RileggiamoConVoi - ottobre

Un mattino d'autunno sullo Ionio (Augusta, SR) - foto di Laura Ingallinella

Cari amici lettori,

anche questo stranissimo autunno sta mostrando le sue piogge e si prepara a offrirci tante serate di lettura davanti a un caminetto scoppiettante e a una bella tisana calda. Dunque, plaid alla mano e occhiali inforcati, ecco che vi proponiamo qualche libro, come alla fine di ogni mese! Come sempre, cliccando sui link troverete i pezzi che abbiamo scritto! 

Buona lettura,
La Redazione

#HALLOWEEN - Bram Stoker, "Dracula"


Dracula
di Bram Stoker

1^ edizione originale: 1897



Forse se Abraham (Bram) Stoker (1847 – 1912) non avesse sofferto di un’infermità che lo costrinse a letto fino agli otto anni, i temi del sonno senza fine e della resurrezione dal mondo dei morti non avrebbero tanto infiammato la sua fantasia. La guarigione miracolosa, la ripresa fisica di cui fu protagonista, capace di trasformare un infermo in un atleta, ha molto in comune col mito del vampiro che, attraverso il sangue, ringiovanisce, rigenera i propri tessuti, inverte il corso della natura.
Nato a Clontarf, in Irlanda - già terra di folletti e di banshee –Bram Stoker si laureò in matematica al Trinity College e fu critico teatrale per The Evening Mail. Sposò Florence Balcombe, per qualche tempo corteggiata anche da Oscar Wilde, dalla quale ebbe un unico figlio. Coltivò amicizie importanti con Arthur Conan Doyle, con il pittore preraffaellita Whistler, ed una, strettissima, con l’attore Henry Irving di cui fu segretario. Fin troppo facili le allusioni, certo è che il mito del vampiro si è sempre collocato in quell’aura di sessualità deviata, che va dalla pedofilia -  si pensi ai bambini di cui si nutre Lucy Westenra e alla vampirizzazione di Claudia in Intervista col Vampiro -  alla necrofilia, ma sempre in una prospettiva di decolpevolizzazione, depenalizzazione dell’atto erotico. Da Bram Stoker ad Anne Rice, giù giù fino a buona parte della saga di Stephenie Meyer, il sesso diventa orale, si fa dalla cintola in su, in una voluttà che, oltre al piacere estremo, sovrumano, fornisce  conoscenza, vita eterna, sapienza, bellezza. Almeno fino a quando Bella Swan e Edward Cullen non decidono che si può provare anche a consumare il matrimonio, generando una piccola ibrida umana - vampira.

Scrittori in Ascolto - Linn Ullmann e il film della memoria




Milano, 29 Ottobre 2013. Un incontro assai denso quello con Linn Ullmann alla sede editoriale di Milano, in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo La ragazza dallo scialle rosso (Guanda,2013). Il titolo originale norvegese è Det dyrebare, termine intraducibile che significa “qualcosa d’inestimabile, che non può assolutamente essere perso”. Ad andare perduta è proprio Mille, la diciannovenne dallo scialle rosso, che scompare misteriosamente durante la festa di compleanno di Jenny, nonna di Alma e Liv, due ragazzine alle quali la giovane faceva da baby sitter. Da questa scomparsa, poi risolta tragicamente con il ritrovamento del corpo due anni dopo (come anche dal party, che si trasforma per l’anziana Jenny, festeggiata contumace, in un’occasione solitaria per riprendere il vizio dell’alcoolismo) partono sequenze di eventi e ricordi: un figlio di Jenny annegato accidentalmente nello stagno vicino a casa, mentre era affidato alla sorella maggiore, Siri, divenuta poi madre di Alma e Liv; la crescita difficile di Alma, i suoi maldestri tentativi di elaborare ciò che è avvenuto prima della sua nascita, ma in qualche modo la riguarda e l'ossessiona; i problemi coniugali di Siri e Jon, scrittore in crisi creativa; le dimore alienate per far fronte alle crescenti difficoltà  economiche; giochi di bambini, laghi, foreste, momenti di panico e dolcezza, luoghi cambiati nel tentativo di domare le inquietudini e ritrovare la creatività – se non fosse che, come scriveva Seneca a Lucilio, «non loci, sed animus mutandus est». La struttura del libro, denso di rimandi interni e di riferimenti rituali e simbolici (come la strana caccia al tesoro alla rovescia, in cui i bambini sotterrano il loro oggetto più caro e prezioso, il loro dyrebare, con la clausola di non cercarlo mai più; o lo scampolo di stoffa che passa di generazione in generazione come “mantello dell’invisibilità”) è ancora più complessa di quanto non appaia in una prima lettura.

#CriticARTe - Andrea Mantegna. Impronta del genio

Andrea Mantegna. Impronta del genio
Atti del covegno (Padova-Verona-Mantova 2006)
a cura di Rodolfo Signorini, Viviana Rebonato, Sara Tammaccaro

Olschki, 2010


€ 95,00


Per la ricorrenza  del quinto centenario della morte di Andrea Mantegna, gli Atti del convegno aprono a prospettive di interpretazione critica, a nuove indagini che ridisegnano la personalità e l’itinerario di Mantegna pittore, grafico, scultore, scrittore e intenditore d’arte. I contributi del primo Tomo partono dalle inedite testimonianze fornite dai collaboratori di Vasari, alla configurazione del ductus grafico e delle stampe, fino ai rapporti tra Mantegna e l’orafo G. Marco Cavalli, alle ricerche sulla caratterizzazione della luce pittorica (i riverberi). Il rapporto tra Mantegna e l’antico (classicità greco romana) offre un punto di osservazione interpretativo innovativo: nella tecnica di riproduzione dello studio dei fenomeni della natura, Mantegna arriva a simulare la scultura piuttosto che la natura.

#PagineCritiche - Francesco Bucci su Eugenio Scalfari, l'intellettuale dilettante

Eugenio Scalfari. L'intellettuale dilettante
di Francesco Bucci

Società Editrice Dante Alighieri, 2013


Si inserisce bene nel contesto della recente pubblicazione del libro di Eugenio Scalfari L’amore, la sfida e il destino (Einaudi 2013) la ricostruzione critica che Francesco Bucci ha operato nei confronti del fondatore di Repubblica e, in particolare, nei confronti della sua attività saggistica. In Eugenio Scalfari. L’intellettuale dilettante, pubblicato non senza difficoltà dalla Società Editrice Dante Alighieri, Francesco Bucci ricostruisce in modo capillare il pensiero “filosofeggiante” che Scalfari mira a trasmettere all'interno dei suoi libri. Dopo aver lasciato la direzione di Repubblica verso la metà degli anni Novanta, scrive Bucci riferendosi a ES:
Nella sua mente si deve essere accesa una luce che gli ha indicato un percorso nuovo e difficile, che egli ha subito intrapreso con giovanile entusiasmo ed ancora prosegue con instancabile lena.L’idea luminosa deve essere stata quella di lasciare ai posteri un’immagine di sé più alta e nobile di quella del semplice giornalista che, per quanto grande, ha pur sempre a che fare con la banale attualità. E, poiché il suo mestiere è quello di scrivere, il modo più semplice per raggiungere l’immortalità deve essergli sembrato quello di trasformarsi in saggista e di occuparsi in tale veste dei massimi sistemi.

