"L'adorazione del piede" di Berarda Del Vecchio


L'adorazione del piede
di Berarda Del Vecchio 
Castelvecchi Editore, 2006
pp. 220, € 18,00



Come addentrarsi in quelle zone a metà tra il tabù e il “meglio evitare”, lungo le strade che molti frequentano senza farsi vedere e giurano di non conoscere? Berarda Del Vecchio decide di farlo con una giocosità che non cede alla banalità e che, anzi, convive con un rigore spesso degno di un vero e proprio saggio scientifico.

L'adorazione del piede ha dalla sua la forza dell'originalità. Non che nessuno abbia mai scritto sulla rilevanza che i piedi hanno avuto e hanno a livello erotico, storico e sociale, tutt'altro, ma l'autrice miscela in maniera accattivante un registro colloquiale e scanzonato con numerosi riferimenti 'alti', ottenendo un testo godibilissimo che si lascia leggere letteralmente d'un fiato.
Se è problematico e al limite dell'impossibile comprendere appieno l'origine dell'attrazione esercitata dai morbidi scrigni di sublime erotismo che sono le estremità inferiori delle donne (e del resto, sapreste spiegare perché considerate irresistibile il seno florido o un paio di cosce toniche?), è invece possibile – ancorché né semplice né immediato – ricercare in diversi ambiti i segni, o forse qui è meglio dire le orme, della loro importanza. Questo è ciò che, in parte, si prefigge di fare il libro, articolato in sette capitoli e corredato da molteplici foto e illustrazioni, due appendici (di cui una, assai sfiziosa, che raccoglie proverbi e modi di dire a tema) e una ricca bibliografia finale.


Ampio spazio è dedicato all'arte figurativa che, nel corso dei secoli, si è dimostrata particolarmente sensibile al potere seduttivo dei bei piedi. Dalle eleganti sculture di Canova a Degas, da Schiele al fumetto contemporaneo. Ma non solo per la sensualità che sprigionano le estremità hanno attirato l'attenzione: il rifiuto che alcune opere di Caravaggio subirono per “motivi di decoro”, con annesse critiche in quantità proprio per la libera e sfrontata raffigurazione di piedi scalzi in un contesto sacro, rimandano al «[...] simbolo dei due concetti base di “obbedienza e di fede”». E di seguito leggiamo: 
«Mostrare quanto sudici, gonfi e stanchi fossero i loro piedi sembrava una prova di come la fede e l'obbedienza alla Chiesa riuscissero a portare i più derelitti a percorrere la strada verso la purificazione delle anime e il perdono per i propri peccati» (p. 51).
È del resto facile notare come spesso, soprattutto nell'arte a sfondo religioso, i piedi si carichino di un elevato valore simbolico. Sono numerosissimi i santi che sanciscono la definitiva vittoria sul demonio premendo le piante sul suo corpo che giace a terra sconfitto.

La letteratura non è da meno, basti pensare alle descrizioni appassionate che Junichiro Tanizachi dissemina nei suoi romanzi e all'evidente fascinazione per le nipponiche donne fatali, ben consapevoli di possedere autentiche e spietate armi seduttive dalla caviglia in giù.
Non manca, poi, un vasto excursus sulla turpe usanza cinese, scomparsa definitivamente solo un secolo fa, in base a cui le ragazze, fin dalla più tenera età, erano tenute a fasciare i propri piedi in modo da ridurne la lunghezza che, auspicabilmente, doveva mantenersi al di sotto dei dieci centimetri. Le conseguenti deformazioni ossee permanenti rendevano estremamente difficoltosa, quando non impossibile, la deambulazione, mostrando peraltro con tragica chiarezza il ruolo di assoluta inferiorità in cui la patriarcale società cinese relegava, sotto molti aspetti, l'universo femminile.
E ancora: parecchie pagine sulla posizione centrale che i piedi assumono nei personaggi mitologici (da Edipo, “l'uomo dai piedi gonfi”, ad Achille piè veloce), paragrafi sul teatro giapponese Nō e Kabuki e su danze orientali e occidentali, un inevitabile capitolo sugli «adorabili feticci» intesi in chiave prettamente sessuale e persino una lunga sezione dedicata ai movimenti che, inconsciamente, compiamo con i piedi e che, secondo l'autrice, sono parte di un preciso linguaggio tutto da decifrare.

In fondo, proprio questo è il limite, invero tutt'altro che trascurabile, di un testo altrimenti ineccepibile. La scrittrice è genuinamente interessata a squarciare le stupide ipocrisie e resistenze che ancora avvolgono l'argomento, effettua una ricerca senz'altro vasta e accurata, ma è palpabile un certo senso di dispersione. Troppi, forse, sono gli argomenti messi sul tavolo e troppo basso è il grado di approfondimento. Stona anche un po', a parere di chi scrive, la consistente quantità di parole spesa per indagare il piede sotto la lente di terapie olistiche e parascientifiche (riflessologia plantare, emozionale, eccetera), proprio a fianco di più succose analisi – purtroppo, lo abbiamo detto, generalmente rapide e corrive – di tipo storico e artistico.

Nel complesso, comunque, è una lettura senza dubbio da raccomandare. Un libro innegabilmente ben scritto, interessante e divertente al tempo stesso, e probabilmente l'unica pubblicazione italiana attualmente in commercio che sia un atto d'amore verso una preziosa parte del corpo troppo spesso ignorata. Una lettura obbligata per i moltissimi che sono affascinati dall'incantevole grazia dei piedi femminili e un testo consigliato per tutti gli altri.



Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.


(Erri De Luca)