Invito alla lettura: Maria Candelaria Romero



Poesie di fine mondo
di Maria Candelaria Romero
Como, Lietocolle, 2010

pp. 82
€ 13


      Maria Candelaria Romero è una scrittrice argentina, la cui vita è connotata da una grande passione per il teatro. Lasciato il paese natio ancora fanciulla e dopo aver vissuto un primo esilio in Bolivia, approda in Europa nel 1979 in Svezia dove ha modo di frequentare una prestigiosa scuola d’arte drammatica, il Ginnasio d’Arte di Stoccolma. Dopo l’esperienza svedese, Candelaria Romero arriva in Spagna e qui ha modo di dedicarsi a corsi formativi di teatro e di danza e successivamente si forma presso l’Odin Teatret in Danimarca. Giunge in Italia nel 1992: fin dall’infanzia la poesia ha un profondo peso, ma è a partire dalla sua residenza in Italia che la poetica inizia ad rappresentare per lei un’importante occasione di riscatto, un mondo a cui riesce a dare un’impronta creativa e assolutamente personale. I versi inseriti nella raccolta Poesie di fine mondo esprimono un nuovo modo di raccontare l’arte, una poetica innovativa che trae linfa vitale dal vasto universo teatrale che è parte integrante della vita della protagonista. Una poesia che coniuga più linguaggi, in cui la gestualità teatrale è accompagnata all’oralità e dove il corpo e le arti  visive si compenetrano vicendevolmente.
    Anche se il testo poetico è di sua natura polisemico, il titolo della raccolta Poesie di fine mondo anticipa un leit-motiv ricorrente nei componimenti proposti: i temi affrontano le difficoltà dell’esistenza umana quando si giunge al capolinea dei propri desideri e non sempre si riesce ad andare oltre, rintracciando riposte adeguate agli avvenimenti che costellano la vita di ognuno.
Poesie quindi intrise di realtà, anche cruda a volte e che spesso terminano con questioni irrisolte; poesie che, a partire da un assunto tematico, assumono ulteriori significati simbolici o ideologici perché proiettano il lettore su itinerari di risposta assai differenti tra di loro:

Stanotte ho parlato con Dio

ci siamo guardati negli occhi

senza preghiere, né gocce di battesimo

ci siamo scambiati idee, parole

ho chiesto del suo corpo

non sempre ha risposto:

solo l’aria cambiava dei sospiri direzione.

Abbiamo parlato di te, dei sospiri del vuoto

del peso della fame che non è fame

e poi nel momento del saluto

è tornato il silenzio.

Stanotte ho parlato con Dio

senza chiamarlo per nome

è bastata la notte

un buon bicchiere di vino

il suo rosso sanguedentro.[1]

     Come si evince dalla poesia scelta, Candelaria Romero ci parla di un sogno che è allo stesso tempo un dialogo cercato con Dio: è la vicinanza tra il mondo terreno e l’irrealtà, tra gli occhi razionali e in cerca di risposte della donna e quelli di Dio che si incontrano per cercare risposte ai dubbi che attanagliano l’esistenza della protagonista. «Senza preghiere, né gocce di battesimo» l’incontro  avviene senza predisposizioni religiose o assunzioni di posizioni di antagonismo. Dal significato denotativo del testo in senso oggettivo e referenziale, l’autrice riesce a dare un senso più soggettivo ed emotivo che risale alla sfera personale dei ricordi dell’autrice e in particolare del suo inconscio.
        Si tratta di uno scambio comunicativo che cerca di riempire un vuoto e un’assenza che la scrittrice non fa intendere, ma che non risulta nemmeno importante per il significato complessivo della poesia: «una fame che non è fame», è la sete di giustizia, è il desiderio di veder realizzati i propri obiettivi, è la voglia di afferrare la felicità, sono i sogni e le speranze che spesso la notte consigliera ci permette di esternare.
     Anche Fernando Pessoa, in una sua raccolta di sonetti inglesi, offre al lettore una poetica innovativa non imperniata sulle disamine amorose, ma invece intelligentemente costruita, calibrata e orientata verso un’espressività che riesce a dare un immagine efficace della dissonanza tra l’apparire e la vera natura dell’uomo, una raccolta poetica definita «la poetica della maschera» [2].

