"Ikea" di Dario Mangano


Ikea
di Dario Mangano
doppiozero, 2014

e-book 3,50 euro


Settembre – è ormai un luogo comune – è reputato, quanto e più di gennaio, il vero inizio del nuovo anno. Vuoi per la coincidenza con la ripresa delle attività scolastiche e lavorative dopo la pausa estiva, e per la messa in pratica dei vecchi propositi e dei discorsi teorici lasciati a lungo in sospeso e messi poi definitivamente in stand by dalle vacanze, il mese della vendemmia e delle prime avvisaglie d'autunno sembra essere l'ideale sia per i cambiamenti repentini che per le rivoluzioni a lungo pianificate. E quale, tra i molti atti possibili, esprime al meglio l'idea del makeover più del trasferimento, del trasloco, dello svecchiamento del mobilio? A tutti coloro che sono in procinto di cambiare stanza o casa, ristrutturare una cucina o un bagno, arredare ex novo una camera da letto o un soggiorno, ma che, in tempi di risparmio obbligato, stanno ragionando su come investire al meglio i propri denari, consiglio di leggere l'intelligente saggio di Dario Mangano (un e-book della collana “miti d'oggi” della libreria di “doppiozero”, 2014), il cui titolo coincide, né più né meno, con il nome del magico store “gialloeblu” verso il quale, molto probabilmente, hanno deciso di indirizzare i propri passi: vale a dire, il più vicino Ikea.

C'è però una prima sostanziale differenza tra il lavoro di Mangano – professore di Semiotica all'Università di Palermo e all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo – e un altro qualsiasi tra gli studi già pubblicati (e non sono pochi) dedicati al colosso svedese. L'ambizione dell'autore, in linea con l'orientamento della collana, non è tanto analizzare e spiegare il fenomeno Ikea anche nei suoi lati deteriori (come peraltro è già stato fatto), quanto smontarne e rimontarne nello specifico quello che a tutti gli effetti può, a oggi, esserne considerato il “mito”. Anzi è lo stesso lettore che viene invitato a farlo, muovendosi tra le sezioni del testo con la stessa procedura con la quale si accingerebbe a manipolare un oggetto o un mobile made in Svezia appena acquistato: Ikea è difatti strutturato come un glossario, le cui parole chiave (“parole-chiave-a-brugola”, verrebbe da dire,  in onore della brugola Ikea, uno tra i tanti oggetti feticcio del cosiddetto Ikeanauta) funzionano come moduli densi di significati, da comporre e ricomporre liberamente, di modo che ognuno costruisca da sé il libro. Ma attenzione: ciò non accomunerà il lavoro di Mangano nemmeno con il vero e proprio catalogo Ikea. E non solo perché questo, come ricorda l'autore, «con i suoi 212 milioni di copie e le 29 lingue nelle quali viene tradotto è la pubblicazione a stampa con la maggiore tiratura che esista oggi al mondo», al punto che «nessun bestseller può lontanamente tenergli testa, neanche quelli che parlano di cibo» (il che è tutto dire, di questi tempi). Il divario, piuttosto, è dato dal fatto che qui non si tratta tanto di scegliere ciò che può piacere tra la merce esposta, oppure desiderare fino allo struggimento di essere parte di quel mondo (perché è questo il senso del catalogo: esibire gli oggetti insieme, vendere atmosfere), quanto di realizzare ben presto lo svaporamento dell'aura mitologica della quale Ikea si ammanta dalla sua nascita, e alla quale deve il suo successo mondiale.


Utilizzando gli strumenti della semiotica del design, di quella del brand e di quella dello spazio, e con una buona dose di (de)costruttiva ironia, Dario Mangano ci conduce all'interno di un mondo solo apparentemente fatato e in realtà subdolamente e gradevolmente coercitivo, dove al bambino sarà consentito fare il bambino – nell'area dedicata, la Småland – mentre l'adulto, tra il piano delle esposizioni e il magazzino, «sarà libero di realizzare anche lui un'attività prettamente infantile: immaginare». Attrezzato di tutto punto grazie a una borsa – la borsa di Ingvar (Kamprad), con la quale si diventa istantaneamente «una specie di incrocio tra un canguro ed Eta Beta» – e alla famigerata, piccola, matita – che è a sua volta «un dono, un oggetto magico proprio come quello delle favole» – il cliente sarà pronto a vivere la sua esperienza di fascinazione, desiderio di immedesimazione e appartenenza e, conseguentemente, acquisto. Poi, una volta tornato nella propria abitazione, potrà continuare a baloccarsi, per esempio con «il totoIkea, che consiste nel fare indovinare agli ospiti quali degli arredi presenti nella casa provengono dal produttore svedese», oppure scervellarsi, da solo o in compagnia di altri Ikeanauti, a scovare l'eccezione che conferma la regola, vale a dire «che cosa non è Ikea nel catalogo Ikea».

Al centro del discorso di Mangano, che a dispetto della pregevole leggerezza della prosa è tutto teso all'estrazione dei significati ulteriori e più profondi del fenomeno, c'è dunque «il potere simbolico che tutto questo gigantesco gioco ha, l'effetto identitario che produce». Ciò apparirà sempre più evidente al lettore saltabeccando di concetto chiave in concetto chiave: dall'originalità delle istruzioni di montaggio alle relative vignette con Mr. Faidate; dal rispetto della natura, sbandierato dal marchio e confermato dalla vendita di veri vegetali nel negozio, all'attribuzione di un nome proprio invece che di una sigla agli oggetti e ai mobili; per arrivare, non ultima tra le priorità, alla proposta di solo cibo svedese nel ristorante interno, presuntuosamente privo (in linea con il meccanismo totalizzante del brand) dell'onnipresente Coca-Cola. Come in un grande “Gioco dell'oca” in cui anche chi sta fermo al giro non è meno coinvolto nel meccanismo, perché ha più tempo per analizzare forme e colori da una particolare prospettiva, ecco che appare svelata «la verità di Ikea», il quale «non è un negozio più o meno economico, un luogo di consumo più o meno attraente e ben fatto, un posto in cui andare a passare un pomeriggio ogni tanto», bensì «una filosofia, una religione. Ikea è un sistema. Lo è a tutti i livelli, dietro e davanti le quinte, ma un sistema che non ha come confine la produzione e la vendita di arredi ma l'esistenza intera».

Rifletteteci la prossima volta che vi occorreranno dei tovaglioli e vi ritroverete a indugiare sul loro colore. Starete confermando uno dei tanti assunti di base: ovvero che da Ikea «la gente non compra tovaglioli. Compra modi carini per risolvere il problema di pulirsi la bocca senza rovinare l'estetica del tavolo».

Cecilia Mariani