Il Salotto - "Nella mente dell'ipnotista": una serata all'Ikea con i Lars Kepler

Sono un caso editoriale della letteratura gialla scandinava, con 5 milioni di copie vendute in 35 paesi. Dal 2009 a oggi hanno pubblicato cinque romanzi, portando con maestria i lettori nell'abisso di situazioni estreme in cui i personaggi si confrontano con il male. 
Si chiamano Alexander e Alexandra Ahndoril, marito e moglie che hanno scelto di firmarsi con lo pseudonimo di Lars Kepler. Trame e personaggi sono frutto di un lavoro a quattro mani, di una delicata operazione di scambio creativo che ha dimostrato di funzionare molto bene. 
Nel 2010 è stato pubblicato in Italia il loro primo romanzo con il protagonista Erik Maria Bark, L'ipnotista, personaggio controverso e sfaccettato, come lo è anche il commissario di polizia Joona Linna, protagonista dei successivi romanzi L'esecutore (2011), La testimone del fuoco (2012) e L'uomo della sabbia (2013).
Il dottor Erik ha stregato i lettori e nel 2012 è arrivato anche sul grande schermo nell'omonima trasposizione cinematografica di Lasse Hallström.

I Lars Kepler hanno aspettato cinque anni prima di riprendere in mano le fila della storia di Erik Maria Bark e ora l'ipnotista più famoso di Svezia è tornato. Questa volta, ancor più della precedente, si ritroverà personalmente coinvolto nel caso e il viaggio nella mente degli altri diventerà un viaggio dentro se stesso, faccia a faccia con l'orrore della morte. Non a caso il titolo del nuovo romanzo è Nella mente dell'ipnotista (Longanesi, 2015, traduzione di Carmen Giorgetti Cima e Roberta Nerito). 

#CriticARTe - "Yves Klein / Lucio Fontana Milano-Parigi 1957-1962"


"Yves Klein / Lucio Fontana Milano-Parigi 1957-1962"


Presso il Museo del 900 dal 22 ottobre al 15 marzo 2015.


(nella foto: installazione del "Pigment pur" di Ives Klein in basso; Arabesco al neon di Lucio Fontana in alto)

Yuri Gagarin - 12 aprile 1961 - «La Terra è blu… che meraviglia. È bellissima»


All’Arengario di Milano, risplende “il cielo in una stanza”: un microcosmo di luci al neon, che innalzano la bellezza dell’arte italiana, danzando al pari della Madonnina del capoluogo lombardo, su un pavimento di pigmenti puri, che la forza di gravità incolla rispecchiandone l’estetica perfetta come un Narciso immerso nella musica del blu, dipinto di blu.

Nell’atmosfera magica di questa poetica del colore e dell’infinito, il Museo del ‘900, opera degli architetti Italo Rota e Fabio Fornasari, dedica i suoi spazi ad un lungo percorso espositivo a cura di Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti, in cui Lucio Fontana ed Yves Klein, trasportano l’osservatore alla scoperta della quarta dimensione nell’arte.

Inaugurata il 22 Ottobre 2014, la mostra dal titolo: “Yves Klein Lucio Fontana. Milan Parigi 1957-1962”, che si concluderà il 15 Marzo 2015, occupa alcune delle stanze più rappresentative della collezione permanente, riformulate per l’avvenimento, per enfatizzare e promuovere lo stretto confronto visivo tra le oltre 90 opere dei due artisti, affiancate da una ricchissima documentazione di fotografie, filmati d’epoca e carte d’archivio.

La vita a pedali di Paolo Aresi: Una vita consacrata alla bici

La vita a pedali
di Paolo Aresi
Bolis Edizioni, 2014





Scriveva il grande Dino Buzzati diversi anni fa:
"No, non mollare, bicicletta. Se tu capitolassi, non solo un periodo dello sport, un capitolo del costume umano sarà finito,ma si restringerà ancor più il superstite dominio dell’illusione dove trovano respiro i cuori semplici".  
Cuori semplici sono i personaggi del bel romanzo di Paolo Aresi La vita a pedali, dedicato a uno dei più grandi campioni del ciclismo italiano e mondiale di tutti i tempi, Felice Gimondi, vincitore in carriera di tutti e tre i Grandi Giri, Giro d’Italia (tre volte), Tour de France e Vuelta di Spagna, e di un campionato del mondo su strada. 

Tra le ombre del sesso: arriva la trilogia erotica anche da Einaudi

L'oltraggio
di Sara Bilotti
Einaudi Stile Libero Extra, 2015

pp. 304
€ 9,00 cartaceo

Aveva fatto l'amore con uno sconosciuto, quella notte. E ne desiderava un altro, il quale la stava aspettando nel salone, dopo aver lasciato la porta d'ingresso aperta. (p. 82) 

Esordire con un romanzo erotico non è mai facile. Farne una trilogia, addirittura, impone di misurarsi con il successo di E. L. James (discutibile sotto tanti aspetti ma non in fatto di mercato) e delle meno fortunate italiane. 
Sara Bilotti non sembra intimidita, e sceglie di innovare e complicare il triangolo amoroso, da sempre uguale e diverso, con un retrogusto noir (che potrebbe diventare preponderante nei volumi successivi?). E non mi riferisco solo alla copertina, tanto evocativa quanto controversa. La scena si svolge in un paesino vicino a Firenze, o meglio, in un'azienda isolata, Bruges, e non è difficile immaginare come l'ambientazione passi con scioltezza dal locus amoenus a un'atmosfera pregna di segreti, rimossi eppure tormentosi. 

#CriticARTe - "LA NASCITA DI MAGNUM" - R. Capa, H. Cartier-Bresson, G Rodger e D. Seymour ‘Chim’.

LA NASCITA DI MAGNUM

Robert Capa Henri Cartier-Bresson 
George Rodger David Seymour ‘Chim’

Cremona, Museo del Violino
31 ottobre 2014 – 8 febbraio 2015

A cura di Marco Minuz

©Robert Capa


La mostra dell’Agenzia MAGNUM PHOTOS INC, celebra la nascita della stessa, avvenuta il 22 Maggio 1947 nella Contea di New York, ad opera di Robert Capa, Henri Cartier-Bresson e George Rodger, David Seymour (Chim), affiancati da Maria Eisner, William e Rita Vandivert.

