Speciale Hofmannsthal - I Greci, l'antichità e il mito


I Greci, l'antichità e il mito
L'assimilazione del mondo classico da parte di Hofmannsthal iniziò già da bambino, come parte di quella accurata e finissima educazione che volle per lui suo padre, poi approfondita al Gymnasium, con lo studio a tratti anche pedante di opere ed autori, da cui ricavò una notevole dimestichezza con i classici e con le loro lingue. Dimestichezza tale – come suggeriscono le testimonianze dell'epoca – da spingerlo a far ricorso ad immagini tratte dall'antichità per spiegare eventi, situazioni, personaggi e procedimenti logici nella conversazione quotidiana come nella scrittura: una sorta di linguaggio primordiale, che il giovane Hofmannsthal ergeva più o meno consciamente a metro costante di paragone con la sua attualità, quasi come fosse una Ursprache pressoché dimenticata, ma le cui regole grammaticali condizionavano ancora la sintassi del comportamento umano. Il legame che così si viene a formare con la tradizione classica è – come evidenzia Hermann Broch1 – un vincolo di sangue con gli antichi, un senso di appartenenza tale da assumere caratteri fisici2. L'antichità per eccellenza è quella greca naturalmente, a cui Hofmannsthal si rivolge non solo per soddisfare le sue esigenze letterarie ma anche per ritrovare le radici dell'identità culturale occidentale e donarle coesione:
“Il mito tragico originario: il mondo frammentato in individui anela all'unità, Dioniso Zagreo vuole rinascere”3.
Non è possibile non leggere in queste parole un accenno a Nietzsche, sia nella citazione di Dioniso Zagreo4 sia nella funzione coesiva del mito classico, che sana le fratture insite nell'individuo e nella società. Questa è l'epoca infatti, alle soglie della Jahrhundertwende, in cui Hofmannsthal si nutre della lettura di Nietzsche, ma anche di Bachofen, Rohde e Schopenauer, autori che diventano per lui particolarmente significativi quando prova a cimentarsi con le grandi forme drammatiche, ammiccando agli importanti modelli del passato come Calderón, Otway, ma soprattutto alla tragedia attica5. Questa – la questione identitaria –, però, è solo una componente dell'approccio di Hofmannsthal ai classici. Il mito è meccanismo di riappropriazione d'identità ed unità ma anche mezzo conoscitivo ed oggetto d'interpretazione. Anche qui si nota il pieno apprendimento della lezione di Nietzsche, questa volta però in maniera puramente strumentale: il filosofo tedesco aveva dimostrato che l'immagine dell'antichità è frutto di un'interpretazione, non per forza univoca e valida per tutti; il poeta austriaco non si esime dal fornire la propria versione, non necessariamente affine nei fatti alle sue letture. Il meccanismo che Hofmannsthal sfrutta nel dar forma delle sue opere ispirate alla classicità è quello antichissimo della variazione: le figure mitologiche, i vari Eracle, Achille, Ulisse, Edipo, Elena ecc... sono sempre stati dei grandi archivi della memoria culturale, cui attingere la narrazioni più disparate, alcune volte senza alcuna preoccupazione per i vincoli dettati dalla personalità dell'eroe. Il nucleo archetipico dell’eroe mitico viene plasmato dall'autore del racconto, ricavandone il proprio carattere e il proprio colore . La variazione non è altro che il frutto della stratificazione di molteplici livelli narrativi, favorita dal potere attrattivo ed agglutinante della figura dell'eroe mitologico, che nell'impossibilità di una lezione univoca ed inequivocabile offre il fianco ad innesti di azioni, fatti e versioni estranee al nucleo originale del mito. Solo così, con la variazione, si può spiegare la compresenza di un Eracle benefattore dell'umanità ed uno omicida, di una Elena in carne ed ossa accanto al suo fantasma nella guerra di Troia, di un' Elettra inerme ed incapace a ribellarsi e insieme donna sanguinaria irremovibilmente