L’importo della ferita e altre storie: le sarcastiche stroncature di Pippo Russo

L'importo della ferita e altre storie
di Pippo Russo
Edizioni Clichy, 2013


Il sottotitolo de “L’importo della ferita e altre storie” di Pippo Russo è: Frasi veramente scritte dagli autori italiani contemporanei Faletti, Moccia, Volo, Pupo e altri casi della narrativa di oggi. Casi inquietanti, si potrebbe aggiungere. Perché, se questa è la lingua usata dai maggiori autori italiani di bestseller, allora c’è davvero di che preoccuparsi.

Leggete queste frasi:
“Presero posto una di fronte all’altra, fronteggiandosi.” Giorgio Faletti
“Forse era umano avere timore quando si sente che si sta per morire” Giorgio Faletti
“Provavo da seduto e succedeva che dopo un po’ si afflosciava, ma non del tutto, e la pipì usciva tutta da quello spazietto che resta tra la ciambella e il water. Tutto sulle mutande e per terra. Mi toccava fare la scarpetta con la carta igienica.” Fabio Volo
“L’odore della sua pelle mi ha fatto venire un’erezione al cuore.” Fabio Volo
“Bacio. Bacio morbido,bacio lento, bacio non irruento. Bacio al Traminer, bacio leggero, bacio di lingue in lotta, bacio surf, bacio sull’onda, bacio con morso, bacio che vorrei andare via ma non posso. Bacio non si può. Bacio c’è gente.” Federico Moccia
“Gin mi si avvicina e mi dà una slinguazzata pazzesca dal basso verso l’alto, tipo frenata di caduta di cono gelato mezzo sciolto.” Federico Moccia

Siete ancora vivi? Benissimo! Incominciamo il nostro tragicomico percorso attraverso il divertente e interessante libro di Pippo Russo, un testo utile per capire molte cose sulla cosiddetta narrativa italiana contemporanea di successo.

#ScrittorInAscolto: Incontro con Gianrico Carofiglio: "Il bordo vertiginoso delle cose"


Come ogni mattina entri nel solito bar per fare colazione. Da quando vivi solo – da parecchio, ormai – non ti riesce di fare colazione a casa. La cena, a volte il pranzo, sì. Chissà perché, invece, la colazione no. Così ogni mattina vai al bar.


Inizia così Il bordo vertiginoso delle cose l’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio, con una scena ordinaria, un frammento di vita quotidiana dei più semplici: un uomo che va al bar come ogni giorno, per la prima colazione. Lo stile è il suo, si riconosce subito, limpido, esatto, scorrevole sin dalle prime battute.

Abbiamo incontrato Carofiglio al Corriere della Sera, venerdì 25 ottobre, per parlare insieme di questo nuovo libro. Siamo partiti dalla visione del booktrailer del romanzo per poi parlare di scrittura, lettura, adolescenza, letteratura. È stato lui a rompere il ghiaccio dichiarando sin da subito di preferire il dialogo e le domande alle lezioni cattedratiche. Con poche battute ci ha subito introdotto il libro: Il bordo vertiginoso delle cose è una storia di iniziazione alla violenza”

Ma ripartiamo da Enrico, il protagonista che abbiamo lasciato al bar intento a fare colazione. Una notizia sul giornale lo riporta indietro con la memoria e deve a tutti i costi tornare a Bari per chiudere i conti con il passato. Il lettore riscoprirà insieme a lui i frammenti di un’adolescenza inquieta, “in bilico tra rabbia e tenerezza”, come si legge nel risvolto di copertina. 

L’incontro è cominciato parlando dell’adolescenza, tante le domande su come sia stato essere ragazzo negli anni ’70, proprio come Enrico che, tra uno scontro e una lezione di filosofia, diventa grande e scopre il mondo.

TUTTO IL BENE CHE CI RESTA, poesie al papà

TUTTO IL BENE CHE CI RESTA
(Samuele Editore 2013)
poesie al papà

di Roberto Cescon, Alessandro Canzian, Arnold de Vos, Alberto Trentin, Rossella Luongo, Sergio Serraiotto, Andrea Roselletti, Guido Cupani. Con 6 poesie di Franco Buffoni. Prefazioni di Roberto Vecchioni e Francesco Tomada.

€ 11
pp. 72


Questo è un volume fatto di reminiscenze. In particolare, un tipo speciale di reminiscenza. Forse La Reminiscenza. Quella che porti nel sangue, oltre che nei ricordi. Quella che potremmo descrivere come «l'archetipo dell'uomo» (come scrive Roberto Vecchioni in introduzione). La reminiscenza madre o, per meglio dire, padre. Il padre.

Forse non è un caso che il volume Tutto il bene che ci resta (Samuele Editore 2013) si apre appunto con questi bellissimi versi di Roberto Cescon: « È già ricordo quando si allontana / oltre i confini dei peschi ». Non è un caso perché questa celebrazione del padre, di ogni padre, sembra svolgersi passo passo, verso per verso, attraverso la dinamica di ciò che potrei chiamare “un riconoscimento della reminiscenza”. O – come scrive Francesco Tomada in prefazione – un assunzione di responsabilità e contemporaneamente un tuffo nel vuoto, un affidamento, « un atto di fiducia assoluta: credo in te, figlio/a che cresci, credo in me, padre che mi scopro tale nel tuo crescere ».
Ed ecco il filo conduttore di ogni poesia contenuta in questa raccolta: il padre cercato, trovato, il padre che resta, il bene che resta.

Pillole d’Autore: “Frasario essenziale”, di Ennio Flaiano



Ennio Flaiano, nella sua veste di grande battutista, può essere considerato per antonomasia l’acuto osservatore della società italiana; in tempi di internet sarebbe adatto alla dialettica veloce e furiosa entro la quale ci dibattiamo: ragion per cui, essendo domenica, ci permettiamo di proporre alcune pillole lente e rilassate, e dense.