Henri Cartier-Bresson, dopo la prima grande retrospettiva inaugurata dal MOMA di New York nel 1947 in suo onore, avrebbe potuto dedicarsi unicamente all’arte, ma contrariamente alle aspettative, sceglie di legarsi in società a Robert Capa e David Seymour, suoi amici ormai da un decennio. Il progetto, a cui parteciperanno anche George Rodger, Maria Eisner, William e Rita Vandivert, nasce dal profondo desiderio di raccontare il mondo ai suoi stessi cittadini. Una serie di sanguinose guerre ha segnato il globo intero nelle ultime decadi, sconvolgendo la società e ridisegnando i confini geografici, intensificando la necessità di divulgazione della stampa. L’informazione è in mano alle case editrici che uniche padrone, possono gestire il materiale raccolto dai fotoreporter e scegliere cosa proporre alle masse. In questo contesto si inserisce il radicale valore del cambiamento avviato dall’associazione di Magnum.    Tre grandi sale, allestite presso il Museo del Violino di Cremona, dal curatore Marco Minuz, ospitano una prestigiosa selezione delle iconiche immagini dei padri fondatori di Magnum, mostrando l’intensa attività fotogiornalistica, che ha segnato la storia dell’editoria, rivoluzionando il concetto di libertà di pubblicazione e moderno copyright.

"Tutta la luce del mondo" di Aldo Nove

Tutta la luce del mondo
di Aldo Nove
Bompiani, 2014

pp. 294
€ 18





“Nel Medioevo tutto era stupendo. Nel senso che era pieno di stupore. E c'erano i miracoli, e le cose non erano semplicemente cose, e l'acqua non era acqua solamente, e il cielo era un po' più del cielo”
Con queste parole inizia Tutta la luce del mondo, il libro di Aldo Nove dedicato a Francesco d’Assisi.

Il romanzo si divide in 3 parti, ciascuna di 13 capitoli ambientati in un Medioevo popolato da mille figure, belle e brutte, teatro di battaglie, custode di segreti e terra di avventure, di amori e di paure.
Accordando storia e poesia, l’autore narra la scelta di un uomo attraverso la “meraviglia” di un bambino, Piccardo nipote di Francesco, il quale è incuriosito da questo zio, di cui in casa i genitori gli proibiscono di parlare, poiché ha destato scandalo nella famiglia e nella sua città, infrangendo l’ordine stabilito, rinunciando alla ricchezza e rinnegando pubblicamente l’autorità di suo padre. Accanto alla vita del santo, Nove include anche le figure di frate Leone e di Chiara. Quest’ultima è una sorta di alterego di Francesco, diciassettenne nobile e benestante, che abbraccia senza riserve il suo messaggio e che abbandona casa, agi e fortune, per dedicarsi al Signore, facendosi prima servitrice degli ultimi.

"Orazione civile per la Resistenza" di Daniele Biacchessi

Orazione civile per la Resistenza
di Daniele Biacchessi
Promo Music - Corvino Meda Editore, 2012


pp. 267


L'Italia è un Paese dalla memoria corta, abilissimo nel rimuovere in un batter d'occhio ogni barlume di verità percepita come scomoda. Un meccanismo di rimozione che trae la sua folle ragion d'essere dalla necessità di non far sgretolare un intero sistema che si regge su teoremi tanto contraddittori e inconsistenti da sconfinare nell'autolesionismo. Meglio dunque azzerare la riflessione e conquistarsi la complicità del tempo che sbiadisce e distorce anche la più solida evidenza.
Daniele Biacchessi è un gendarme della memoria. Come lui stesso ci spiega con disarmante semplicità:  
Sono tra quelli che hanno chiamato in modo dispregiativo gendarmi della memoria. [...] Siamo quelli che hanno deciso di stare da una parte e non hanno cambiato bandiera solo per vendere qualche libro in più. Pensiamo che il peggiore dei partigiani stava dalla parte della democrazia e il migliore dei repubblichini di Salò era comunque alleato dei nazisti, responsabili dello sterminio pianificato di milioni di ebrei e oppositori politici.
L'interrogativo da cui si dipanano i contenuti di questo libro è sostanzialmente questo:  
Cosa è accaduto in Italia tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945? Una guerra civile oppure una guerra di liberazione contro la dittatura fascista e l'occupazione tedesca? I termini risultano fondamentali per poter definire l'esito della Storia. La guerra civile è un conflitto armato nel quale le parti belligeranti appartengono alla popolazione di un unico Paese. Di converso, come sottolinea Biacchessi, tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, il nostro Paese è occupato dalle forze armate della Germania nazista e si trasforma in un distretto militare alle strette dipendenze di Adolf Hitler che, tramite la Repubblica Sociale Italiana di Benito Mussolini, un protettorato tedesco, lo sfrutta per legalizzare alcune annessioni e ottenere manodopera a basso costo.
Questo significa che è stata combattuta una guerra di liberazione contro la dittatura nazista e fascista organizzata da tutti i partiti e i movimenti antifascisti italiani riconosciuta e sostenuta dalle forze anglo-americane.

La grande letteratura non tradisce

Giuda (הדוהי)

di Amos Oz
Feltrinelli, Miano, 2014

traduzione dall’ebraico di Elena Loewenthal

pp. 330
€ 18


La fondazione dello stato ebraico e il tradimento di Giuda: possono due temi di questa portata, dalle immani conseguenze che affondano oramai nei millenni e che si proietteranno ancora sui prossimi, stare in uno stesso libro? Non un saggio, peraltro, ma un romanzo, il terreno privilegiato della finzione più che di fatti eminentemente storici.
È possibile perché chi ha tentato l’operazione, riuscendoci a pieno con una riflessione di convincente onesta intellettuale, è Amos Oz. Concordo al cento per cento con Goffredo Fofi: il migliore scrittore israeliano di oggi e tra i più grandi viventi, con Yehoshua che si è infiacchito e con Grossman che mai li ha raggiunti.
Un accenno di trama poi partiamo dal nome scomodissimo del titolo. Siamo tra il 1959 e il 1960, la guerra di indipendenza è vicina nel tempo e nei ricordi, Suez lo è ancora di più, e c’è uno studente, Shemuel Asch, che lascia incompiuta la sua tesi sulla figura di Gesù vista dagli ebrei. Per una serie di motivi che vanno dalla crisi economica familiare a quella propria esistenziale. Leggendo casualmente un annuncio, Shemuel si ritrova ad assistere un vecchio intellettuale, Gershom Wald, il cui figlio è morto nel 1948 trucidato dagli arabi. Questo giovane, era sposato con Atalia Abrabanel, figlia a sua volta di Shaltiel Abrabanel, contrario alla nascita di Israele e per questo cacciato da ogni carica dell’Agenzia Ebraica e ostracizzato nel nascente stato dal padre della patria David Ben Gurion e dall’elite askenazita che lo affiancò. Un messa al bando totale durata fino alla morte. Atalia vive con Wald ed è una donna di 45 anni di grande fascino che porta nel libro, accanto a questa lezione di storia che mostra le difficoltà di uno stato neonato, quelle di un popolo e le ragioni dei nemici, anche un sofferto risvolto sentimentale.

