Il principio, il mezzo, la fine: «L'amore che ti meriti» di Daria Bignardi


L’amore che ti meriti
di Daria Bignardi
Mondadori, 2014

pp. 252
cartaceo € 18





In principio c’è una famiglia.
Alla fine c’è una famiglia.
In mezzo c’è una famiglia. E c’è Ferrara. E ci sono rivelazioni.

Il romanzo di Daria Bignardi, L’amore che ti meriti, in fondo è questo: è il passato, il presente e il futuro di una famiglia.
Tre tempi che si creano attraverso un solo luogo: Ferrara, città eletta a gestire la confluenza di quello che fu, di quello che è e di quello che sarà. Una città che deve gestire il cambiamento, che deve conservare la Storia e le storie, che deve splendere di una bellezza antica capace di incantare. L’autrice restituisce lo splendore di una Ferrara che fu e che ha ancora tanto da dire, da svelare e da nascondere.
La città diventa la vera macchina del tempo: a Bologna è possibile il racconto, a Ferrara è possibile camminare a ritroso, scoprire le verità, decidere di non rivelarle fino in fondo. Ma soprattutto è possibile innescare il cambiamento.
Un romanzo di formazione: ma non si è di fronte a un solo personaggio che, traversando mille peripezie, arriva alla maturità, alla consapevolezza. Si è di fronte a una donna incinta, Antonia, che cerca di mettere insieme le tessere di un puzzle di omertà, formando la memoria interna della propria famiglia.
Una rivelazione, quella di avere uno zio scomparso, per tutti morto, che arriva nel momento in cui una creatura sta per venire alla luce: Antonia è una scrittrice che diventa muta di fronte al proprio romanzo familiare, ma che usa la letteratura per capire, per andare ancora più in profondità.
Cesare Garboli, a proposito di Giovanni Pascoli, scrisse che il poeta scelse a materia narrativa il suo romanzo familiare: la morte del padre, il rapporto con le sorelle diventano istanze su cui costruire la propria poetica.
Antonia fa il contrario: di fronte a una storia potente, misteriosa, irrisolta, chiude la sua vena narrativa e poetica e decide di vivere la sua vita, leggendo il passato attraverso le dinamiche del presente.
Daria Bignardi avrebbe potuto liquidare il presente con pochi accenni alle sole contingenze rilevanti: invece lo elegge a interlocutore privilegiato, creando una dialettica tra quello che è stato e quello che è. Nulla sfugge all’orologio del tempo, nemmeno quelle tombe che sembravano chiuse da decenni.
Nel giro di pochi giorni emergono vite che si intrecciano, le cui conseguenze si arrotolano nei fatti dell’oggi, condizionandoli e dirigendoli verso strade inaspettate.
Nessuno sfugge a questa dinamica vorticosa e inarrestabile: nemmeno Leo, il marito di Antonia, il quale è il personaggio più perfettamente compiuto, a parere della scrivente, del romanzo. Un uomo che in apparenza vive all’ombra della moglie, ma senza il quale Antonia non potrebbe agire. Senza anticipare nulla del libro, il lettore potrà vedere con i propri occhi come il vero punto di appoggio per Alma non sia la figlia, quanto il genero, il quale si insinua con garbo ed eleganza nel passato della suocera, attraverso un gesto familiare e intimo, come la condivisione dei pasti.
Antonia deve risolvere il rebus sullo zio Maio, Leo è deputato a risolvere il rebus di Alma, a fare il modo che la donna accetti il presente, con tutto il portato di colpe, di dolori e di gioie che esso comporta.
Ma le vere protagoniste sono le due donne, così diverse, eppure così uguali, così indipendenti, eppure così interdipendenti l’una dall’altra. In un’alternanza corale e pluriprospettica Alma e Antonia si gettano nell’abisso l’una dei ricordi, l’altra di un passato sfuggito, ma contingente. La madre si aggrappa alla figlia per sapere un qualcosa che lei stessa ha vissuto, inconsapevolmente, senza percepire nulla.
Il passato di Alma diventa il presente di Antonia, determina le azioni di una giovane donna che si muove tra una Ferrara, che si eleva a personaggio muto, e una gravidanza che avrà i segni di una svolta.
Daria Bignardi costruisce un libro a quattro mani, muovendosi tra i pensieri di un’Alma giovanissima e un’Alma adulta, e tra quelli di un’Antonia figlia e madre. Esistono gialli che possono coinvolgere gli affetti, che vorticano fino a costruire uno strato di silenzi, che si accumulano, che si espandono, fino a esplodere.
Esistono misteri che coinvolgono famiglie intere, che si muovono come negli scacchi, che arretrano un attimo prima di fare una mossa.
Esistono affetti che portano dentro di sé rancori per parole non dette, per azioni non fatte, per abbracci mai dati: ma anche parole dette, azioni fatte, abbracci dati.
Esistono misteri che meritano di essere svelati per essere compresi; esistono misteri che devono rimanere tali per non turbare equilibri fragili, ma consolidati dal tempo.
E poi esistono dinamiche familiari che nascono improvvisamente, che si avviluppano intorno a spirali irrisolte: alla base di questi movimenti tellurici c’è sempre l’amore e la paura.
Amore per quello che è nato dai detriti, dalle macerie; paura per quello che i detriti e le macerie hanno prodotto.

Tra Alma e Antonia, Daria Bignardi: autrice discreta, garbata ed elegante, che non si intrufola mai nelle fragilità, ma le tratta con la delicatezza di madre. I suoi personaggi sono le sue creature, e come tali devono essere trattate. Una prosa leggera (ma mai superficiale) e calibrata, in grado di destreggiarsi con maestria tra italiano e dialetti, senza mai scendere a compromessi con marchi di provincialismo.
Una scommessa vinta, quella di Daria Bignardi: i rischi di cadere nell’epopea familiare dalla lacrima facile, o quelli di creare un giallo degli affetti sono aggirati attraverso personaggi autonomi e calibrati sulla realtà mobile ed epifanica.
Una saga familiare che è prima di tutto una saga di formazione di ciascuno, e poi della conditio famiglia.