Edizione di riferimento: Ennio Flaiano, Frasario essenziale per passare inosservati in società, Introduzione di Giorgio Manganelli, con uno scritto di Vanni Scheiwiller e una nota di Anna Longoni, (a cura di Elisabetta Sgarbi e Vanni Scheiwiller), Bompiani 1993, pp. 151
«[Il difetto maggiore degli italiani]
Credo che il difetto maggiore degli italiani sia quello di parlare sempre dei loro difetti. In nessun altro paese inchieste simili sarebbero accolte con simpatia: qui vengono sollecitate. Ora, quelle poche volte che sono stato fuori d’Italia mi sono trovato tra popoli perfetti, tra gente che, sapendomi italiano, non mi nascondeva la sua compassione per i miei difetti meridionali e mediterranei. Alla fine mi sono stancato. Ho superato l’età dell’indignazione e non sono più d’accordo con i moralisti di casa che rimproverano all’italiano medio di non essere un paradigma sociale o morale. L’italiano medio è quello che è e i suoi difetti cominciano a piacermi. Mi piace, per esempio, che sia generalmente bugiardo. Non credo che avrebbe potuto vivere in questo paese per tremila anni senza adattare la cruda verità ad una ragionevole menzogna. In un territorio di conquista e d’invasione l’italiano aveva un solo mezzo per difendersi, nascondere la verità o perlomeno ritardarla. (Anche oggi lo Stato, attraverso molti suoi organi, gli impone di essere bugiardo, o reticente). Mi piace che pensi sempre alle donne. Perché non dovrebbe pensare sempre alle donne? Che c’è di meglio? Gli uomini, forse? Bene, allora lasciatemi ai miei gusti. Mi piace che sia pigro. […] Mi piace che sia gentile, sentimentale, cinico, spendaccione, imprudente, frivolo, fastoso nelle sue cerimonie. Sono modi di amare la vita, di volerla capire, di forzarla, di esaltarla. […] Mi piace che sia generalmente estroverso e che ami vivere alla giornata. Questo gli ha permesso di amare l’arte, di arricchire il suo paese di monumenti o di distruggerli senza troppo rammarico. […] Non pensiamo mai che l’italiano ha sviluppato i suoi difetti come altrettante forme di difesa, per aderire a una realtà storica, al clima, alla povertà del suolo, all’angustia dei mari, alle varie tirannie spirituali ed economiche; per essere, infine, il più razionale ed economico possibile nelle sue manifestazioni di vita, cioè utile a se stesso, e andare avanti, continuare la specie. Senza i suoi straordinari difetti l’italiano oggi non esisterebbe, e sarebbe un gran male. La Natura o, se vogliamo, la Civiltà, ha dato all’italiano un gran compito: quello di sopravvivere. […] Si chiedeva uno scrittore americano (mi dispiace di non ricordarne il nome) che cosa resterebbe sulla Terra dopo una terza guerra mondiale. E rispondeva: “Di sicuro, cinquanta milioni di italiani”. Ciò può essere triste, ma è anche confortante.»

#CriticaLibera. Discorso scientifico e discorso letterario: una rivalità che non esiste

Uno dei testi la cui lettura restituisce una piacevole sensazione di pace, seppur criticabile in alcune parti, è Giocati dal caso di Nassim N. Taleb (Il Saggiatore, 2013; prima edizione 2003).

La prosa del trader libanese è lucida e le sue argomentazioni sono supportate da una ferrea logica, atta a semplificare piuttosto che a complicare. Ciononostante, nel suo percorso all'interno del caos, Taleb tende a semplificare troppo, incorrendo nella generalizzazione. Un esempio abbastanza eloquente è contenuto nel capitolo 4, dove l'autore cerca di dimostrare come il discorso letterario e quello scientifico si distinguano per il fatto che il primo può essere riprodotto da un simulatore casuale di frasi grammaticalmente corrette -il simulatore Montecarlo-, e precedentemente programmato, mentre il secondo, per la sua pretesa di logicità e verificabilità, sarebbe l'espressione più coerente della ragione umana. Taleb porta a esempio il discorso critico di Jacques Derrida e quello filosofico più oscuro di Hegel. Queste sarebbero prove sufficienti, secondo l'autore, a dimostrare la superiorità (etica?, morale?, scientifica?) del discorso scientifico su quello letterario.

Crune d'aghi per cammelli: dura la vita dell'aspirante scrittore

Crune d'aghi per cammelli
di Maria Silvia Avanzato
Fazi, 2013


Maria Silvia Avanzato in Crune d'aghi per cammelli racconta con la sua abituale e sferzante ironia le (dis)avventure di Edgarda Solfanelli, giovane aspirante scrittrice, con un'unica ignominiosa pubblicazione all'attivo che desidera con tutta se stessa finisca nel limbo dei libri mai letti.
Edgarda, circondata da improbabili personaggi come la fan psicopatica Lavinia La Stalker, oppure l'amica sex addicted ribattezzata per meriti sul campo La Zozzona, frequenta una pletora di scrittori che, diciamocelo, ricordano molto da vicino il gruppo dei giovani scrittori bolognesi (che leggo e apprezzo assai).

Scopo principale - sia per finalità professionali che personali - di Edgarda è quello di conquistare, letterariamente parlando (e non solo), l'editore dei suoi sogni, Valerio La Sorte delle Edizioni La Sorte di Ravenna (e anche in questo caso la somiglianza con un certo editore del mondo reale si ritrova con grande evidenza).

Stranamente i sogni si realizzano



Stranamente i sogni si realizzano
di Cesario Milo
Aletti Editore



Tutto accadde una sera, ai bordi di un dirupo. Un poeta, alto, con gli occhi chiari e con i capelli lunghi, osservava il vuoto. Con una melodia in testa, fatta di parole che si baciano, cercava di tagliare il buio di fronte sé. Sospettava, il poeta di cui parliamo, che tutte le domande del mondo avessero un’unica risposta; e che essa fosse a un passo dal segreto, accanto al roteare della vita, nell’anima. E dunque, sempre lui, il poeta, o meglio, Cesario Milo, alimentato da tale sospetto entrò nel buio con la chiave dell’arte, annotando i turbamenti di ciò che sentiva, per fare delle sue note su carta filastrocche ridenti, ricche di immagini. Ma avvenne un omicidio:

[…] Il poeta fu rapito dagli sguardi della vita […] (pag. 14).

E dall’amore. Ma essendo egli come gocce provenute da uno spray, si ricompose, pochi attimo dopo, in lettere luminose, diventando una canzone, perdendosi: «Cosa non è oscurità?», afferma Milo, «Ritengo che anche l’amore più sublime, o il giorno in cui conoscemmo la poesia, abbiano un lato oscuro. L’uomo che realizza i suoi sogni ha delle cicatrici orrende: questa è l’economia del mondo».
Ne “Stranamente i sogni si realizzano”, nuova raccolta del pugliese Cesario Milo, tutto gira intorno alla figura romantica del poeta. In una settantina di pagine, i dolori abissali e gli aneliti infiniti di chi vuole musicare i pensieri tra versi e assonanze, vengono spiattellati come un trancio di manzo insanguinato sul bancone di un macellaio, adagiato, però, tra bianchissimi guanciali ricamati. Un mondo, il suo, dove danzano burattinai, dove la poesia «parla con un linguaggio non comune -aggiunge-, perché si trova su un piano più alto rispetto al semplice parlare; tra i versi, cioè in una unità, si comunicano millenni imitando la verità. Essa svela l’infinito, mentre versifica su un insetto o una notte fantasmagorica».

Dario Orphée 

Scoprire le fiabe ebraiche

Fiabe ebraiche. In viaggio verso la terra d’Israele
a cura di Alvise Vianello
Milano, Giunti, 2007
sesta ristampa, pp. 240.