#CriticARTE: Cartier-Bresson al Museo dell'Ara Pacis

“...ogni volta che premo il pulsante dello scatto, è come se conservassi ciò che sta per sparire.” – Henri Cartier-Bresson
Henri Cartier-Bresson 
Finissage: Roma, Museo dell’Ara Pacis
dal 26 settembre 2014 - 25 gennaio 2015


Si chiude oggi al Museo dell’Ara Pacis una retrospettiva dai grandi numeri, proveniente dal Centre Pompidou di Parigi e dedicata all’inestimabile opera di Henri-Cartier Bresson: 16.000 i visitatori che hanno percorso le sale nel periodo di dicembre, con una media di circa 1000 persone al giorno; 500 le opere esposte, tra cui schizzi, filmati e le fotografie originali dell’epoca stampate dallo stesso Cartier-Bresson; 9 le sezioni che compongono il percorso proposto dalla mostra, analizzando ciascuna un diverso periodo della vita e del lavoro dell’artista ed infine 1 il grande catalogo edito da Contrasto, con saggi di studiosi e testi inediti. 
Queste strabilianti cifre non destano stupore, trovandoci di fronte all’opera di colui che è stato definito “lo sguardo del secolo” e che, attraverso un costante lavoro della stessa durata, ha gettato le fondamenta della moderna fotografia, ridisegnato il ruolo del fotografo e diventando egli stesso simbolo e riferimento di quest’arte.

Attraverso il Plutarco delle "Vite parallele" (seconda parte)



Le fonti cui Plutarco si riferisce sono le più varie: anzitutto la grande tradizione storiografica che l’ha preceduto, non solo i grandi nomi, quelli che hanno superato le contingenze quasi cronachistiche e il titolo di testimone oculare (e, per noi, il grande naufragio della letteratura greco-romana), ma anche gli storiografi meno noti o inaffidabili per partigianeria, da cui comunque egli ritiene da poter prendere qualcosa, se non altro, a volte, la possibilità di accennare versioni diverse di uno stesso fatto; poi, i poeti, i tragediografi e i commediografi; le ricostruzioni etimologiche, quelle etnografiche relative alle feste, ai riti e ai culti, che così diventano testimonianze del passato e dell’evento che li ha istituiti, perché ne sono la ripetizione “teatralizzata”; e poi ancora le steli, le iscrizioni, gli altari e finanche i modi di dire, i proverbi. È insomma una storiografia appassionata che fa domande e cerca risposte in ogni direzione dello scibile e cerca di ordinare e interpretare tutti i documenti a sua disposizione. Spessissimo Plutarco, sulla base delle diverse testimonianze e delle diverse fonti, presenta più versioni di uno stesso episodio o dà più spiegazioni di un fatto, preferendo quanto a lui, come già detto, la più verosimile, ma non deprivando il lettore delle altre, anzi invitandolo a prendere autonomamente posizione, in base alle sue convinzioni filosofiche o religiose.

Cronaca di una nascita: Centro di Poesia Contemporanea di Catania

Evidentemente, a dispetto della scarsa visibilità mediatica nonché del nocivo elitarismo di certe conventicole intellettuali, c'è ancora un'inspiegabile fame e sete di poesia. È questo il paradosso di un mondo che non troppo di recente ha abbandonato il paradigma dell'umanesimo a vantaggio del dominio/tirannia della tecnica. La poesia continua a essere e a esserci (resiste, dicono alcuni), nonostante tutto. Non c'è altra spiegazione plausibile se un gruppo di giovani studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche (Disum) dell'ateneo di Catania, insieme a docenti universitari e stimati poeti anagraficamente meno giovani, animati dalla comune passione per la poesia, profonde tempo ed energie per dare vita al Centro di Poesia Contemporanea di Catania (CPCC), il terzo in Italia dopo quelli di Bologna e Roma.
Se folli o coraggiosi saranno, come è giusto, i posteri a decretarlo. Intanto, a giudicare dalla partecipazione e dal calore della serata d'inaugurazione del Centro, mercoledì 21 gennaio scorso nei locali dell'ex monastero dei benedettini di Catania, prestigiosa sede del Disum, le premesse per costruire un progetto duraturo e di valore a partire dalle risorse e dalle energie del territorio sono notevoli e fanno intravedere un futuro radioso. A introdurre l'evento e a fare quindi da filo conduttore dell'incontro l'incipit de I versi di Vittorio Sereni: "Se ne scrivono ancora".

Attraverso il Plutarco delle "Vite parallele" (prima parte)



Prima di avventurarmi nell’Invito alla lettura delle Vite parallele di Plutarco credo sia giusto preporre almeno due avvertimenti a mo’ di rete di protezione per eventuali, non improbabili, cadute nel risaputo, nell’estemporaneo e nel superficiale. Non sono uno specialista di letteratura greco-romana, ma solo un ammirato lettore dilettante; e non leggo nella lingua originale, bensì in traduzione italiana – nello specifico: Plutarco, Vite parallele, introduzione, traduzione e cura di Carlo Carena, Einaudi Millenni 2 voll., Torino 1958 (V edizione 1975).


Le vite parallele di Plutarco sono una fonte inesauribile di storia antica, esposta con grande perizia letteraria e basata su un’intima e partecipata conoscenza del mondo ellenico e romano, del quale lo scrittore è un insigne rappresentante e un convinto sostenitore. L’opera si compone di 22 coppie di biografie (tante almeno ne sono rimaste, oltre a quattro vite “spaiate”) che mettono a confronto un personaggio storico ellenico e uno romano. L’opzione biografica, rispetto a quelle annalistiche o incentrate su una nazione o su fatti particolari, gli permette di incrociare la storiografia (che comunque rimane preminente) con altre componenti della cultura classica (la poesia, il teatro, la filosofia, l’etnografia, la scienza, ecc.) che arricchiscono l’opera e la distendono su un fondo di erudizione e riflessione di notevolissimo spessore. Si tratta dunque di un’opera a metà strada tra il vero storiografico e il verosimile poetico (secondo la nota distinzione aristotelica): da questo crogiolo si sprigiona spesso un pathos che gli stessi poeti raramente riescono a raggiungere (e non è un caso che nei secoli successivi siano stati i poeti ad attingere da Plutarco – Shakespeare, tra gli altri).

