranno del Director, ragno compiaciuto al centro della propria tela di fatale fascinazione. Qualche tempo dopo, però, più che l’omeopatia avrebbe potuto la poesia, se è vero che fu proprio il cineasta, nell’estate del 1980, a contattare nuovamente lo scrittore – ormai deluso tanto dalla celluloide quanto da certe dolci terapie (casus belli: una litiasi urinaria non diagnosticata) – dopo la pubblicazione della sua prima silloge:
«Una voce cortese disse: “Sono Fellini”. “Io Bergman”, risposi attaccando. Pochi secondi dopo, un nuovo trillo. “Scusi, ma io sono veramente Fellini”. Ebbe inizio nel segno del telefono (e della gaffe) una conoscenza scarsa e sporadica, ma costante, e destinata a concludersi, sempre al telefono, tredici anni più tardi. In verità, ricevendo quella chiamata, ancora non sapevo quanto Fellini amasse conoscere scrittori esordienti, come scoprii più tardi, divorato com’era da una curiosità sterminata»
Il rapporto tra Magrelli e Fellini, rinverdito durante la lavorazione di Ginger e Fred, si sviluppò «fra lunghi silenzi e incontri casuali». Nel raccontare ciò che accadde in quell’arco di tempo, Magrelli intervalla ricordi nitidi a vertiginose divagazioni, versi propri a versi altrui, etimologie bizzarre a temi musicali demoniaci, scenari fantascientifici a manoscritti dimenticati, aneddoti riguardanti attori (da Marcello Mastroianni a Gregory Peck) a soliloqui (sempre i suoi) durante i pranzi a due nelle pause di lavoro. E soprattutto, nell’approcciare anche il lato umano e terreno del Fellini, non manca di farne emergere un aspetto noto e peculiare, con l’inclusione di 77 disegni a tema erotico che, tra sogno e realtà, fungono da perfetto anello di congiunzione in technicolor con «l’antico vignettista, il gioioso pornografo amico di Moebius e ammiratore dei fumetti di “Métal Hurlant”, oltre che di tanti disegnatori italiani, da Milo Manara ad Andrea Pazienza».

Terminata la lettura, resta sibillinamente irrisolta la domanda circa il titolo: chi è, infine, lo sciamano di famiglia? Non la madre dell’autore, evidentemente, nonostante l’esilarante descrizione di lei intenta a sperimentare su di sé i prodigi dell’agopuntura (Come un radiante, immenso / mostro psicoanalitico, / mia madre, Medusa omeopatica, / sorgeva da dietro la porta circonfusa di strali / Madonna dei Sette Dolori / Signora delle Spade). Troppo semplicistico anche fregiare di questo appellativo il professor Antonio Negro, suo maestro e medico personale di Fellini. Si può provare, forse, ad attribuire il ruolo proprio al regista. Del resto, ammesso e non concesso che F. F. non fu capace (come da dizionario) di  “guarire le malattie e accompagnare le anime nel regno dei morti”, è pur vero che egli fu a suo modo “un personaggio dotato di eccezionali poteri, capace di fare da intermediario tra il mondo celeste e il mondo infernale”: «una “Grande Macchina”», per usare le parole di Magrelli, « i cui portentosi prodotti non cessano di alimentare il nostro immaginario».

Cecilia Mariani