Questo è un racconto che ho appreso da mio padre che lo ha appreso da mio nonno, che lo ha appreso da mio bisnonno e così via, fino ai tempi di cui solo i giusti hanno memoria. Quando mio padre arrivò in terra d’Israele disse a sua moglie: “Ecco il luogo che non abbiamo mai lasciato. Ecco la terra che abbiamo sempre abitato. (Fiabe ebraiche, cit., p. 211).

Il volume curato da Alvise Vianello raccoglie quaranta racconti popolari suddivisi in cinque viaggi  in cui ogni itinerario, ad iniziare dai luoghi di partenza, Mosca, Amsterdam, Delhi, Saragozza e infine Aden, conduce il lettore alla meta finale che è sempre Gerusalemme.
Si tratta di un lungo viaggio tra le tradizioni ebraiche, memorie e testimonianze trasmesse da una generazione all’altra da anziani uomini e donne d’Israele, cinque itinerari che ripropongono un viaggio a ritroso, a tratti difficile e avverso, un percorso ascendente verso Gerusalemme di ognuna di queste tradizioni, accomunate dall’appartenenza alla cultura religiosa, in particolare alla Torah; una letteratura in cui si cerca di svelare il significato estrinseco di racconto popolare.

#EditoriInAscolto. Matisklo Edizioni: in direzione ostinata e contraria.

In un'epoca in cui il mondo editoriale è in crisi, specie quello di carta, Cesare Oddera e Francesco Vico decidono di fondare una casa editrice digitale con l'obiettivo, parola di Francesco, di fare “buoni libri”. 

DOMANDA: Cesare, Francesco, iniziamo con due domande anagrafiche: quando e dove nasce Matisklo?

RISPOSTA: Accarezzavamo l'idea di aprire una casa editrice da molto tempo; le possibilità ed il diffondersi del digitale hanno spalancato definitivamente la porta; tutto si concretizza a partire dalla primavera scorsa con la nascita di Matisklo Edizioni. Dopo un periodo iniziale dedicato alla ricerca di manoscritti e alla preparazione del catalogo di partenza, oltre che utilizzato per mettere a punto gli aspetti più «tecnici», da luglio 2013 siamo ufficialmente on-line ed operativi.

D: Il nome Matisklo rimanda ad un autore preciso che rappresenta un tipo di letteratura, di impegno e un momento storico precisi: Primo Levi. Perché Levi e perché Matisklo?

R: E' una domanda che ci fanno in molti: il nome «Matisklo» deriva da un frammento de «La Tregua» di Primo Levi e vuole essere un nostro omaggio al grande scrittore. «Matisklo» è «la parola segreta» di Hurbinek, «il figlio della morte» incontrato da Levi nell'ospedale allestito dai russi all'indomani della liberazione del Lager di Auschwitz. Questo bambino, a cui nessuno aveva mai insegnato a parlare e quindi incapace di comunicare, lascia come testamento un'unica parola, «Matisklo» appunto, senza che alcuno riesca a scoprirne il significato. Si tratta per noi del verbo, quel «Verbo» che viene prima di ogni cosa, e rappresenta l'assoluta necessità per l'essere umano di comunicare attraverso le parole.

1st International Selfpublishing Festival (Senigallia 19-20 ottobre)

Meravigliose due giornate a Senigallia dedicate al selpublishing. Prima edizione di un festival internazionale - 1st InternationalSelfpublishing Festival  #ISPF2013 organizzato dalla tribu di SimplicissimusBook Farm, grande casa all’interno della quale nei suoi ormai 7 anni di vita si sono sviluppate idee e sono nati marchi e funzionalità a servizio degli autori fai-da-te. Perché, come si sa, un autore difficilmente riuscirà a essere l’unica mente e braccio del suo lavoro. E se il selfpublishing è una delle realtà dell’editoria di oggi e di domani, perché maturi è necessaria questa consapevolezza tra i vari attori.

Sul palco del suggestivo Foro Annonario di Senigallia si sono alternati selfpublisher e intenditori (come Alberto Forni), esponenti della grande editoria (come Edoardo Brugnatelli di Mondadori), docenti universitari (Giuseppe Landolfi Petrone, filosofo dell’Università della Val d’Aosta), autori ovviamente e chi riesce a lavorare trasversalmente sull’autorialità diffusa come Matteo Caccia e Tiziano Bonini ideatori di Voi siete qui!  programma di storytelling in onda su Radio24 che vede protagoniste proprio le storie degli ascoltatori, raccolte poi in e-book. A chiudere il primo pomeriggio, riflettendo su scrittura e impegno quotidiani (e molte altre cose), è stato Alessandro Bergonzoni, attore e scrittore, che poco apprezza (giustamente) un selfpublishing di titoli che si affermano per la sola strategia marketing (più o meno social), ma piuttosto che apra ulteriori possibilità per la gente di “captare” ciò che avviene nel mondo e di raccontarlo stupendosi e stupendo. 
Ad aprire il festival e a chiuderlo ovviamente Antonio Tombolini (founder & CEO di  Simplicissimus Book Farm), uno dei primi in Italia a capire cosa stava per accadere nell'editoria e quindi a quale cultura editoriale (in senso ampio) avremo dovuto costruire.

Teoria del pirata: l'amore, il viaggio e la rapina

Teoria del pirata 
di Riccardo Raimondo
Samuele Editore, 2013

prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti
copertina di Davide Bramante




Il compendio della teoria di Riccardo Raimondo è  l’ecologia del verso, la rivendicazione del poeta-genio nell’ unicità di  un’aquila che non è gregge, che naviga e scrive d’amore contro gli straccioni del sentimento, mentre ruba il senso alle cose scorte nel suo viaggio, d'amore e di rapina.

Il viaggio del poeta-pirata è spesso della mente, volo pindarico nella quiete del corpo, un volo che fu(…)//ma senza valicare, senza varcare,/senza essere più.
L’anima fiacca landolfiana incontra echi leopardiani nella sera, mai leggera e sempre solcata, il lampo che irrompe nella solitudine del poeta ricorda il globo d’oro pascoliano-ecco scoppiare /e brillare, cadere, esser caduto,/ dall'infinito tremolìo stellare(…)- che ribalta cielo e terra e isola gli elementi della poesia.
La libertà di movimento strutturale dei componimenti  suggerisce  la confusione dell’Io, i turbamenti di un animo; ecco i versi centrati, le congiunzioni isolate, la parola che si getta “alla conquista degli astri” spostata alla fine del verso.