La fuga di Glenn Gould secondo Schneider: l’arte come assenza

Glenn Gould. Piano solo
di Michel Schneider

Einaudi, Torino 1991

traduzione italiana di Sergio Toffetti

pp. 181
14 euro


Michel Schneider, musicologo e psicoanalista, ha proposto un libro su uno tra i musicisti più discussi e allo stesso tempo celebrati di ogni epoca: Glenn Gould. Si tratta indubbiamente di un grande libro, sia per quanto c’è, sia per quello che invece non vi troviamo. Nella sua prosa dall’afflato quasi poetico manca proprio ciò ci si aspetterebbe di vedere: un’approfondita analisi psicologica. Schneider fa il contrario di quel che ci si attende da lui, psicanalista di professione, non concependo un mero saggio in cui si ricerchino spiegazioni al genio eccentrico di Gould, alle sue manie e alle sue scelte.

#CritiComics | "Una brutta storia": siamo fatti della materia di cui sono fatti i pugni

Una brutta storia
di Tommaso "Spugna" Di Spigna
Ed. GRRRZ Comic Art Books, 2014

pp. 112
€ 18,00

Non so se nella vita vi è mai capitato di prendere un pugno. Tra il momento in cui incassi il cazzotto e quello in cui senti il dolore arrivare fino al cervello, c'è un istante in cui hai la sensazione che il tuo corpo si sia modificato per sempre, che gli organi interni - così come lo zigomo e l'occhio poco sopra - si siano adattati alla conformazione delle cinque nocche (e alla potenza esercitata dal tiratore scelto e alla resistenza posta dal proprio corpo). 

Non so nemmeno se nella vostra vita vi è invece capitato di tirare un pugno a qualcuno. Se non lo avete mai fatto dovete sapere che tirare un pugno fa male, non tanto quanto riceverlo ma abbastanza da far sentire distintamente al tuo cervello un differente tipo di dolore per ognuna delle cinque dita. Fate una prova con un oggetto inanimato e ditemi se riuscite ad avere la stessa precisa sensazione di possedere cinque dita quando digitate su una tastiera o stringete una maniglia. 

Tipologia di dolore a parte (e dici poco), non c'è poi molta differenza tra essere preso a pugni e prendere a pugni qualcuno, anche perché in queste situazioni difficilmente riesci solo a dare o solo a prendere (macisti e smidollati a parte). Perché da qualche cazzotto ben assestato, esce fuori quasi sempre una buona storia da raccontare e qualche cicatrice da ammirare solitari allo specchio del bagno.

Il peso che ci opprime e che ci convince che questo è l'unico luogo per morire

Il corpo della città
di Giuseppe Elia Monni
Mondadori, 2014

pp. 168
€ 17,00 cartaceo



Voi non credete che per studiare un luogo si dovrebbe attraversarlo, e aprirlo, ed osservarne l'aspetto interno come quello esteriore, con lo stesso scrupolo che si dovrebbe avere nello studiare un corpo? (p. 15)

Attraversare Cagliari, aprirla, così come i corpi senza vita (e ormai senza anima) che il dottore e professore don Gemiliano Deidda seziona alla facoltà di Chirurgia. L'uomo, realmente vissuto, non è però tanto ricordato per i suoi esperimenti e scoperte scientifiche, ma per la cultura enciclopedica e, in particolare, archeologica. Attorno a Cagliari, infatti, si incaponisce di riuscire a riportare alla luce un antico acquedotto romano, in grado di salvare la città di Cagliari dalla siccità. E da qui le sue lunghe camminate nella natura: potrebbe sembrare un don Ferrante per la passione infinita per la cultura, ma ha in realtà molta più acribia, e senso pratico. Infatti, «la sua idea di Natura, e si risolve che per lui è solo un corpo da conoscere, per trasformare» (p. 41). Vi si trova tutta l'eterna lotta tra natura matrigna e natura che si lascia scoprire plasmare: chi vincerà? Perché sotto le terre della sua Sardegna, don Gemiliano si illude davvero di riportare alla luce non solo la saggezza degli antichi, ma anche le loro capacità rabdomantiche. Uomo rinascimentale e al tempo stesso positivista, profondamente radicato alla sua epoca di infinita fiducia nelle facoltà intellettive,
Per lui l'immaginazione non era mai una fantasticheria, ogni sogno doveva essere un progetto, ogni visione una profezia. Tutto il resto, fine a se stesso, tempo sprecato. (ib.)

#CriticaNera. Cala il sipario: "Arrigoni e l'omicidio di via Vitruvio" di Dario Crapanzano

Arrigoni e l'omicidio di via Vitruvio
di Dario Crapanzano

Mondandori, 2014


Milano, 8 marzo 1953.  Mentre si consumano i festeggiamenti per il matrimonio del vicecommissario Mastrantonio, un noto impresario e attore teatrale, Flavio Villareale, viene assassinato nel suo appartamento di via Vitruvio. Il corpo viene ritrovato dal suo socio in affari, Umberto Calcaterra, legato mani e piedi e quasi completamente denudato, lasciando presagire un incontro piccante non andato a buon fine. Sul posto intervengono gli uomini del commissariato di Porta Venezia: l'ispettore Giovine e, in un secondo momento, l'agente Di Pasquale e il commissario Arrigoni. Le indagini partono spedite, addentrandosi nel torbido universo dello show biz dell'epoca, di cui la vittima era un esponente emblematico: ricco, affascinante e con qualche vizio sessuale che lo portava a sedurre molte delle attrici che scritturava trascinandole in un vortice di immagini e fotografie che le ritraevano quasi completamente nude. Sono proprio queste fotografie l'unico oggetto ad essere stato in parte trafugato dall'abitazione di Villareale e quelle che restano rappresentano il principale elemento probatorio nella mani degli investigatori che, immediatamente, pensano a un delitto passionale.

"Sottomissione" di Michel Houellebecq: la decadenza dei romani

Sottomissione
di Michel Houellebecq

Bompiani, 2015

traduzione di V. Vega

pp. 252
17,5



Sottomissione di Michel Houellebecq non è un libro come tutti gli altri. Non lo può essere perché noi tutti, in quanto donne e uomini che vivono in un universo contingente, non possiamo non fare i conti con la realtà. E della correlazione, più voluta e propagandistica che, ovviamente, determinata da una volontà precisa dell’autore, tra i fatti di Parigi, il massacro nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato casher, e l’uscita del libro, avvenuta proprio il 7 gennaio 2015, difficilmente si potrà prescindere, ma si dovrà prescindere. Sottomissione è solo apparentemente un classico esempio di distopia, in cui si descrive l’affermazione del partito della Fratellanza Musulmana, capitanato da Mohammad Ben Abbas, brillante politico, uomo colto e raffinato, alle Presidenziali francesi del 2022. Questo è stato il “messaggio” passato dai Media, di tutto il Mondo, “Ben prima del romanzo, è arrivata la leggenda”: così giustamente afferma Pierre Assouline su La République de livres.

