Il piccolo e grande fluire della Vita e della Storia: Il tempo migliore della nostra vita di Antonio Scurati

Il tempo migliore della nostra vita 
di Antonio Scurati
Bompiani, 2015
 

pp. 267
€ 18



Leone Ginzburg non è mai morto o meglio, è sempre sul punto di morire per noi. Infatti un grande uomo, un uomo che è stato retto, ha vissuto “secondo la propria coscienza” e ha perseguito la propria esistenza “con la devozione, la serietà e il rispetto” che merita, si eleva dal proprio mero dato biografico per divenire una piccola, ma splendente, stella che illumina il cammino degli altri. Ecco perché l’ultima, straziante e bellissima, lettera che Leone imprigionato nel carcere di Regina Coeli invia a Natalia, sua moglie, è uno scritto che tutti noi dovremmo leggere e portare, un poco nascosto, nel cuore: perché parla a e di tutti noi. Così come di noi tutti sono formate le mille piccole storie della gente comune, comune come lo erano i nonni e i genitori dello scrittore Antonio Scurati, autore di questo Il tempo migliore della nostra vita edito per Bompiani. Un libro che, come ammette verso la fine lo stesso scrittore, non è un saggio ma un romanzo perché l’arte del racconto (e chi se non il “narratore” è l’uomo che vive nel mezzo, tra i morti e i vivi, come aveva avuto modo di definirlo lo stesso Carlo Ginzburg, figlio di Leone), che vuole narrare che “al titanismo nazi, in prima linea o in retrovia, ci si possa opporre anche con le piccole virtù di gente che lavora e cresce i figli, con l’ostinazione della cura editoriale, della filettatura dei metalli, delle bistecche o dei pupi”.

Il libro si divide, grosso modo, in quattro parti, tre delle quali proseguono parallele sino a quasi la fine, momento nel quale fa capolino la quarta ed ultima. Le prime tre sezioni le potremmo genericamente chiamare “La storia di Leone”, “La Storia” e “La Storia degli Scurati e dei Ferrieri”.

Partiamo col descrivere il secondo blocco “narrativo”, quello più semplice da trattare. Nella sezione “La Storia” vengono descritti, con un tocco di penna rapido e molto sicuro, i principali avvenimenti politici, sociali e storici che, a partire dai primi anni del Novecento, accadono in Italia e nel Mondo, con una particolare attenzione per il cuneo temporale che va dagli anni’30 alla fine degli anni’40. Infatti il libro si apre con il famoso “no” che 13 professori universitari (su quasi 1300) pronunciarono in occasione del giuramento al Fascismo. Infatti tra il 1933 e il’34 il Regime aveva imposto che anche l’Università fosse “fascistizzata” e in quest’ottica era stato imposto questo giuramento. Eppure, nonostante l’Università italiana fosse stata da sempre un concentrato di idee liberali e progressiste, soltanto, come abbiamo già ricordato, 13 professori dissero di no. Ed è qui che Scurati ricorda come si trattasse, a parte per uno, di professori già anziani, “reduci di un mondo che già non c’era più”. Ecco perché il rifiuto di Ginzburg è ancora più forte e netto. Perché egli era un brillante professore universitario poco più che ventenne, ammirato da tutti, fine conoscitore della letteratura russa e di quella francese, destinato ad un luminoso futuro accademico. Eppure egli scelse le incertezze del “no”: perché Leone sapeva che “non si può andare contro la propria natura”.

Il primo blocco temporale, “La Storia di Leone”, è per l’appunto la vicenda biografica ed intellettuale di Leone Ginzburg, quest’interessantissima figura di russo di origine ebraiche nato ad Odessa che, a causa di rivoluzioni e sommovimenti vari, si ritrova a crescere in Italia a partire dagli anni’20 per poi finire, sempre nel Belpaese, torturato e seviziato dalle SS in un carcere romano nel 1944. Eppure nei 35 anni nei quali calcò questa terra, Leone ebbe modo di leggere molto, di co-fondare la più importante e prestigiosa casa editrice dell’Italia del dopoguerra, l’Einaudi, di sposare Natalia Levi, avere tre figli (Carlo, che diverrà poi un noto storico, Andrea, importante economista e Alessandro, psicoanalista di fama) , di intessere profondo amicizie con personaggi del calibro di Cesare Pavese  e molte altre cose. Ma non basta. Il dato più importante della parabola biografica di Ginzburg fu la sua rettitudine, morale, civile ed intellettuale, quel suo modo di non venire mai meno ai più alti proclami di humanitas. Basti citare un episodio per tutti, ricordato anche nel libro per bocca di Sandro Pertini, suo compagno di cella. Mentre, come ogni giorno, le guardie naziste lo picchiavano a sangue, Pertini sentì mormorare da quel volto “gonfio di dolore” le seguenti parole: “Guai a noi se in futuro non riusciremo a non odiare l’intero popolo tedesco”. Quasi una frase da mito, se non fosse tutto vero.

Il terzo filone, quello intimo per lo scrittore, che possiamo chiamare “La storia degli Scurati e dei Ferrieri”, è la trattazione di queste due famiglie, l’una lombarda, l’altra napoletanissima, durante il Novecento. Una storia popolare e minuta, fatta di gente semplice ma quasi sempre onesta e lavoratrice. Una storia che è confluita nello stesso Antonio Scurati. Infatti lo scrittore nato a Napoli racconta proprio il ramo paterno e quello materno della propria famiglia, così da fare i conti anche con il proprio di passato. Tra una Cusano (non ancora Milanino) in cui le ansie del progresso non avevano per il momento portato le brutture del presente e una Napoli dei quartieri “bassi”, eterna e brulicante di vita, si snodano le vicende di due famiglie come tante nell’Italia di ieri e per questo “importanti e fondamentali come tutto”.

Il quarto e ultimo filone narrativo, che si potrebbe definire come “Autocoscienza della cose in se”, prende avvio nella parte finale del libro, nel momento in cui Scurati si domanda sul perché dello stesso volume, originariamente pensato come due opere separate, la “storia di Leone Ginzburg” e  “La Storia degli Scurati e dei Ferrieri” e invece divenuto uno solo. Alla fine lo scrittore comprende  come tutte le esistenze pregresse siano funzionali e basilari per quelle future, perché anche se si è nati “nel lembo di storia e d’Occidente più florido, ricco e pacifico di tutti i tempi” le somiglianze con le difficili esistenze di quando imperava la guerra e la morte vi sono, anche se un poco nascoste tra le pieghe del tempo. Non conta domandarsi “se io ci fossi stato, in quella corrente, da che parte sarei andato?” dato che, e ce lo dice lo stesso Antonio Scurati, “io c’ero in quella corrente perché c’era il nonno di cui porto il nome”.

Come nelle storie dei pupi di Sicilia Carlo Magno muoverà sempre guerra ai mori anche se il tempo delle crociate è finito da un pezzo: quello che non ancora è esaurita è la natura dell’essere umano di inventare, scoprire e vivere.



Mattia Nesto