La scelta di Giulia: segreti e peccati nella Napoli alto borghese a cavallo di due secoli

La scelta di Giulia
di Brunella Schisa
Mondadori, Milano 2013

pp. 312
cartaceo € 16.50
ebook € 9,99

Ci sono libri difficili da recensire: non per la materia che trattano o il virtuosismo stilistico ma perché inaspettatamente ti hanno conquistata e delusa quasi in egual misura. Succede con l’ultimo romanzo di Brunella Schisa, giornalista, critico e scrittrice che nelle opere precedenti ha dimostrato un fine talento per la narrazione, sempre accompagnata da una solida ricerca storica e da una notevole capacità di dare vita sulla pagina a personaggi interessanti e psicologicamente sfaccettati che si muovono in una realtà e un mondo di sentimenti altrettanto complessi. 
Questa volta, con La scelta di Giulia, la magia non si ripete con pari intensità e il romanzo che ne scaturisce avvince per alcuni aspetti, ma non sono purtroppo sufficienti a mascherarne le debolezze. Innanzitutto la storia, una saga familiare ambientata nella Napoli alto borghese tra fine Ottocento e anni Ottanta del Novecento che richiama le narrazioni della grande stagione del romanzo tardo ottocentesco per esempio, ma manca di una trama abbastanza solida da reggere adeguatamente cento anni di storia di una famiglia e di un Paese, mentre segreti ed intrighi non sono tanto difficili da immaginare dopo pochi capitoli.

"Angeli e Arcangeli" di Marco Gionta

Angeli e Arcangeli
di Marco Gionta
Auralia Edizioni, 2013

pp. 299

Marco Gionta, con quell'aerea levità che ho felicemente apprezzato leggendo "Pregare gli Angeli e gli Arcangeli - Un invito a ricevere saggezza e protezione dagli Angeli attraverso la preghiera", ci accompagna in questo nuovo viaggio alla scoperta degli Angeli e degli Arcangeli. Come lo stesso autore tiene a sottolineare, si tratta di un'opera volta ad approfondire l'essenza di queste creature celesti tanto care non solo alla tradizione cristiana, attraverso una ricca documentazione storico-agiografica finalizzata alla riscoperta di quella "Bellezza" che fa vibrare l'anima di colui che scruta le multiformi espressioni delle sfere più elevate dell'Invisibile. Nel corso dei secoli, i massimi esponenti delle arti figurative hanno saputo cogliere i più fulgidi bagliori delle dimensioni celesti, immortalandoli su tele e affreschi la cui contemplazione ci pone in contatto con tutto ciò che è puro spirito.

#Youcrime: giallo e digitale al Corriere della Sera

Se non avete ancora avuto modo di conoscere #Youcrime, non avete espresso preferenze sui social e non avete monitorato le classifiche negli scorsi mesi non temete... potete ancora leggere i racconti in gara, raccolti nei quattro ebook.
Si, perché #Youcrime è un contest di co-publishing promosso da Rizzoli e dal Corriere della Sera nel quale 12 autori esordienti si sono sfidati scrivendo una crime story inedita. Gli scrittori non si sono misurati solo sul piano delle capacità narrative, ma anche e soprattutto su quello dell'autopromozione. In quanto esperimento di co-publishing, infatti, Rizzoli e Corriere hanno provveduto all'organizzazione, alla scelta degli autori, alla cura editoriale, alla pubblicazione, ma tutto il resto era affidato ai giallisti che dovevano dimostrare la loro capacità di muoversi in rete e sui social, di costruirsi una vetrina e di instaurare una relazione con i followers, veri giudici di una gara in cui la vittoria si misurava sulla base delle copie di ebook vendute e delle condivisioni che i lettori social addicted hanno fatto delle pagine-profilo degli autori su Facebook, Twitter e Google +.

Justine 2.0 - Il cuore è soltanto un muscolo

Justine 2.0. Il cuore è soltanto un muscolo
di Elena Bibolotti

Ink Edizioni, 2013


14,00 €



Justine 2.0 - Il cuore è soltanto un muscolo non mancherà di sorprendere chi suole identificare la letteratura erotica con i volumi dalle copertine ammiccanti che invadono la sezione “best seller” di ogni libreria. La sua giovane autrice si tiene lontana dalle pseudotrasgressioni spacciate da molti scrittori come necessarie per rompere l'opprimente muro di conformismo e puntualmente rivelatisi, agli occhi di ogni lettore minimamente smaliziato, come meno nobili tentativi di conquistare le vette delle classifiche facendo leva sulle pruderie di chi, peraltro, in quel conformismo ci sguazza appieno e ne interiorizza tabù e resistenze. Elena Bibolotti costruisce una narrazione equilibrata dove gli ingredienti marcatamente erotici non sono, o in ogni caso non sono soltanto, ami disseminati qua e là per adescare il lettore e indurlo all'acquisto del libro. 

Pillole di Autore - Dino Buzzati e il suo preciso momento


Con In quel preciso momento di Buzzati siamo nello stesso 1963 del Permesso di vivere di Sanminiatelli, ma il movente diaristico è totalmente diverso, più vicino al Rien va di Landolfi: qui il diario è decostruito internamente, lo scrittore bellunese riprende in chiave parodica i temi tradizionali, come vediamo fin dall’incipit sul binomio di autenticità e sincerità, tipico del diario, sotto il titolo irridente e distanziante di “La formula”. Inoltre, il lettore futuro è presente fin dalla prima frase, spauracchio per l’io timoroso dell’autore, che merita fin da subito un attacco frontale:
La formula. Di chi hai paura, imbecille? Della gente che sta a guardare? Dei poteri, per strano caso? Basterebbe una cosa da niente: riuscire a essere te stesso, con tutte le stupidità attinenti, ma autentico, indiscutibile. La sincerità assoluta sarebbe di per se stessa un documento tale! Chi potrebbe muovere obiezioni? Questo è l’uomo, uno dei tanti se volete, ma uno. Per l’eternità gli altri sarebbero costretti a tenerne conto, stupefatti. (p. 7)
E anche il secondo frammento è in realtà la propaggine del primo: “Non siamo più giovani” pone Buzzati e gli amici (dunque scardinando la centralità dell’io isolato) a confronto con le nuove generazioni. Il punto di vista sarà allora totalmente mutato, e il diario sembrerà l’unico luogo per l’esplorazione:

CriticaLibera: prima o poi accadrà?



Con tutto il rispetto per Alice Munro di cui ho letto, e apprezzato, “Troppa felicità” pubblicato con Einaudi, trovo alquanto misterioso che il Nobel per la letteratura sia ancora sfuggito a Philip Roth e a Cormac McCarthy. Intendiamoci, non è che tutti i libri di questi mostri sacri siano dei capolavori. A me ad esempio “La strada” ha deluso mentre Roth non è che raggiunga sempre le vette di una “Pastorale Americana”. Tuttavia qui possiamo divertirci a fare un breve parallelo fra due scrittori, due trilogie, due caratteri. Con qualche ricordo di viaggio che non fa mai male.

Cosa fare delle nostre ferite?

Cosa fare delle nostre ferite? La fiducia e l’accettazione dell’altro 
di Michela Marzano
traduzione e cura di Riccardo Mazzeo
Trento, Erickson, 2012

pp. 100.