#LibrinTrincea: Franz Ferdinand, cronaca di una morte annunciata

Franz Ferdinand. Da Mayerling a Sarajevo. L'erede al trono Francesco Ferdinando d'Austria-Este (1863-1914)
di Roberto Coaloa

Parallelo45 Edizioni, 2014

pp. 390
€ 12,00


Lo storico Roberto Coaloa, in questo meticoloso e approfondito saggio ci permette di conoscere più da vicino la figura dell'Arciduca Franz Ferdinand e la rete di avvenimenti che, da Mayerling al fatidico 28 giugno 1914, ne determinarono la morte strumentalizzata immediatamente allo scopo di innescare la Prima Guerra Mondiale.

Scrive Coaloa nelle prime pagine del libro: "Una delle tante domande che devo pormi ogni qual volta scrivo di storia è: devo giudicare o devo comprendere? Spesso lo storico si identifica nella figura del giudice del passato (ma anche il pubblico che lo legge commette questo sbaglio: aspettando dei giudizi anzichè la narrazione dei fatti e la loro analisi). La storia è una vasta esperienza delle varietà umane, un lungo incontro degli uomini. La storia non è testimonianza inerte di cose morte, bensì memoria cosciente. Come la vita, nella comprensione e nell'incontro tra uomini, la storia progredisce nello scambio fraterno. Analizziamo quindi la complessa figura del principe Rodolfo, senza giudicarlo, cercando - semplicemente - di comprenderlo."

#CriticARTe - A Milano la mostra "Van Gogh: l'uomo e la terra"





Una coda lunghissima. Sicuramente da considerare prima di recarsi alla mostra “Van Gogh: l’uomo e la terra” fino all’8 marzo a Milano a Palazzo Reale, è la grande affluenza di pubblico: un’attesa che, soprattutto se si sceglie di visitare la mostra nel fine settimana e sprovvisti di prenotazione, può protrarsi anche per un paio d’ore nel piazzale adiacente al Duomo. Un tempo di attesa che potrebbe essere superiore all’effettiva visita quando, finalmente superata la biglietteria, ci si ritrova nelle poche sale che ospitano opere selezionate del maestro olandese. È una mostra dall’indubbio fascino, curata da Kathleen Adler, l’occasione per ammirare dal vivo quasi cinquanta dipinti e disegni provenienti soprattutto dal museo Kröller-Müller di Otterlo e dal Van Gogh Museum di Amsterdam, oltre a collezioni private mai esposte prima al pubblico ed opere provenienti da Città del Messico e Utrecht; soprassedendo poi sulla calca inevitabile in un freddo sabato pomeriggio milanese che rende difficile godere appieno della visita indugiando liberamente di fronte alle opere, è innegabile il rapporto immediato che l’arte di Van Gogh ha con il suo pubblico, quando anche non specialistico, che si muove da una tela all’altra seguendo l’audioguida fornita all’entrata e che, piuttosto dettagliatamente, accompagna durante il percorso scelto fornendo utili indicazioni via via sull’opera che abbiamo di fronte.

Daniel Glattauer: la letteratura per chi ha paura di vivere


Le ho mai raccontato del vento del Nord
di Daniel Glattauer

Feltrinelli, 2010

Traduzione di Leonella Basiglini
pp. 256
€ 15,00

Più che un vento, una tempesta. Meglio ancora, un ciclone: come la tromba d'aria che trasporta Dorothy nel Regno di Oz con tutta la casa, Le ho mai raccontato del vento del Nord è il romanzo che, nel 2006, ha proiettato l'austriaco Daniel Glattauer in quell'Olimpo di Eletti dorato e ambiguo chiamato "Classifica dei Bestseller". Ed è anche il libro che, nella mia personale e assai irrilevante esperienza di lettore, mi ha portato ad affrontare per l'ultima di molte ultime volte a venire la trita questione del recensire "libri brutti". Perdonate la superficialità terminologica: se frequentate un po' le discussioni librarie sui social, saprete che i libri oggidì si dividono in "belli" e "brutti". E che parlare di "libri belli" riveste, agli occhi di chi ne scrive e legge, i contorni mistici di una missione social-spirituale di interesse collettivo, mentre occuparsi di "libri brutti" non è nient'altro che una sterile perdita di tempo con cui biechi individui poveri di impegni e ricchi di rancore (altresì noti come "rosiconi") si sforzano di sopperire alla vacuità della propria esistenza terrena sminuendo i successi altrui.

Individui come me.

Dio di illusioni: il sorprendente romanzo d'esordio dell'autrice de Il Cardellino

Dio di illusioni
di Donna Tartt
Rizzoli, 2014

Traduzione di I. Landolfi

pp. 622
€ 11




Sono passati più di vent'anni da quando, nel 1992, Donna Tartt ha pubblicato questo primo romanzo; vent'anni e solo due libri dopo (celeberrima la dedizione totale con cui l'autrice si immerge nel suo lavoro) il nome della Tartt si è imposto sulla scena letteraria internazionale di un paio di anni fa, quando con il suo ultimo romanzo, Il cardellino, si è aggiudicata il premio Pulitzer per la narrativa. Un romanzo sorprendente, conferma di un talento eccezionale, che ha infiammato il dibattito nel mondo culturale, soprattutto sui social, portando alla riscoperta di un'autrice già molto amata dal pubblico e dalla critica ma che, insensibile ai meccanismi commerciali che sempre più regolano anche il mondo editoriale, ha preferito seguire i propri ritmi di scrittura, centellinando le apparizioni pubbliche e soprattutto dedicando dieci anni alla stesura di ogni romanzo. Dio di illusioni è il romanzo d'esordio con cui una ventottenne Tartt si impose a pubblico e critica internazionali e che rileggere oggi, dopo il successo dell'ultima opera pubblicata, sorprende per l'intensità della storia e una già notevole maturità stilistica e narrativa, premesse di un talento letterario che andava formandosi e di cui l'ultima prova si è rivelata una conferma. Se a questo si aggiunge la possibilità (di questi tempi sempre più rara anche tra i romanzieri contemporanei) di poter esaurire l'intera bibliografia di un autore nel giro di un paio o poco più di romanzi e averne così il quadro completo, in qualche modo allora il lettore più appassionato può consolarsi della lunga attesa per un nuovo romanzo della Tartt.