[…] Così un pensiero fa capolino alla porta del Dubbio   
Se noi, appetto (di fronte) alla concretezza di questo mondo
Non siamo che Meri Intervalli, Assenza del Dio e
Vacuità nella reale Coscienza e nel Pensiero. 
Ma se al Pensiero è possibile tollerar tal frutto 
Perché alla Verità è reso impossibile?[3]

    Cogliamo anche in questi versi una proiezione che avvicina l’essere umano ad una porta, ad una immaginaria barriera che in questo caso sembra non aprirsi, tra il mondo terreno e l’oltre; un incontro mancato e in questo caso non cercato, in contrasto tra il corpo e il pensiero, tra la concretezza dell’essere umano legata alla concretezza del mondo che rappresenta la Verità, e l’irrealtà della coscienza e del pensiero vacuo,  una situazione umana che, pur iniziando dallo stesso punto, il mondo, sembra allontanarsi senza dare risposte credibili al senso della vita.
 La vita di Candelaria Romero viene rappresentata in poesia anche come una fiaba moderna, crudele ma al tempo stesso, il ripudio della violenza, diventa un inno alla solidarietà umana e alla pace. Le poesie non rappresentano una vera e propria denuncia diretta, ma nascono perché effettivamente sono realmente esistite.

LE ANDE – AMAICHA DEL VALLE
Triangolare il silenzio 
Cime di sabbia uniscono vento e terra.
Nel centro i sentieri
tace il corpo
la sete lascia tutto immobile.
Non corriamo più.
           Siamo sotto il tetto del Mondo[4]

    In questa poesia ambientata in una zona deserta e forse dimenticata nelle Ande in una valle argentina, si staglia l’immagine di un corpo solitario attorniato dalla sabbia che da sola è osservata come simbolo di dissolvenza, a cui invece in questi versi, viene affidato il compito di unire altri due elementi della natura: vento e terra. L’immagine della triangolatura del silenzio crea un curioso accostamento tra vento, terra e sabbia, una triade connotata dal silenzio, elementi legati quindi da un particolare rapporto. Il corpo tace perché è immobile come immobili sono gli esseri umani che non corrono più. La pluralità del verbo siamo designa una condizione che accomuna quella singola agli altri uomini della Terra;  il tetto del Mondo è anche la traduzione del nome iraniano che designa il Pamir. Interessante davvero questa lirica, e il panismo interpretativo-sintattico che vi cogliamo integra bene la stesura alle forme tematiche di natura concreta e tangibile. Una poesia che rinvia all’etnologia antropologica degli antichi riti andini. La triangolazione sugli elementi naturali rievoca  antiche formule esoteriche per l’escatologia nelle tribù sudamericane. Il silenzio può essere inteso come formula unificante degli elementi disposti sotto di esso, quasi fosse il legame del resto. Un silenzio quindi osservato come parte integrante nella natura e che ben si coniuga con quello che trapela dal corpo.
     La raccolta di Poesie di fine mondo racchiude versi scritti con un’intensa passione. Si potrebbe collocare la poetica di Candelaria  nella vasta produzione  post-moderna, una scrittura che si rivela  interessante per la nitidezza, il linguaggio scarno, non aggettivato, descrittivo, in una forma completamente «sciolta, narrante, antilirica e antiletteraria, insomma la poesia dei minimi termini». L’autrice trasmette i cambiamenti repentini dei mutamenti sociologici e psicologici dell’essere umano,  in cui può accadere, come nella poesia seguente, che i ruoli nella vita s’invertano, cambino direzione, in cui l’inverosimile negativo del passato si trasformi in una odiernità positiva.
La poesia, come afferma Novalis, è «la realtà vera, assoluta, è il nocciolo della filosofia. Là dove maggiore è la poesia, maggiore è la verità»[5].
Come nell’antico carnevale  
oggi le parti s’invertono
ciò che ieri usciva sconnesso
oggi danza composto.
La matta del panificio sorride prontamente
sa cosa voglio
sicura mi augura  buon pomeriggio
ringrazio perplessa e felice
          oggi è il nostro giorno.[6]





[1] M. CANDELARIA ROMERO, Poesie di fine mondo, Como, Lieto Colle, p. 11.
[2] F. PESSOA, Trentacinque sonetti,  Testi scelti da Mario Luzi, a cura di Ugo Serani,Firenze,  Passigli Poesia, 1999.
[3] Ivi, p. 57.
[4] MARIA CANDELARIA ROMERO, Poesie di fine mondo, cit., p. 35.
[5] NOVALIS, Frammenti di letteratura  a cura di Giuseppina Calzecchi Onesti, Firenze, Sansoni, 1950,  p.85.
[6] M. CANDELAIRA ROMERO, Poesie di fine mondo, cit., p. 21.