La fiducia è legata alla natura medesima dell’esistenza umana, al fatto che non siamo mai completamente indipendenti dagli altri e autosufficienti, neanche quando abbiamo la possibilità di raggiungere un certo grado di autonomia morale.[…] La fiducia in se stessi prima di tutto, perché di fronte alle reazioni spesso imprevedibili degli altri bisogna potersi appoggiare su di sé, su un nocciolo duro, su un certo numero di risorse interiori capaci di garantire un minimo di coesione interna.[1]

    Michela Marzano è attualmente direttore del dipartimento di scienze umane e docente di filosofia morale all’Università di Parigi Descartes; è una donna che è riuscita a trasformare alcune sofferenze personali del proprio cammino di crescita (in parte raccolte in questo volume) in esperienze da cui ricavare risposte concrete alle innumerevoli richieste e aspettative che ci provengono dal mondo esterno: come possiamo contrastare l’estrema fragilità della nostra condizione umana? La sofferenza serve?
È possibile affrontare da soli la condizione tormentosa  provocata a tratti dall’assiduità del dolore?

"Amato ragazzo" di Henry James


Amato ragazzo. Lettere a Henrik G. Andersen
di Henry James
Marsilio, 2000

pp. 320
€ 15,50


Quando, nel 1905, Henry James si rivolge al suo così caro Hendrik Christian Andersen chiamandolo (in italiano) Carissimo Enrico, la crisi si è già configurata con esattezza. In realtà, in questa lunga ma episodica parentesi epistolare di James, non si può dire che allo scultore americano di origini norvegesi siano risparmiati appunti e critiche aperte. Sembra, anzi, che nell'originale percorso individuato da Rosella Mamoli Zorzi per la casa editrice Marsilio di Venezia si vada consumando una significativa tragedia in termini di canoni estetici e uno sviluppo speciale della più importante penna americana, uno dei capisaldi del romanzo occidentale del XX secolo.


La prima lettera risale a un anno nel quale i capolavori più celebrati di James avevano già riscosso il loro successo: The Portrait of a Lady (1881), The Aspern Papers (1888) e il recentissimo The Turn of the Screw (1898) sono una realtà nel panorama internazionale. Si è anche consumata - ma non esaurita - la sfortunatissima vicenda a teatro che provocò nel suo autore una serissima crisi artistica ed esistenziale. È avvenuto, in definitiva, quel giro di boa che fa di Henry James un'autorità, ma soprattutto un uomo che, avendo molto vissuto e molto sofferto, si può rivolgere a un giovanissimo artista con i toni affettuosi e un po' distaccati del padre spirituale.

Tutto il mare tra di noi: una storia struggente nell'Iran della Rivoluzione Khomeinista

Tutto il mare tra di noi
di Dina Nayeri
Piemme, 2013

€ 19,50 cartaceo
pp. 476


“C’è un filo invisibile che tiene unite due sorelle agli antipodi del mondo. Per quanto viaggino, per quanta terra e quanto mare le dividano, persino se una delle due dovesse lasciare questo mondo. E, anche se non si vede, è per quello che non si può sfuggire davvero […]”
Saba e la sua gemella Mahtab sono legate strettamente da quel filo invisibile, complici e affezionatissime, in un paesino sperduto nel nord dell’Iran dove vivono nella bella casa di famiglia, protette dal mondo e dalle persecuzioni contro i cristiani convertiti. È un luogo arcaico e sereno, dove due bambine istruite e privilegiate si mescolano con i coetanei del posto, maschi e femmine giocano tra loro e le amicizie che si formano non conoscono classe sociale. A Cheshmeh gli Hafezi possono condurre una vita sicura, riparati entro le mura di quella casa lussuosa e ottenere protezione e prestigio sociale grazie al denaro che elargiscono generosamente. Saba e Mahtab, nelle ore spensierate insieme a Ponneh e Reza non conoscono i pericoli che minacciano di distruggere quel fragile mondo, ma che di lì a poco stravolgerà anche le loro vite. Sono gli anni Ottanta e la Rivoluzione Khomeinista partita dalle città allunga la sua ombra fino alle campagne, investendo la vita quotidiana con nuove regole e restrizioni che hanno cambiato per sempre il volto dell’Iran. La Persia, con le sue storie, i suoi colori e la cultura millenaria non esiste più, al suo posto il regime degli ayatollah:

#CriticARTe - Caro Calvino: una rivista, una mostra e molto altro


Caro Calvino
Parole e immagini per i novant'anni di uno scrittore

15 - 25 ottobre 2013
Casa delle Letterature (Piazza dell'Orologio 3, Roma)


Dal 15 al 25 ottobre 2013 a Roma è possibile festeggiare quelli che sarebbero stati i 90 anni di uno dei più celebri autori italiani: Italo Calvino. Ieri su CLetteraria Martina Fiore ha dedicato un ricordo allo scrittore scomparso e sul nostro nuovo account Pinterest Laura Ingallinella ha riproposto immagini di autografi, immagini e documenti calviniani. Nel frattempo, a Roma si presentava la rivista «Orlando Esplorazioni» presso la Casa delle Letterature, dove sono state organizzate varie iniziative (a cui, in qualche misura, ho partecipato anch’io con la presentazione di giovani artisti meritevoli, portando poeti italiani e scrivendo un piccolo pezzo per la rivista).

Oggi voglio raccontarvi della mostra presente alla Casa delle Letterature fino al 25 ottobre, che offre materiale calviniano e accosta a inediti, manoscritti e dattiloscritti curiosissimi, anche opere artistiche contemporanee (pittura, fotografia, illustrazione) che sono state ispirate dal ritratto di Calvino (come nel caso del ritratto di Domenico Lapolla, che figura in locandina) o dai suoi libri (come per Matteo Micci). 

Perché ricordare un autore è anche (e soprattutto?) questo: verificare come sopravvive nel ricordo comune e come viene scoperto dalle nuove generazioni. La sua ricezione, oggi, è ben diversa da quella della metà Novecento in cui uscivano i suoi primi lavori, ma – sempre – la sua fantasia è fonte d’ispirazione, per opere visive tra loro diversissime. 

"16 ottobre 1943": Giacomo Debenedetti racconta la retata nazista nel Ghetto di Roma

16 ottobre 1943
di Giacomo Debenedetti

Einaudi, 2005
prefazione di Natalia Ginzburg


Giacomo Debenedetti è noto al mondo delle lettere principalmente per la sua attività di critico, ma si dedicò anche alla narrativa: tra le sue pagine, sempre tese tra il racconto e la riflessione saggistica, è utile ricordare a settant'anni esatti dagli eventi che l'hanno ispirato un libretto, 16 ottobre 1943, dedicato alla retata nazista del ghetto di Roma. Pubblicato per la prima volta nell'immediato dopoguerra nella rivista romana "Mercurio" in un numero dedicato alla Resistenza (1944), fu subito ripreso da "Libera Stampa" di Lugano e pubblicato l'anno successivo in volume (1945). Fu un grande successo, e il volumetto fu presto introvabile. Tre anni dopo Jean-Paul Sartre lo fece tradurre per per "Temps Moderns" (1947).