Isabella Santacroce, "V. M. 18"


V. M. 18 
di Isabella Santacroce,
Fazi 2007

pp. 491
€ 17.50



A fine lettura non si può fare a meno di apprezzare e lodare l’indubbia ricchezza stilistica e immaginativa del romanzo, qualità letterarie che, di solito, nei casi non comuni in cui appaiono con tale dovizia, risolvono di per sé in senso positivo la valutazione del lettore. Insomma, mi verrebbe da dire che V.M. 18 di Isabella Santacroce sarebbe un bel, fors’anche ottimo, romanzo se…Per dare un senso al se è necessario saltare direttamente alle conclusioni, tornado magari poi indietro per soffermarsi sui dettagli e sulle puntuali rilevazioni critiche. La mia conclusione che rimane in ogni caso problematica e che non aspira a mettere il cappello sul lavoro della Santacroce è, al momento, questa: al di là della prolungata prodezza stilistica, non esente da limiti, e della lussureggiante rappresentazione immaginifica, nella quale l’orrido e il grazioso, il grottesco e il sublime si concedono a piene mani, al di là di tutto questo, dicevo, la sensazione finale rimane quella di una delusione, di qualcosa che manca, come se il romanzo non riesca a scavalcare il muro, tanto elaboratamente costruito dall’autrice, posto tra sé e il mondo, come se non riesca a trovar la sua funzione nel mondo del lettore.

“Il caviale del Po” di Michele Marziani: una storia ferrarese born on the bayou

Il caviale del Po. Una storia ferrarese 
di Michele Marziani

Antonio Tombolini Editore, 2014

pp. 54
euro 10


Born On the Bayou è una delle canzoni più famose del gruppo blues-folk-rock Creedence Clearwater Revival. La band di John Fogerty & soci sarebbe proprio la colonna sonora migliore per Il caviale del Po del giornalista Michele Marziani. Il libro in questione è infatti un lungo viaggio attraverso un ambiente unico, pieno di storie e personaggi curiosi: quello sterminato habitat che è, anzi era, il mondo del Po, quell’intrico fatto di acqua e terra grassa, di pescatori e pesci misteriosi la cui capitale, signora delle acque dolci, era Ferrara, la città del fiume.

Mi raccomando: tutti a sorridere bene, con Sedaris

Mi raccomando: tutti vestiti bene
di David Sedaris
Mondadori, 2012

Traduzione di M. Colombo
1^ edizione originale: 2004

pp. 236
€ 9,50



Capisci che sei giovane quando qualcuno ti chiede dei soldi e tu lo prendi come un complimento. (p. 72)
Quando hai una famiglia stramba, che non ha orari per andare a dormire, né si lamenta che il giorno dopo hai scuola, ma semplicemente si sorprende per la tua inesauribile riserva di energie, hai di sicuro un'infanzia non convenzionale. Chissà perché mi torna in mente proprio questo dettaglio tra i tanti della spassosissima e ricca esperienza (quanto di vero e dove parte l'inventio?) di David Sedaris. Sarà che - forse forse, ma qui rischio di pestare i piedi alla psicanalisi - qualcosa di noi filtra sempre nel libro che leggiamo e, inevitabilmente, si confronta con l'Altro. E, per restare sempre nella disciplina ma spostandoci verso altri lidi, questo libro ha colmato pienamente il mio bisogno gestaltico di una storia geniale e accattivante, al tempo stesso beffarda e riflessiva. 
La scommessa di Sedaris è infatti tutt'altro che scontata: nell'universo del Duemila governato dallo strapotere dell'autofiction, David compie un colpo di mano inatteso. Innanzitutto, decide di raccontare di sé a sprazzi, segmentando l'autofiction in capitoli brevi e fulminanti, dall'infanzia alla maggiore età (forse al presente, difficile stabilirlo). Frammentario? Per forza, come frammentaria e imprendibile è la memoria depositata e poi rimestata per essere riproposta sulla pagina.

#CritiCINEMA - L'ultimo fotogramma di Francesco Rosi

Io lo chiamo cinematografo
di Francesco Rosi

conversazione con Giuseppe Tornatore

Mondadori, 2014


Si spegne a novantadue anni Francesco Rosi, un grande regista, un maestro. Uno che il cinema l'aveva preso sul serio, come un mezzo per cambiare le cose, per contribuire alla presa di coscienza collettiva. Un modo di fare cinema militante, critico, scomodo, ma sempre basato su una minuziosa ricerca e documentazione, sulla voglia di approfondire e fare chiarezza. Come quando aveva deciso di raccontare la strage di Portella della Ginestra e quell'intreccio di mafia e banditismo in Salvatore Giuliano (1962), inaugurando il filone del film-inchiesta; o quando con Le mani sulla città (1963) aveva denunciato il dilagare della speculazione edilizia nella sua città, Napoli; o ancora quando aveva indagato nelle piaghe dell'Italia del dopoguerra per Il caso Mattei (1972). 

Giuseppe Tornatore gli aveva da poco dedicato un libro-intervista, edito Mondadori: Io lo chiamo cinematografo (2014), in cui raccontava gli esordi come sceneggiatore e aiuto-regista per Visconti e ripercorreva un percorso professionale entusiasmante e appassionato, culminato con il conferimento del Leone d'oro alla carriera in occasione della 69° Mostra del Cinema di Venezia, nel 2012.

Ma cos'è quello che gli uomini chiamano amore: dai “classici” secondo Roberto Vecchioni

Il mercante di luce
di Roberto Vecchioni

Einaudi, 2014


Un celebre e molto citato articolo di Italo Calvino, apparso su «L'Espresso» il 28 giugno 1981, recava il forte titolo, parenetico: Italiani, vi esorto ai classici. Vi si declinavano quattordici definizioni di classico destinate a divenire notorie ed emblematiche agli occhi di tutti i frequentatori delle letterature antiche e moderne. Questa esortazione, che è anche un deciso ammonimento dinanzi alla crisi delle lettere nel tempo attuale, ritorna, in altra forma, nell'ultimo libro di Roberto Vecchioni, Il mercante di luce (Einaudi, 2014). In una recente intervista per la televisione, il cantautore milanese rivela di aver impiegato ben dieci anni per scrivere quello che ha chiamato “il romanzo della sua vita”, la sua vita di uomo e quella di insegnante di letteratura greca al liceo, che molto spartisce con la contemporanea attività di cantautore. 

