Aldo Dalla Vecchia, "Specchio segreto"



Specchio segreto
Aldo Dalla Vecchia
Sei Editrice, 2014

pp. 298
€ 14,00


Educazione è una parola talmente superata, al giorno d’oggi, da apparire rivoluzionaria. Il garbo con cui sono condotte le interviste che Aldo Dalla Vecchia - autore televisivo e teatrale, giornalista e romanziere – raccoglie nel volume “Specchio segreto”, chiamato come il programma (cult diremmo oggi) di Nanny Loy, per celebrare i sessant’anni della televisione, sfocia in uno stile pulito,   elegante, da articolista perbene di una volta.
Dopo una poco significativa introduzione di Maurizio Costanzo, sfilano sessanta interviste  precedute da un piccolo commento dell’autore, che spaziano dal 1992 al 2013, rilasciate da personaggi televisivi, alcuni immensi, come Mike Bongiorno o Pippo Baudo o Raffaella Carrà, altri minori ma sempre noti al grande pubblico. Il taglio di ogni articolo è angolare, non contempla tutto il personaggio, la sua vita o la sua opera in toto, ma lo ritrae di scorcio, zoomando su qualche mania privata, come la collezione di bambole di Paolo Limiti, gli omogeneizzati serali di Cristiano Malgioglio, l’amore per le pellicce di Sandra Milo, di là da ogni animalismo. Carrellate di volti, di studi televisivi, ma anche appartamenti, divani, cucine, ninnoli, paillettes e lustrini a profusione.
Per l’autore è una specie di compendio di tutto ciò che ha visto e fatto, dietro le quinte dei programmi tv e da collaboratore di testate importanti come “Epoca” e “Sorrisi e Canzoni”. Vive la cosa da addetto ai lavori ma soprattutto da innamorato della televisione.

Per noi che leggiamo, invece, è curiosità, voyeurismo bonario e pudico. Ci lasciano interdetti certi atteggiamenti kitch. Alba Parietti che per il cinquantesimo compleanno dà una festa degna di Sorrentino, rifacendosi al film “Eyes wide shut”, fra maschere veneziane e miniature di se stessa in bilico sulla torta. Marcella Bella che descrive casa sua come se fosse normale avere “la zona relax, con palestra, sauna, bagno turco, ping pong e biliardino”.
Dal lato opposto, la stessa morbosità applichiamo nei confronti di chi, come la Panicucci, ci appare “normale”, nel suo affannoso destreggiarsi fra figli e lavoro. Lo “spezzatino con patate” che prepara per cena ci rassicura, e, tuttavia, diventa l’altra faccia della medaglia, ridimensiona e bilancia i cinquanta cappelli impilati in casa di Malgioglio. Vita da vip che stupisce sia nella sua stravaganza che nel suo opposto, l’ordinarietà.   
Ma, più di ogni altra cosa, quella di Dalla Vecchia è un’operazione nostalgia. Si torna indietro, agli albori della tv commerciale, si torna alle piazze in delirio per un ragazzo col codino, di nome Fiorello, che faceva cantare la gente in strada, aiutato da un parente stretto non ancora divenuto il grande attore drammatico di oggi. Si torna a sederci sul divano con Sandra e Raimondo, accorgendoci di quanto mancano, così come mancano il grande Mike, finto ingenuo, finto ignorante ma vero gentiluomo, ed Enzo Tortora, col suo pappagallo, il suo mercatino, i suoi primi tentativi di collegare “in rete” tutto il paese, in una sorta di social network ante litteram. Vorremmo riavvolgere il nastro, avere altro tempo per risarcire il conduttore di Portobello di tutto ciò che gli abbiamo tolto, del male che gli abbiamo fatto, vorremmo risentire quelle voci e rivedere quei visi dal vivo e non solo in vecchi video d’archivio. Particolarmente straziante appare la seconda intervista a Sandra Mondaini, fatta poco prima della sua scomparsa, così piena di decoro, così laconica e gentile.
C’è, secondo lei, la nuova Sandra Mondaini”, domanda Dalla Vecchia.“No, ma solo perché non sono mai stata niente…”
Solo chi è veramente grande possiede quest’ umiltà.
Poi c’imbattiamo in qualche chicca per coloro che sono affascinati dai meccanismi televisivi e dalla guerra dell’audience, come l’intervista a Luca Tiraboschi, direttore di Italia uno. Egli lamenta che Canale 5 tenda a cooptare i programmi di successo sulle altre reti.
Colgono nel segno anche le parole di Lorella Cuccarini:
Viviamo in un momento televisivo in cui non viene richiesta una particolare professionalità. Io stessa, per esempio, tutto quello che so fare nell’ambito dello spettacolo, non lo esprimo più in televisione. Se voglio ballare e cantare, devo farlo in teatro.”
Riflettiamo che è proprio così: oggi, ai conduttori, ai ballerini, agli ospiti dei programmi si chiede solo di esserci, di fare i tronisti e gli opinionisti, un po’ come tutti quanti ormai siamo commentatori sui social network. È semmai dai concorrenti dei talent, dai perfetti sconosciuti, che viene pretesa ogni capacità: i bambini di Antonella Clerici devono stupirci con i loro gorgheggi,  i giovani di “La pista” devono volteggiare come professionisti. Vip e sconosciuti, esperti e principianti, s’incrociano e  si scambiano di ruolo. Si assiste al fenomeno stravagante per cui, se sei bravo a fare una cosa, ne devi, invece, fare un’altra. I personaggi famosi devono imparare a danzare, a pattinare sul ghiaccio, a morire di fame sull’isola, a imitare. Insomma, la professionalità, la gavetta, lo studio, il mestiere non sono più richiesti, basta una presenza spesso improvvisata e sguaiata, oppure la preparazione certosina ma in un campo che non è quello abituale.
Non poteva mancare, a degna conclusione, l’intervista al mostro sacro Pippo Baudo. Con lui si ripercorrono gli albori della tv, poi gli anni settanta, quando ancora la televisione era considerata un mezzo educativo e unificatore per il paese, e i dirigenti erano, a detta di Baudo, “di una cultura pazzesca.” Si passa quindi al mitico decennio anni ottanta, con le due colonne portanti televisive di Domenica in, grande contenitore pomeridiano che mischiava giornalismo e intrattenimento, e Fantastico, show del sabato sera, la cui più bella edizione fu il numero sette, starring Cuccarini e Martinez. Alla fine, ecco gli anni novanta, la droga del lavoro continuo, della costante presenza in video per il conduttore siciliano. Ed è con le parole di Baudo, riferite proprio a questo periodo, che concludiamo il nostro excursus:
 “Un artista vorrebbe che l’applauso per lui non finisse mai. Il successo è come una droga, e l’insuccesso è lo stesso: entrambi fanno male.”