Joe Bastianich, il figlio di immigrati che odiava l'Italia

Giuseppino. Da New York all'Italia: storia del mio ritorno a casa
di Joe Bastianich con Sara Porro
Utet, 2014


pp. 201
14 Euro


«Riesce ad assumere toni lirici persino quando parla dell’insaccamento delle salsicce. La separazione non fece che aumentare la bellezza del ricordo: l’unico legame materiale che sarebbe rimasto a mia madre con quell’epoca della sua vita, e con sua nonna, era il cibo».


Per Joe Bastianich, imprenditore del settore enogastronomico e giudice a Masterchef italia, quella con il cibo è una storia antica che racconta nella sua prima autobiografia italiana, GiuseppinoDa New York all'Italia: storia del mio ritorno a casa , pubblicata da Utet e scritta a quattro mani con Sara Porro, giornalista e foodblogger del magazine Dissapore.



Nessun successo capita out of the blue e la famiglia di Joe lo sa bene. Nel 1958 Erminia e Vittorio Matticchio salgono su un aereo diretto a New York: insieme ai figli adolescenti, Lidia e Franco, stanno per incominciare una nuova vita, tra le lacrime e l’angoscia  nel petto. 
Sono italiani, ma costretti a emigrare perché la loro terra, l’Istria, è stata annessa alla Jugoslavia di Tito dopo la Seconda Guerra Mondiale in un clima di crescente oppressione. La comunicazione con le autorità è impossibile, esistono leggi che regolano l’emigrazione ma non sono rispettate, pertanto, la famiglia deve rimanere a lungo fino alla svolta.
Il nuovo lavoro di Erminia prevede l’iscrizione al Partito Comunista locale. Si rifiuta e, insieme al marito, organizza la fuga che li porterà, dapprima, in Italia dove verranno sistemati in un campo d'accoglienza per i profughi dell’esodo giuliano dalmata. Solo dopo due anni sono, finalmente, liberi di partire per l'America.




La vita a New York, nel Queens, è fatta per lo più di lavoro. Erminia e Vittorio non si lasciano coinvolgere dall’apertura e dal benessere degli Stati Uniti. Tuttavia per i figli desiderano il meglio, sperando possano trovare un lavoro americano
Ma quando un legame è troppo stretto si finisce per scegliere quello che più rappresenta la propria identità. È così che Lidia, la madre di Joe, annuncia ai genitori di voler diventare ristoratrice, una professione che, all’epoca, qualificava immediatamente come immigrato. Cucinare l’aveva fatta sentire ancora in Istria ricordandole i momenti passati con la nonna Rosa, rimasta a Pola.
Nemmeno Giuseppino, così lo chiama Erminia, accetta la decisione di Lidia e Felice che, nel 1971, aprono il primo ristorante il Buonavia. La sua scalata per diventare WASP si infrange davanti alla carriera dei genitori e, socialmente, Giuseppino si sente sempre più lontano dall’essere americano:



«Avevano belle auto ed erano membri del Country Club. I loro bambini mangiavano hot dog e hamburger e giocavano nelle sale giochi. Noi, invece, andavamo a fare il barbecue a Sunken Meadow Park, un parco pubblico di Long Island molto frequentato dagli immigrati istriani. Facevamo un falò e arrostivamo allo spiedo un intero agnello o un maialino. Gli uomini giocavano a calcio, suonavano l’armonica e si ubriacavano con il vino della damigiana, non necessariamente in quest’ordine. Su quella spiaggia ghetto, sorseggiavo bibite sottomarca covando il mio nascente risentimento di classe».



Passano gli anni, nel 1985 si iscrive al college e inizia a lavorare nella finanza  che, in quel periodo, sembra incarnare le sue ambizioni.
Presto, però, sopraggiunge l’insoddisfazione per un mestiere che non sente suo e intuisce che la strada è un’altra:


 «Così, in un anno e mezzo di lavoro come bond trader realizzai due cose. La prima: cibo e vino erano la mia passione e volevo che diventassero anche il mio lavoro. La seconda: volevo fare qualcosa di mio. Volevo essere padrone del mio destino, essere il capo di me stesso, e soprattutto volevo essere io – e non un cazzone di Wall Street – a decidere quanti soldi avrei fatto in un anno».


Abbandona tutto e investe nelle sue origini. A bordo di una Fiat Croma gira l’Italia per conoscere più da vicino la cultura del cibo, farla sua e portarla negli Stati Uniti dove oggi, insieme, alla mamma Lidia e la sorella Tanya, è una celebrità della cucina italiana. Con lo chef Mario Batali ha aperto trenta ristoranti, oltre a essere socio di Eataly per il Nord America e senza contare le aziende alimentari e vinicole di cui è proprietario.
In TV si è fatto conoscere a Masterchef USA, mentre nell'edizione italiana approda nel 2011 con la fama di giudice spietato, insieme a Carlo Cracco e Bruno Barbieri.
Non ha perso lo spirito capitalista, ma c'è da riconoscere che il lascito affettivo della famiglia, in particolare di nonna Erminia, oggi novantaquattrenne, e di mamma Lidia, abbia indirizzato la strada di Giuseppino, una strada percorsa con passione e una buona dose di spericolatezza, gli ingredienti immancabili in ogni avventura.



Giuseppino è anche social. Su Twitter è possibile condividere i cibi che associamo alla nostra infanzia utilizzando gli hashtag #giuseppino e #foodmemories. Le ricette saranno raccolte e pubblicate in un'edizione ebook del libro in continuo aggiornamento.