#CritiCINEMA – L'amore bugiardo di Flynn e Fincher

Quando penso a mia moglie, penso sempre alla sua testa. Immagino di aprirle quel cranio perfetto e srotolarle il cervello in cerca di risposte alle domande principali di ogni matrimonio: a cosa pensi? Come ti senti? Che cosa ci siamo fatti?

La sequenza iniziale ci mostra una mano maschile che accarezza una testa bionda. La voce suadente dell'uomo che pronuncia fuori campo queste frasi. E lo sguardo, indecifrabile, della donna che si volta a guardarlo negli occhi. 

La duplicità e l'apparenza sovvertita sono la cifra iniziale del film Gone girl - L'amore bugiardo, di David Fincher, uscito in Italia nel dicembre 2014. La tenerezza apparente di un momento di intimità in una coppia, contraddetta da espressioni forti come “aprirle quel cranio” e “srotolarle il cervello”. E l'angoscia delle domande, a cui il volto perfetto e inespressivo non risponde.

E andando avanti la situazione si complica, il racconto dell'apparentemente perfetta felicità della coppia di bellissimi e sorridenti Amy e Nick si incrina col montaggio parallelo della scomparsa di lei e della pesante accusa di uxoricidio.

PagineCritiche: «Da Pascoli a Busi», immergersi per rivoluzionare

Da Pascoli a Busi. Letterati e letteratura in Italia
di Matteo Marchesini,

Quodlibet, 2014

pp. 520
Euro 28

Il libro di Matteo Marchesini provoca.
La recensione potrebbe concludersi in questo modo, perché chi scrive è fortemente convinta che un critico (per di più militante) ha il sacro compito di docere, movere, delectare. Alle funzioni del discorso enunciate da Quintiliano bisognerebbe aggiungere, forse, un altro verbo: interrogare. E Marchesini soddisferebbe anche il quarto criterio.
Il giovane scrittore non si pone in cattedra, non si ammanta di auree fittizie e false, non prende la bacchetta, non comincia a dispensare verità critiche come se solo dalla sua bocca potesse uscire oro colato, non polemizza in maniera sterile, non distrugge nulla. Semmai costruisce. E costruisce interrogando e interrogandosi. Costruisce rischiando e sfidando(si).

James Ellroy, "Dalia nera"

Dalia nera
di James Ellroy
Mondadori, 2004


 

Io credo che esistano buoni o cattivi libri indipendentemente dalla qualità del genere cui implicitamente o esplicitamente si richiamano o vengono inclusi. Semmai il genere letterario, in questo caso romanzesco, può essere utile per indagare come un singolo libro entra in relazione con esso: se ne segue pedissequamente i dettami, se cerca di riformarlo, se ne fa una parodia, ecc. Oppure la nozione di genere può essere utile in sede storiografica per indicare tendenze, linee direttive, tracciati di divergenza o convergenza di questo e quell’autore. Quando, però, si tratta di guardare ad un singolo testo, la definizione di genere mi pare scarsamente operativa e preferisco leggerlo in base a categorie letterarie più generali, ivi compresa, va da sé, la nozione di genere, senza, però, limitarsi ad essa.

Dalia nera è un buon romanzo poliziesco, con sfumature noir, non di puro intrattenimento, ma nemmeno particolarmente succulento da punto di vista letterario.

Nils Uddenberg e i delicati equilibri della vita con un gatto

Il vecchio e il gatto. Una storia d'amore
di Nils Uddenberg

Traduzione di Lucia Barni
Corbaccio, 2014

pp. 160
€ 12,00


C'è un famoso detto di Joseph Méry secondo cui Dio avrebbe creato il gatto per dare all'uomo la possibilità di accarezzare la tigre. È un bel detto, ma io non ci ho mai creduto: se l'intento di Dio fosse stato quello, gli sarebbe bastato inventare i sedativi. Io penso che Dio abbia creato prima il gatto, e solo in un secondo momento, sfinito dagli incessanti miagolìi di insoddisfazione per cibi sbagliati e giochi noiosi, gli occhi pesanti per il sonno perduto, si sia deciso a creare l'uomo e la donna. Così avrebbe finalmente avuto qualcuno che si prendesse cura di tutti quei gatti al posto Suo. E finalmente, scacciatili tutti, uomo, donna e gatti, dal Paradiso terrestre, il settimo giorno poté riposarsi.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che l'uomo si sottometta così supinamente al minimo desiderio, volontà o capriccio del proprio gatto: costringendosi, per esempio, ad astrusissime e contorte evoluzioni fachiriche nel letto per evitare di disturbare il sonno del micio accoccolato in mezzo alle sue gambe; o accettando di alzarsi ogni notte alle quattro per soddisfare il suo appetito notturno da puerpera. O altre mille servitù di cui ognuno di noi gattofili si lamenta e compiace al tempo stesso, talvolta facendo di una convivenza così bizzarramente malassortita l'oggetto di pensieri e riflessioni. Come ha fatto, di recente, Nils Uddenberg, settantenne psichiatra svedese che, dopo una vita passata a rinnegare la possibilità di avere un gatto, si è visto costretto a diventare il convivente di una micia che da un giorno all'altro ha deciso di installarsi in casa sua.

Gianfranco Marrone, "Gastromania"

Gastromania
di Gianfranco Marrone
Milano, Bompiani, 2014

pp. 203
11,90 euro

e-book 8,49 euro

«La gastromania, pur somigliandole in superficie, è il contrario della grande bouffe».

Amanti della ristorazione stellata, studenti universitari alle prese con mense olezzanti o improbabili pastasciutte-panna-e-tonno, nostalgici della torta di mele della nonna, casalinghe imbranate redente dal più economico prodotto surgelato, irriducibili seguaci dell'ultima dieta alla moda, soggetti ortorettici per scelta o per condizione. E ancora: carnivori impenitenti, invidiatissimi inappetenti, celiaci, allergici, vegetariani, vegani, innocenti spiluccatori di bacche e germogli; chef in erba o all'apice della gloria, food-blogger di successo, concorrenti (trionfatori!) nei più noti cooking show o salivanti spettatori di un palinsesto televisivo ancora non pago dell'ennesima rubrica sul crudo e sul cotto, sul dolce e sul salato. Poco importa a quale di queste categorie ci si senta più affini: la  “gastromania”, il fenomeno socio-culturale-alimentare del momento, finirà col riguardarci in eguale misura, dall'alto della sua democratica pervasività, a nostra insaputa o con il nostro assenso. Ci entrerà nella cucina di casa, infilandosi nel forno o galleggiando sul teleschermo, si insinuerà tra le applicazioni del nostro smartphone, ci seguirà al cinema e al museo e ci rincorrerà più che mai in edicola e in libreria. Influenzerà i nostri regali di compleanno e di Natale e finirà con l'interrogarci in ogni dove, dal baracchino del nostro cibo di strada preferito alla cena a lume di candela durante la crociera del viaggio di nozze. Finché saturi, e probabilmente assai seccati, ritorneremo senza troppo appetito al desco domestico, e infilzando con i rebbi della forchetta il rettangolino di pesce oceanico nella sua familiare panatura fosforescente non lo riconosceremo più come tale, finendo col dubitare, in ultima analisi, perfino di noi stessi.