determinata alla vendetta. Il meccanismo della variazione, com'è noto, è stato ampiamente utilizzato dai tragediografi greci che attingevano a piene mani alle fonti del mito. Per quanto riguarda Hofmannsthal, invece, non è un fenomeno immediatamente percepibile, ma è possibile tracciare un progressivo percorso ideale del suo utilizzo: ancora legato alla tradizione nella prima parte della sua produzione (Idylle, Alkestis), l’autore pian piano se ne affranca (Elektra, Ödipus und die Sphinx) spingendosi fino alla contaminazione di stili (Ariadne auf Naxos, Die Ägyptische Helena), passando – secondo la definizione di Andrea Landolfi6 – da una grecità intesa come esercitazione, al bisogno ed infine al pretesto. La prima fase, quella dell'esercitazione, è ben descritta dal seguente passo di Ein Brief:
“Le favole e i racconti mitici che gli antichi scrittori ci hanno tramandato e in cui i pittori e gli scultori trovano un piacere infinito e spensierato, io li volevo dispiegare come i geroglifici di una misteriosa, inesauribile saggezza, di cui talvolta mi pareva di avvertire l'afflato, come dietro un velame”.7
La maniera in cui il suo studio si materializza è quella tipicamente musicale dell'imitazione pedissequa del modello. Nella breve Idylle (1893) l'occasione deriva dalla descrizione di una pittura vascolare, come nell'Ode on a grecian urn (1820) di John Keats, il cui soggetto viene illustrato – secondo esplicito riferimento dell'autore – im Böcklinschen Stil, cioè adottando il punto di vista romantico e favoloso del pittore svizzero Arnold Böcklin ed assecondando così la sensibilità di Stefan George, con cui a quel tempo collaborava ai Blätter für die Kunst. Alkestis (1893-1894), rappresenta il primo vero e proprio dramma di argomento greco di Hofmannsthal, seguendo sì fedelmente l'originale euripideo (proponendo la stessa successione delle scene ed arrivando a tratti a farne traduzione letterale), ma introducendo per la prima volta alcuni dei motivi filosofici che caratterizzeranno la sua intera opera e variando la caratterizzazione psicologica dei personaggi. Inizia a farsi strada l'idea della dissoluzione dell'individuo, sancendo così il passaggio alla fase del bisogno con Elektra (1904) ed Ödipus und die Sphinx (1906):
“i miei drammi antichi trattano tutti e tre (Alkestis, Elektra, ed ndr.) della dissoluzione del concetto di individuo. In Elettra l'individuo viene dissolto in modo empirico, perché proprio il contenuto della sua vita lo schianta dal di dentro, come l'acqua che si fa ghiaccio una brocca di terra. Elettra non è più Elettra appunto perché si è consacrata ad essere tutta e solo Elettra. L'individuo può sussistere solo come un fantasma là dove si venga ad un compromesso tra il comune e l'individuale.”8
Questa fase è caratterizzata dalle letture di Nietzsche, Bachofen, Rohde ma anche di Freud e Breuer i cui Studien über Hysterie contribuiranno non poco alla raffigurazione ferina di Elettra. L'Edipo e l'Elettra di Hofmannsthal sono accomunati dall'aver subito un trauma nel proprio passato (l'uccisione del padre per la prima, la scoperta delle proprie origini e la profezia dell'oracolo di Delfi per il secondo), il cui ricordo ossessivo lungi dallo spingerli all'azione, al contrario li inibisce spingendoli ad uno stato febbrile di follia. Fin dalle prime parole di entrambi sulla scena, però, emerge una differenza: mentre Elettra è completamente impossibilitata ad agire, non potendo dimenticare9 e quindi affrancarsi dal ricordo, Edipo dimostra una memoria altalenante che gli consente un minimo di azione, ma solo nella dimensione onirica, particolarmente presente nei dialoghi dell'opera10: l'azione così spasmodicamente evocata nei sogni non viene tuttavia mai realizzata nella realtà scenica. Successivamente, anche Arianna in Ariadne auf Naxos (1912 e 1916) sarà animata dal ricordo ancora troppo vivo dell'abbandono per poter dimenticare e quindi agire. A lei, però, Hofmannsthal concede il cambiamento, die Verwandlung, l'accesso all'esistenza attraverso l'incontro con Dioniso, in un rinnovato approccio con l'antichità classica; così accade anche per Elena in Die Ägyptische Helena (1928), cui viene accordata un'esistenza umana al posto della sua condizione demonica iniziale. Questo sviluppo è possibile grazie ad un viaggio in Grecia effettuato nel 1908, di cui il poeta scriverà quindici anni dopo:
“Ma anche i grandi intellettuali del secolo scorso che ci hanno svelato un'antichità più oscura e selvaggia – anche la loro intuizione, improvvisamente, non ha più la stessa intensità luminosa. Burckhardt, il suo conterraneo Bachofen, Rohde, Fustel de Coulanges – incomparabili interpreti dell'oscuro sottofondo dell'anima greca, potenti fiaccole che hanno fatto risplendere un mondo sepolcrale – ma qui c'è qualcosa di diverso. Qui non c'è nessuna caverna funeraria, qui c'è tanta luce: ed essi non hanno respirato in questa luce. […] Qui è nato l'uomo, così come noi lo concepiamo, giacché qui è nata la misura”.11
Sotto questa nuova visione luminosa il ricorso alla classicità di Hofmannsthal diviene pretesto, ossia occasione per esprimersi nella forma a lui più congeniale di leggerezza ed ironia, con una dose di velate allusioni simboliche, mai però ostentate troppo apertamente, attraverso cui avvicinarsi alla verità. La cifra stilistica di quest'ultima fase della produzione ispirata ai Greci è la destinazione operistica (in quegli anni si consolida la felice collaborazione con Richard Strauss), l'ironica leggerezza ed il ricorso esplicito alla citazione ed alla contaminazione di codici letterari differenti12
 
1Cfr. Broch 1955.
2A vent'anni il poeta austriaco scriverà, infatti, nella lirica Über Vergänglichkeit di avvertire gli antenati avvolti nei loro sudari so eins mit mir als wie mein eignes Haar,“Tutt'uno con me, come i miei capelli”.
3Da una nota del 17.11.1893, trad. mia da Esselborn 1969, p.13.
4Personificazione del Dionisiaco, ma anche nome con cui si firmò spesso Nietzsche.
5Cfr. Esselborn 1969, p.14.
6Cfr. Landolfi 1995, p.13. Le stesse fasi sono generalmente attestate in tutta la critica hofmannsthaliana, anche se sotto definizioni diverse.
7Da Hofmannsthal 1974, p. 37.
8Da Hofmannshtal 1963, p. 195.
9Cfr. Hofmannsthal 1981, p. 29-30: “Elektra - […] ich kann nicht vergessen” (trad. mia: “io non posso dimenticare”).
10Cfr Hofmannsthal 1990 pp. 80-81: “Ödipus – Im Tage mitten wurd ich wach aus einem Traum nach dem andern Traum und hatte immer vergessen, und mein Innres wurde immer erneuert […]” (trad.: “In pieno giorno sono passato da un sogno ad un altro sogno, e ogni volta ho scordato tutto, e ogni volta la mia interiorità è stata rinnovata”).
11Da Hofmannsthal 2003, p.100.
12Definita dallo stesso Hofmannsthal Stilverdrehungmanie.

Nota bibliografica:
Broch 1955: Hermann Broh, Hofmannsthal, Zürich 1955.
Esselborn 1969: Karl G. Esselborn, Hofmannsthal und der antike Mythos, München 1969.
Hofmannsthal 1963: Hugo von Hofmannsthal, Il libro degli amici – Ad me ipsum – Appunti e diari, trad. it. di Gabriella Bemporad, Firenze 1963.
Hofmannsthal 1974: Hugo von Hofmannsthal, La lettera di Lord Chandos, trad. it. di Marga Vidusso Feriani, introduzione di Claudio Magris, Milano 1974.
Hofmannsthal 1981: Hugo von Hofmannsthal, Elettra, trad. it. di Giovanna Bemporad, Milano 1981.
Hofmannsthal 1990: Hugo von Hofmannsthal, Edipo e la sfinge, trad. it. di Guido Paduano, Milano 1990.
Hofmannsthal 2003: Hugo von Hofmannsthal, Grecia, trad. it. di G. Cavaglia, in H. von Hofmannsthal, La rivoluzione conservatrice europea, a cura di Damir Barbarić, pp. 97-108, Venezia 2003 (orig. H. von Hofmannsthal, Griechenland, in Prager Presse 5.11.1922).
Landolfi 1995: Andrea Landolfi, Hofmannsthal e il mito classico, Roma 1995.