di Diego De Silva
Einaudi, 2013
pp. 104
ebook 6,99 €
cartaceo 10 €
Non sa che l'uomo di cui vorrebbe innamorarsi è entrato nel bistrot poco minuti dopo che lei è andata via e resterà lì per più di un'ora ad aspettarla. perché è lì, per ragioni che non conoscono, che tutti e due hanno deciso che s'incontreranno, e Nicola, che torna al bistrot per la prima volta dopo tanto tempo, ha il cuore pieno d'attesa ed è convinto, senza che nulla lo autorizzi a pensarlo, che la riconoscerebbe al primo sguardo, Irene, se soltanto la vedesse.
In tante recensioni s'è rimarcata la differenza tra il De Silva di Non avevo capito niente e questo nuovo inatteso narratore d'amore. Bene, legittimo, ma non trovo che sia fondamentale: piuttosto, è interessante in senso assoluto (non solo per De Silva ma nel panorama contemporaneo) osservare che in cento pagine lo scrittore napoletano è riuscito a dare un'idea di amore in absentia quale non si leggeva da un po'.
Il romanzo è un esile gioco di rincorse (due personaggi destinati ad incontrarsi e a innamorarsi) e di coincidenze (siedono ogni giorno allo stesso tavolo dello stesso bistrot, ma a orari diversi). Quel che sconvolge è quando De Silva va oltre: oltre la trama, e trasforma la storia d'amore (tutta proiettata sul futuro, fondata sull'attesa e l'aspettativa) in una storia di comunicazione. Sì, perché Irene e Nicola, i due protagonisti, hanno alle spalle un passato che torna tra flashback sbocconcellati e correlativi oggettivi che traghettano dal presente a quel che è stato. Irene finisce una storia lunga e impaludata nella routine; Nicola deve superare il lutto per la moglie, morta in un incidente. Ed è incredibile quanto in passato Irene e Nicola non parlassero davvero, ma vivessero nell'eterna maschera della moglie e del marito perfetti, disposti a edulcorare le emozioni e a trattenere la delusione, pur di evitare il conflitto o fingere una serenità inautentica:
E il peggio che ti può capitare, quando ti abitui a vivere in un mondo ridotto a una persona soltanto, è di pensare di avere abbastanza mondo per essere felice, addirittura diventarlo, e così raccontarti che nel resto del mondo, tutto quell'altro mondo che non è lei, non vuoi neanche più andarci; infatti non ci vai, e dopo un po' ti senti persino fiero di aver smesso di frequentarlo, quel mondo così vasto, anche se poi quando viene a girare dalle tue parti o lo vedi dalla finestra ti sale un po' di magone, e tene torni dentro mordendoti le labbra.
Senza paraocchi perbenisti, De Silva guarda oltre i fatti, non li interpreti da demiurgo ma proponga i pensieri e le parole dei personaggi, a evidenziare lo scarto tra comunicazione reale e sincerità. Il risultato è impietoso: il lettore da un lato è avvinto dalla trama, ma dall'altro teme quel che può emergere, ancora. Perché è facile rispecchiarsi in quegli atteggiamenti che, per quieto vivere, hanno frustrato Irene e Nicola.
E il ticchettio implacabile del tempo speso a guardarsi vivere è quasi fragoroso, benché nascosto tra le maglie di una narrazione piacevolissima, con uno stile sorvegliato e poco scontato, che non piega al letterario adombrando la verosimiglianza quotidiana.
E il ticchettio implacabile del tempo speso a guardarsi vivere è quasi fragoroso, benché nascosto tra le maglie di una narrazione piacevolissima, con uno stile sorvegliato e poco scontato, che non piega al letterario adombrando la verosimiglianza quotidiana.
Gloria M. Ghioni