#PagineCritiche - Omaggio a Giorgio Caproni



Tra Livorno e Genova, il poeta delle due città
Omaggio a Giorgio Caproni
a cura di Patrizia Garofalo e Cinzia Demi
Edizioni Il Foglio, 2013

pp. 110



Ci sono saggi letterari che illuminano, arricchiscono, fanno dire: “Ecco, questo è proprio ciò che pensavo e sentivo”. Ce ne sono altri che grondano accademia, ad esempio quelli letti nei giorni dell’università, quando dovevi perdere un’ora, non per studiare il poeta o il romanziere in questione, ma solo per capire cosa intendesse il critico con la sua nebulosa accozzaglia di parole. Si finiva per telefonarci l’un l’altro fra studenti, chiedendo: “Ma tu cosa hai recepito?” Si cercava di ricostruire il filo del discorso, di “tradurre” il testo in un italiano comprensibile, mettendo faticosamente in relazione soggetto e predicato. Spesso, alla fine, una volta parafrasato e volgarizzato, il saggio era riassumibile in tre o quattro concetti cardine. Provavamo, allora, il bisogno di allontanarci da un mondo fatto solo di gente che si parlava addosso, e immergerci nella vita reale, nelle cose concrete.
Questa premessa per segnalarvi una raccolta di saggi su Giorgio Caproni - poeta più che mai alla ricerca del contatto totale fra parola e cosa – che contiene testi sia dell’uno e che dell’altro stampo. Per fortuna sono prevalenti di gran lunga quelli del primo tipo.

"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto": un ricordo di Italo Calvino nel 90° anno dalla nascita




Le persone che mi regalarono il quarto libro di Italo Calvino entrato a far parte della mia biblioteca, Se una notte d’inverno un viaggiatore, a pochi mesi da quel gesto si rivelarono molto diverse rispetto a quanto potessi immaginare. Se oggi ho deciso di “citarle” in queste poche righe, è principalmente perché rappresentano l’esempio palese del famoso detto secondo cui “non tutti i mali vengono per nuocere” . Ringrazio infatti quelle persone per due ragioni: avermi permesso di crescere “lottando” contro i fantasmi e le apparenze della realtà quotidiane anche grazie a quel libro. Se una notte d’inverno un viaggiatore, infatti, è diventato per me il punto di partenza di una serie di scoperte (ivi compresa quella di cui sopra), e di esperienze vissute con una passione che spero di riuscire a descrivere e trasmettere attraverso queste parole, in occasione del novantesimo anniversario della nascita di Italo Calvino. 

#ScrittorInAscolto - Incontro con Khaled Hosseini


 Milano, Mondadori Multicenter (Piazza Duomo)
14 ottobre 2013, h. 12.30

Con le amiche blogger Noemi Cuffia (Tazzina di caffé) e Sara Bauducco (Gli Amanti dei Libri)


È passato da un po’ mezzogiorno quando Khaled Hosseini raggiunge i suoi lettori per un firmacopie speciale, nella Mondadori di Piazza Duomo, per festeggiare l'uscita dell'attesissimo E l'eco rispose (lo abbiamo recensito qui). Ci sono fans di tutte le età, un’ultrassettantenne è anche andata dal parrucchiere per “incontrare Khaled”, e una ragazza è arrivata trafelata dopo un lungo viaggio da Cosenza. Poi il firmacopie inizia, tra strette di mano, autografi, fotografie con un Hosseini in splendida forma, nonostante la stanchezza del jetlag e le tante interviste dei giorni precedenti. Sorride a tutti, e dopo le foto di rito, nella saletta al terzo piano, ha modo di parlare anche con noi blogger.

Il Salotto - Intervista a Pier Bruno Cosso


A Sassari, il 25 settembre le Messaggerie Sarde di Tiziana Marranci hanno ospitato una bell'incontro con l'autore Pier Bruno Cosso e il suo Giorno della tartaruga, uscito da poco per le edizioni di Paralello45. La professoressa Mena Pipicelli e il bravissimo attore Antonello Unida hanno aiutato i presenti a entrare nella Sardegna di questo romanzo, dove si riconoscono tanti posti (Sassari, Alghero, Benetutti), ma com'erano nel 1985. Un romanzo storico? No, tutt'altro. Al protagonista del romanzo, scontento della vita di tutti i giorni, accade ciò che tutti vorremmo (pur temendolo un po'): tornare indietro nel tempo, proprio nel 1985, ma con la consapevolezza del presente, e poter rivivere incontri, circostanze e scelte di vita, con la possibilità di alterare il corso della propria vita. Non sono però tutti vantaggi, e il nostro protagonista se ne accorgerà molto presto.
Le curiosità erano molte, troppe da chiedere dopo la presentazione. Così Pier Bruno ha accettato di raccontarci un po' del suo romanzo e di sé per il nostro "Salotto".

Pillole d’Autore: “La pelle”, di Curzio Malaparte

Nella doviziosa recensione di Laura Ingallinella relativa a «La pelle» (la trovate qui), si faceva riferimento al fatto che i contributi maggiori su Curzio Malaparte non sono prodotti in Italia, ma all’estero; di ciò ho avuto conferma anche poco tempo fa, quando un amico che ha vissuto per diverso tempo in Francia mi ha riferito che nelle librerie dei cugini «La pelle» è uno dei romanzi più presenti e richiesti. Non è questa la sede adatta, né possiedo l’erudizione e le capacità critiche per spiegare ciò che forse non ha neanche senso spiegare, ma mi limito a proporre alcuni passi di un libro che ben si presta a essere arruolato tra quelli che – rifuggendo da tentazioni consolatorie – consideriamo come archetipici per una certa concezione di letteratura.

Edizione di riferimento: Curzio Malaparte, La pelle, Adelphi 2010, pp. 379, Euro 20
«Bande di ragazzi cenciosi, inginocchiati davanti alle loro cassette di legno, incrostate di scaglie di madreperla, di conchiglie marine, di frammenti di specchio, battevano la costola delle loro spazzole sul coperchio delle cassette, gridando: “sciuscià! sciuscià! shoe-shine! shoe-shine!” e intanto con la scarna, avida mano ghermivano a volo per un lembo dei calzoni i soldati negri che passavano dondolandosi sui fianchi. Gruppi di soldati marocchini stavano accovacciati lungo i muri, avvolti nei loro scuri mantelli, il viso butterato dal vaiolo, i giallo occhi lucenti in fondo alle cupe orbite e grinzose, aspirando con le narici accese l’odore magro errante nell’aria polverosa.
Donne livide, sfatte, dalle labbra dipinte, dalle smunte gote incrostate di belletto, orribili e pietose, sostavano all’angolo dei vicoli offrendo ai passanti la loro miserabile mercanzia: ragazzi e bambine di otto, di dieci anni, che i soldati marocchini, indiani, algerini, malgasci, palpavano sollevando loro la veste o infilando la mano fra i bottoni dei calzoncini. Le donne gridavano: “Two dollars the boys, three dollars the girls!”»

