Passione e furor: il Solus ad solam dannunziano

 Solus ad solam
di Gabriele D'Annunzio
ES, Milano 2012

a cura e con postfazione di Federico Roncoroni

€ 28
pp. 316



Solus ad solam di D’Annunzio, forse la sua «opera più facile a leggere e più difficile a giudicare»,[1] nasce dall’intricato epistolario tenuto dal Vate con la contessa Giuseppina Mancini, conosciuta nel 1906 e amata tra il 1907 e il 1908. La donna, sposata e continuamente combattuta tra il desiderio passionale e il senso di colpa, è offesa da una malattia nervosa che complica la relazione con D’Annunzio. Le tante lettere, materiale spurio per il diario e anche per il Forse che sì forse che no (1910), sono qui riutilizzate come base da cui ricostruire la cronaca dell’amore e, più densa, la «cronaca della sua disperazione»[2] e della pazzia della donna, seguita a distanza attraverso le diagnosi mediche.



Il diario è scritto su «quattro piccoli volumi»,[3] entro l’arco temporale di un mese scarso, dall’8 settembre al 5 ottobre 1908, e testimonia la natura mutevole, composita e discontinua del genere. Non vi sono al momento elementi che permettano di determinare con esattezza le date di stesura dell’opera, dal momento che lo stesso D’Annunzio nel suo epistolario realizza un totale stravolgimento dei tempi reali. Forse l’opera è compiuta entro il 30 ottobre 1908, quando D’Annunzio scrive all’editore Emilio Treves per dare notizia dell’esistenza dell’opera: annuncia che spedirà l’opera per una sua pubblicazione dopo che sarà morto di «morte violenta» nel 1909, secondo un responso di indovini: «Tra i postumi ne ho uno che porta questo bel titolo Solus ad solam».[4] In realtà, il manoscritto non verrà spedito, ma seguirà D’Annunzio anche nel suo esilio francese. Dopo avere informato Giuseppina dell’opera in una lettera del 1912, nel 1913 D’Annunzio mostra il Solus a Luigi Albertini, direttore del «Corriere della Sera» gli racconta della proposta di pubblicazione di Treves. Tuttavia, per il Vate è un «diario per ora, e sempre in quella forma diretta, impubblicabile».[5] Nel maggio 1915, D’Annunzio fa dono del diario a “Giusini”, ma già nel 1918 chiede di riaverlo, senza specificare il motivo, ma glielo fece riavere poche ore dopo. Dopo questo momento, l’autografo sparisce e riemerge solo dopo la morte di D’Annunzio, nel 1939, dalle mani della Mancini. Proprio la donna annuncia la futura pubblicazione dell’opera, grazie alle cure della studiosa Jolanda De Blasi. Il Solus uscirà quindi per l’editore fiorentino Sansoni nello stesso 1939, per poi avere numerose riedizioni entro il 1941. L’autografo, dopo la pubblicazione, è stato restituito alla Mancini e da quel momento si ignorano le sorti del manoscritto, mai più trovato. 


Il titolo mira a definire subito la privatezza dell’opera, che potrebbe definirsi, secondo la categorizzazione di Simonet-Tenant, un «diario epistolare». Come vedremo, anche se la Mancini non è ammessa subito alla lettura dell’opera, si pensa a un futuro incontro in cui D’Annunzio consegnerà l’opera, celata agli occhi altrui. Benché l’opera possa apparire di primo acchito particolarmente sincera, è però necessario ricordare «la sopraffazione letteraria»[6] che non può mai essere disgiunta dalla figura di D’Annunzio, straordinario artefice del mito di se stesso. Oltre a tessere lessicali e stilistiche piene di ricercatezza, situazioni e ambientazioni da topoi letterari, anche la presenza di brani importati dai Taccuini conferma l’operazione letteraria dell’opera, non necessariamente falsa, ma certamente sorvegliata e mistificata.

A testimonianza di ciò, si leggano le prime giornate del diario: D'Annunzio si preoccupa di ricostruire l'excursus della storia d'amore e di spiegare sintomi e diagnosi di Giusini. Il tono narrativo è palese, per quanto l'enfasi e la liricità dannunziana stemperino in parte l'impressione di romanzo epistolare. 



[1] P. Pancrazi, «Corriere della Sera», 27 aprile 1939.
[2] F. Roncoroni, Postfazione in G. D’Annunzio, Solus ad solam…, 271.
[3] Lo spiega lo stesso D’Annunzio in una lettera a “Giusini” da Arcachon, datata 25 agosto 1912.
[4] G. D’Annunzio, Lettere ai Treves, a cura di G. Oliva, Milano, Garzanti, 1999, 336.
[5] L. Albertini, I giorni di un liberale: diari 1907-1923, Bologna, Il Mulino, 2000, nel frammento datato 4 febbraio 1913.
[6] E. Falqui, D’Annunzio e il «Solus» italiano, «Il Libro italiano», iv, 2 (1940), 76.