Passaggio in India. Prima puntata

Mare di papaveri (Sea of Poppies)
di Amitav Ghosh
Neri Pozza Editore, Vicenza, 2008

traduzione dall’inglese di Anna Nadotti e Norman Godetti

pp. 503
€ 9


L’Oceano Indiano, o il Nero Oceano come lo chiamavano le genti del sub-continente, come punto di osservazione per comprendere non solo l’Asia ma il mondo intero e la sua storia recente. Nero Oceano: pare di leggere un trattatista medioevale alle prese con quanto stava al di là delle colonne d’Ercole. Il vuoto, il nulla, mostri impossibili o la montagna del purgatorio. Anche per gli indiani esistevano delle colonne d’Ercole, non uno stretto di mare a delimitare terre emerse: erano le foci del Gange, il fiume sacro. Giustamente: oltre il sacro non può che esserci l’inferno.

Settant'anni di "Agostino"

Agostino
di Alberto Moravia

1^ Edizione, Roma, Edizioni Documento, 1943;
1^ Edizione ufficiale, Milano, Bompiani, 1944;

Nuova edizione per il 70° anniversario, Milano, Bompiani, 2014. 

A.c. di Simone Casini, con testi di Umberto Saba e Carlo Emilio Gadda.

pp.182, € 11,00





Giovedì 11 dicembre scorso la nuova edizione Bompiani per i settant’anni di Agostino è stata presentata a Roma, presso la Casa Argentina, da Dacia Maraini, Mario Andreose e Simone Casini, che ne è il curatore, oltreché l’estensore della corposa introduzione. Una celebrazione – sono intervenuti anche Raffaele Manica, che a Moravia ha dedicato una monografia per Einaudi, Antonio Debenedetti e Paolo Di Paolo – e un’occasione per riprendere questo romanzo spartiacque tanto nella produzione moraviana quanto, per certi versi, nella letteratura italiana.

La nuova edizione reca in copertina un fotogramma dell’omonimo film del 1962 di Mauro Bolognini, che ritrae con nitore e semplicità il fulcro della storia: i due protagonisti in due pose esplicative (il ragazzo sulla soglia, ombroso e corrucciato, osserva la madre mollemente distesa, addormentata). La nuova copertina succede al Guttuso della “barca sbagliata” della prima edizione ufficiale (Bompiani 1944, successiva a quella semi-clandestina e avventurosa ad opera di Federigo Ghigo Valli per le Edizioni Documento), allo schizzo dell’adolescente di Fulvio Bianconi per l’edizione Garzanti del 1974, al ragazzo di David Hockney nel Bompiani-“L’Espresso” del 1979 e soprattutto, tra tutte le altre, alla migliore, la marina di Ram degli anni Trenta – edizione 2007.

Andrea Biscaro, "Il vicino"



Il vicino
Andrea Biscaro
Safarà editore
pp 194
14, 90



Fino agli ultimi due capitoli, “Il vicino”, di Andrea Biscaro, è un thriller che t’inchioda dalla prima riga.
Situazione angosciosa in crescendo: il protagonista - un pittore di qualche fama che vive in campagna con una gatta, dopo aver divorziato - riceve un film snuff dove appare protagonista.  Si tratta di un video amatoriale pornografico, in cui vengono mostrate torture, culminanti con la morte della vittima, nello specifico una donna alla quale lui, dopo il sesso, mozza la testa con una sega. Diciamo che le varie sequenze di delitti nel romanzo sono fin troppo splatter ma comunque funzionali al genere. Il pittore, che non ricorda di aver compiuto mai niente di così efferato, vive  isolato nella campagna della Tuscia, vicino ad un paese riconducibile a Pitigliano, bello quanto inquietante retaggio di antiche testimonianze etrusche. Accanto a lui è venuto ad abitare da poco uno strano personaggio, un avvocato dai modi affascinanti ma ambigui. Pagina dopo pagina la paura cresce. Biscaro è bravissimo a rendere il dilatarsi dell’orrore, la sensazione di essere sempre più in trappola, la minaccia.
Il finale non possiamo svelarlo, anche se vi sarà una specie di contrappasso, una punizione per antichi peccati. Nonostante la spiegazione razionale, intuiamo che non tutto è come sembra. C’è comunque molto inconscio, molto rimosso, dietro le vicende/allucinazioni di cui è vittima il pittore protagonista della storia.

"Ancestrale", di Goliarda Sapienza

Ancestrale
di Goliarda Sapienza
prefazione e cura di Angelo Pellegrino, postfazione di Anna Toscano
La Vita felice, Milano 2013

pp. 200
€ 12,50.

Queste poesie di Goliarda, prime prove letterarie, primi risultati della vocazione alla scrittura, e prime testimoni di quelle che saranno le incomprensioni e la supponenza che l’attornieranno in qualità di scrittrice, danno ragione a Cesare Garboli, il quale, nonostante tutta la buona volontà, non si sentiva di giudicarle, non di promuoverle o condannarle, ma proprio di giudicarle, come se gli avessero messo in mano un prodotto che stentava a riconoscere. La letteratura di Goliarda, c’è poco da fare, non si fa inquadrare, è talmente personale, talmente estranea a qualsiasi tipo di liturgia culturale o letteraria che si rivolge solo al gusto o al sentimento del lettore, il quale deve rinunciare ai suoi punti di riferimento, siano storici, letterari, retorici, ideologici: la letteratura di Goliarda sembra quasi una sfida a dire: mi piace o non piace senz’altro aggiungere. E questo è in realtà il suo limite, un limite che, paradossalmente, nasce dalla sua immensa forza. Goliarda ha troppo da dire e se si mettesse pure a fare letteratura, a riferirsi alla sua storia, alle sue strutture retoriche e stilistiche, alla sua ideologia, se, cioè, si costruisse anche una poetica, ne finirebbe intralciata, “disseccata”. Tutto questo non significa che di Goliarda scrittrice non si debba o possa parlare, significa solo che probabilmente con lei occorre riferirsi a categorie letterarie sdrucciolevoli, quasi da costruire man mano che si procede.