#CriticaLibera - Islanda, Finlandia e i miti cari a Tolkien



Thingvellir: alle spalle il contrafforte di basalto nero, davanti l’immenso prato ricoperto di lichene dove si svolgeva l’Althing, il parlamento a cielo aperto degli islandesi. Nell’aria fredda e odorosa di zolfo, in questa terra di lava color asfalto, fra dune di pomice e  sbuffi di geyser, necessita compiere una classificazione di ricordi e associazioni mentali che ci si affastellano confusi nella testa.

Cominciamo con l’Edda.

Il termine Edda, al plurale Eddur, si riferisce a due testi in norreno entrambi scritti in Islanda durante il XIII secolo. L’Edda poetica, o Edda antica, e l’Edda in prosa, quella di Snorri.
L’Edda antica trae origine dal Codex Regius, manoscritto composto nel XIII secolo, di cui si sono perse le tracce fino al 1643. La parte iniziale è la nota Völuspa, la profezia della veggente, fonte preziosa di conoscenza della mitologia e della cosmogonia norrena. La veggente parla con Odino e gli narra della creazione del mondo e del Ragnarök, il suo  catastrofico destino. All’interno della Völuspa sei stanze sono dedicate a un elenco di nomi di nani, da cui Tolkien ha attinto a piene mani per la sua trilogia. Nel 2009 la Harper e Collins ha pubblicato un lavoro postumo di Tolkien sull’Edda poetica, intitolato “La leggenda di Sigurd e Gudrun”, in un inglese che cerca di riproporre il metro allitterativo del norreno.

Scoprire la Cina attraverso un secolo di scrittori

In Cina. Il Grand Tour degli italiani verso il Centro del Mondo. 1904-1999
a cura di Danilo Soscia
prefazione di Renata Pisu
ETS, Pisa 2010

€ 19
pp. 296

L'antologia raccolta da Danilo Soscia per la casa editrice ETS, da sempre sensibile agli studi letterari, è un bel punto di partenza per occuparci di un fenomeno ad oggi poco rilevato: la ricezione della Cina da parte degli scrittori e giornalisti italiani. I testi raccolti, che coprono quasi un centinaio d'anni, rispecchiano gran parte della letteratura italiana del secolo scorso: da scritti meno noti di Barzini, Simoni, Appelius, Cipolla, Calzini fino a contributi editi ma spesso dispersi di Fortini, Cassola, Bernari, Emmanuelli, Malaparte, Levi, Lilli, Parise, Manganelli, spingendoci verso i più recenti di Sereni, Luzi, Terzani, Masi e Pisu.

"Datura", l'ultima raccolta di Patrizia Cavalli

Datura
di Patrizia Cavalli

Einaudi, 2013


La recente raccolta einaudiana di Patrizia Cavalli, che offre al lettore componimenti piuttosto eterogenei (dai poemetti di più ampio respiro, a un pezzo teatrale, a brevi poesie amorose, fino agli epigrammi), si intitola ambiguamente Datura, oscillando nel significato dal participio futuro femminile del verbo dare (“che si darà”, nel senso forse di una generosa e imprevedibile eredità ventura), al nome di una pianta spinosa e medicinale, dagli effetti talvolta allucinogeni. Metafora della poesia? Proprio a questo vegetale, e ai suoi fiori notturni e profumati, rende omaggio l'ultimo poemetto del volume. Proibendosi qualsiasi retorica commozione, l'autrice individua la causa delle sue “lacrime spaesate” in oscuri fenomeni atmosferici, meteorologici, che agendo sulle “parti più segrete del cervello” provocherebbero 
soltanto nostalgia che gira e si rigira
dentro il suo molto affaccendato niente. 
Fosche trepidazioni di morte?
Ma io non voglio andarmene così,
lasciando tutto come ho trovato
in questa scialba geografia che assegna
l'effetto alla sua causa.
L'ambizione del poeta è ben altra:

Una narrazione inquieta quanto i suoi temi: "Acquanera", di Valentina D'Urbano

Acquanera 
di Valentina D'Urbano
Longanesi, 2013

pp. 357
€ 14.90

Ognuno ha i suoi lutti crocifissi addosso.
(p. 325)

Il gotico non è morto; e anche la caccia all'amore non è morta. Al contrario, di morti, in questo Acquanera di Valentina D'Urbano, ce ne sono tantissimi. Eppure il romanzo non cade nello splatter: lo allontanano le ricerche di amore familiare da parte della protagonista, Fortuna, che da sempre prova ad avvicinarsi alla madre Onda, medium dai poteri riconosciuti da tutti, ma scontrosa e disinteressata ai rapporti sociali. Diversa è la nonna, Elsa, che avverte la presenza dei trapassati, ma non sa interagire, e quindi riesce a non farsi sconvolgere dal contatto. Fortuna, prima piccola testimone delle stranezze materne, quando cresce abbandona la casa e il paese di Roccachiara, per farsi finalmente una vita e prendere le distanze da tante sofferenze. 
E poi c'è l'amicizia, che porta via qualsiasi dubbio di splatter, anche se la storia è quantomai strana: tra Fortuna e Luce, entrambe solitarie ed emarginate dai coetanei (Fortuna perché la figlia della medium, Luce perché brutta e figlia del becchino, appena arrivato a Roccachiara da Napoli), si stabilisce un rapporto di reciproca accettazione, e di fiducia fino allo stremo. Ma non di affetto: solo dopo gran parte del romanzo si capiscono i motivi di questa ritrosia, inspiegabile per molti, ma non per Onda. 

#SpecialeSCUOLA - Cultura, scuola e tecnologie. Salvare la scuola dall'era multimediale.


Salvare la scuola nell'era digitale
di Giovanni Reale
 Editrice La Scuola
101 pp.
€ 10.

La scuola italiana oggi attraversa una fase critica che è il risultato di precedenti interventi di Ministri che hanno cercato di migliorarla ma non hanno saputo o potuto, da vent'anni a questa parte, darle una vera svolta innovativa. Pezzo per pezzo sono venute a mancare ore di lezione, professionalità e valorizzazione dei docenti, disciplina e motivazioni. I licei, ancora considerati una reliquia del passato, stanno perdendo i loro numeri ed il loro valore, gli altri istituti sembrano sempre più assimilati a dei recinti in cui rinchiudere presunti “reietti” di una società che non è pensata per loro, il tutto unito allo squallore delle strutture, quando ci sono ed alla cronica mancanza di mezzi. 

In questo contesto di svalutazione continua, la Scuola Italiana, che per i burocrati ed i ben pensanti del marketing e del mondo dei sociologi e pedagogisti, viene sempre più associata alla categoria mortale “non produttiva”, si impone la spada di Damocle della tecnologia, delle lezioni multimediali, dei libri e registri elettronici (e degli alunni che fanno i temi sui PC della scuola e che, magari, mentre l'insegnante spiega con la LIM, percepiscono cinguettii di concetti mentre chattano sui social networks alla faccia dell'insegnante moderno e tecnologico).